Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “Lo sguardo” di Maurizio Grelli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Saranno stati sicuramente 40 gradi quel primo pomeriggio di Agosto degli ultimi anni ’70 del secolo scorso.

Il “vecchio” come lo chiamavano nel piccolo paese dell’entroterra marchigiano, era sempre lì, come da sua abitudine, seduto all’esterno dell’osteria di Bedollo, unico punto di ritrovo e svago, situato nella piccola e stretta via principale, osteria e spaccio alimentare allo stesso tempo.

Un cappello di paglia, la canottiera bucata in piu’ punti, una camicia a scacchi rossi e bleu sbottonata e chiusa da un nodo alla fine dei bottoni, pantaloni da lavoro colore bleu rattoppati, rimboccati sopra le caviglie, scarpe lise ormai imbiancate, aperte, senza piu’ lacci. La testa bassa, la sigaretta senza filtro penzolante dalle labbra e fumata dal vento, gli occhi socchiusi cullati dall’afa. Le braccia appoggiate al tavolo a doghe di legno. Le mani, con le dita a preghiera. Quelle mani, ormai deformate dall’eta’ ed ingiallite dal troppo tabacco fumato, spesso si infilavano tra i pochi capelli bianchi a stringere, come in un gesto di consolazione, la testa.

Maurizio quel giorno, passo’ con l’automobile di fronte all’osteria. Sapeva di incontrarlo, sapeva che, come ogni altra volta che si era recato a trovare i genitori, lui, il “vecchio” sarebbe stato stato lì. Parcheggio’ l’autovettura e, invece di recarsi subito verso casa dei genitori, si diresse verso l’osteria.

Non sapeva chi fosse quell’uomo, sfuggevole e fuggito da tutti. Durante le sue brevi visite non aveva mai inseguito l’appiglio per domandare, chiedere qualche cosa in piu’ per indagare. Entro’, scostando la tenda di fili di plastica applicati  all’ingresso a mo’ di barriera per le mosche. Lo spaccio era immerso nella pace piu’ profonda di un primo pomeriggio afoso. Nessun cliente all’interno. Bedollo l’oste, se ne stava dietro il bancone, sonnecchiando. Si notava solamente la sua testa calva, appoggiata sul palmo della mano sinistra con l’avambraccio a sostegno.

“Bedollo…..” saluto’ Maurizio a voce alta “Come andiamo?….”

Bedollo sussulto’. Apri’ gli occhi e rispose al saluto con un sorriso. Si alzo’ dallo sgabello ma la differenza non fu notevole.

“Portami un quartino fresco di bianco……fuori……per favore”

L’oste annui’ all’ordinazione.

Maurizio usci’ fuori. Si guardo’ intorno. La luce del sole era accecante, resa ancor piu’ abbagliante dal riflesso della stessa sulla parete di calcina bianca della chiesetta, posta al lato opposto della strada. Rimase in piedi. Il “vecchio” lo seguiva con lo sguardo. Il fruscio dei fili di plastica, annuncio’ l’arrivo dell’oste. Il vassoio elegantemente e fermamente poggiato sul palmo della mano.

“Dove ti siedi?”

Maurizio si guardo’ intorno. Diresse lo sguardo al “vecchio”.

“Posso?” domando’.

Il “vecchio” annui’.

Bedollo appoggio’ il vassoio con la pubblicita’ della birra Peroni sul tavolo, all’interno il bicchiere da osteria e la brocca del vino. Maurizio si sedette. Prese in mano il brocchetto e porgendolo all’oste: “Bedollo…per favore….porta via questo e portane uno da un litro, insieme ad un altro bicchiere….sempre fresco, mi raccomando.” L’oste prese la brocca dalle mani del ragazzo e rientro’ nell’osteria.

“Caldo oggi” disse Maurizio. Il “vecchio” lo guardo’ dritto negli occhi:

“Tu….sei il figlio di Eraldo…..il nipote di Berto……vero?”

Maurizio non riusci’ a rispondere immediatamente. Quello sguardo, mai notato in primo piano, lo gelo’. Quello sguardo particolare, mai incrociato in altri esseri umani: un misto di paura, tremore, delusione, terrore e rassegnazione.

“Sì…..allora mi conosce!”

“Certo che ti conosco” rispose il “vecchio” ” Conosco tutti”.

Bedollo si riaffaccio’ all’esterno. Il boccale di vino bianco, trasudava da quanto era fresco. Maurizio lo alzo’. Prese il bicchiere vicino al “vecchio” e, volgendogli lo sguardo senza volerlo incrociare, domando’: “Lo gradisce un bicchiere in compagnia? Sa….bere da soli non e’ piacevole”. Il vecchio sorrise. Riempi’ il bicchiere e la stessa cosa la fece con il suo. All’unisono, con un sol fiato, i piccoli bicchieri da osteria versarono tutto il contenuto nelle loro gole. Il “vecchio” scosse la testa in segno di gradimento.

“Vecchio! Io ti conosco con questo nome. Qui, tutti ti chiamano cosi’, ma il tuo nome vero, quale e’?”

Il “vecchio” lo guardo’. Quello sguardo…..

“Puoi chiamarmi vecchio….va bene cosi’….tutti mi chiamano vecchio, non me la prendo”.

“Lo so…lo so….” ribatte’ Maurizio “Ma sono curioso di sapere come ti chiami”

Il vecchio prese la brocca. Verso’ meta’ bicchiere in quel di Maurizio e meta’ nel suo.

“Fa caldo oggi…..molto caldo” disse, poco prima che il bicchiere gli raggiungesse le labbra.

“Vero” rispose Maurizio “Insopportabile” avvicinandosi anche lui il bicchiere alla bocca.

“Gustino…”

“Come?” chiese il ragazzo che non aveva ben percepito quel nome appena sussurrato, allontanando il bicchiere dalle labbra.

“Gustino” ripete’ l’anziano.

“Quindi…ti chiami Gustino”.

Il vecchio annui’ con la testa.

“Gustino come?….Solo Gustino? E poi….Gustino dovrebbe essere il diminutivo di Agostino, vero?”

Il vecchio strinse il bicchiere vuoto tra le mani. Sembrava che lo facesse per incamerare il fresco che il vino gelato aveva trasferito. Gli occhi pero’, quello sguardo, trasmettevano piu’ la necessita’ della ricerca di una salda presa, un appiglio, un punto fermo.

“Meo…” usci’ dalle labbra di Gustino.

“Gustino Meo….” ripete’ Maurizio a voce alta e con lineamenti del viso concentrati.

“Ma allora?….” domando versando un altro goccio di vino in entrambi i bicchieri “allora…lei e’ quello del rango? (piccolo appezzamento di terreno)….lei…e’ quello degli zufoli, e’ quello che da un pezzo di legno ricava un flauto e regala ad ogni bambino che incontra?”

“Sì…sono io” rispose sorridendo il vecchio.

Immediatamente, alla mente di Maurizio, vennero a galla tutti i pettegolezzi e le malelingue che, anche involontariamente, aveva udito su quest’uomo. Forse il vino, forse il caldo, ma nella sua mente, le frasi udite da bambino ed ora ritornate alla mente, scorrazzavano da destra a sinistra e viceversa scontrandosi:

“Gustino….non ha mai fatto nulla in vita sua””Chi? Meo? Con quel rango che si ritrova potrebbe campare da signore.”

“Gustino? Lui basta che fa i fischietti per i bambini”.

“Pero’ e’ bravo. C’e’ chi da un pezzo di legno ricava Pinocchio, lui, zufoli”.

“Sara’ anche bravo ma non sembra giusto per niente”.

“Non ha nulla, non possiede nulla”.

“Vero! Siete mai stati a casa sua? Uno schifo”.

“Quella? Manchera’ poco prima che lami su se stessa”

Sapeva dove era quella casa, incastrata tra quella di Capotreno e quella della Marianna di Beccichino, dirimpetto all’aia della Marietta del por Ernesto. Quella casa, con a livello della strada la stalla per le pecore e per le due mucche, utili per arare la terra. Quella casa che emanava fin sulla strada un forte e penetrante tanfo di letame. Odore uguale a quello piu’ volte percepito nei suoi viaggi autostradali, soprattutto, nella Pianura Padana. Tanfo insopportabile agli olfatti piu’ raffinati ma capace di aprire nella sua mente una porta direttamente collegata ai suoi ricordi di infanzia, a quel mese di Agosto di ogni anno, passato nella sua terra natia, nel suo paesello. Maurizio aveva avuto la fortuna di assistere al passaggio dalla civilta’ contadina a quella industriale, aveva conosciuto, seppur ormai alla fine, costumi, odori, profumi e stili di vita ormai scomparsi.

Scosse la testa: “Maledette malelingue” penso’. Volse lo sguardo al vecchio, le voci tacquero.

“Gustino Meo….ti chiamero’ cosi’ da adesso in poi…..non piu’ “vecchio”! Mi piace questo nome…” disse riversando altro vino in entrambi i bicchieri “Suona di magico, fiabesco, quasi fatato….non credi?”

Il vecchio si rattristo’.

“Non c’e’ nulla di fatato e magico in me…..piu’ nulla”

Maurizio ne rimase toccato da quella risposta. Forse, involontariamente, aveva detto qualche cosa da non dire.

“Perche’?” domando con un tono di voce di massimo rispetto.

Il vecchio scosse la testa, le mani strinsero il capo.

Maurizio inghiotti’ e si fece coraggio:

“Parlami della tua vita…..parlamene se vuoi…mi interessa…io, come tu sai, sono di qui, discendo da questa gente, da questa terra, siete nel mio DNA”

Il vecchio libero’ la testa dalle mani, con la destra prese il bicchiere e lo avvicino’ a se.

“La mia vita, termino’ esattamente quasi quaranta anni fa………..Mauthausen”.

“Mauthausen?” ripete’ Maurizio a voce alta.

Con il capo, fece cenno di si.

Il ragazzo comprese immediatamente. Incrocio’ le braccia, allungo’ le gambe scivolando un po’ dalla sedia, volse lo sguardo in basso, fisso’ l’asfalto a tratti sciolto ed appiccicoso. Rimasero in silenzio entrambi.

Improvvisamente, si ritiro’ su dalla sedia, assumendo una postura piu’ corretta e decisa. Volse lo sguardo al vecchio, senza volontariamente incrociarlo, con l’espressione di chi avesse indovinato la risposta ad un quiz. La sussurro’, pero’, a voce bassa:

“Il bambini….gli zufoli….i regali…..i bambini….”

Il vecchio alzo’ la testa di scatto. Introdusse i suoi occhi in quelli del ragazzo.

“I bambini…..” ripete’ “quanti bambini…poverini…..le canzoncine, le partenze sui camion, le canzoncine…le risate…la gioia della gita….il non ritorno….il terrore sui visi delle madri…..quante vite, quante giovani vite….e tu?……Tu, che allora non eri nemmeno nato, tu, tu solo hai capito, tu solo hai compreso….”

Il vecchio stacco’ lo sguardo perdendolo in altra direzione, nel vuoto.

I suoi occhi si bagnarono, come sicuramente milioni di altre volte gia’ si erano bagnati. Quelle lacrime silenziose avevano imparato a memoria la strada tra le rughe del viso.

Maurizio gli poggio’ la mano sulla spalla e la strinse.

Gustino si volto’ verso di lui.

Il ragazzo introdusse i suoi occhi negli occhi del vecchio, fissandoli, senza piu’ sfuggire.

Quegli occhi, quello sguardo, era lo sguardo di chi:  “Il lavoro rende liberi”.

ARBEIT MACHT FREI

 

 

 

 

 

 

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