Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “Improvvisamente,una mattina….” di Simonetti Jaclyne

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Improvvisamente, non ci sei più.

Mi ero abituata a vederti, a cercarti ogni giorno ma, oggi, mi sono accorta con dolore, che sei sparito.. Me lo avevi accennato “ partirò fra poco”- dicevi- ma non pensavo che la tua partenza fosse così imminente. Ed ora mi sento vuota e delusa, non certamente di te, ma di me e della mia superficialità, per non avere capito che avevi bisogno, forse, anche di me che ti avevo costretto a scoprirti subdolamente  senza farmene accorgere.. che non ero io ad essere importante, bensì, tu per me, lo eri, anche se non lo sapevo ancora.
Ti vedevo da tempo, in questo freddo ed inusuale inverno, spuntare da quella strana macchina rossa parcheggiata lungo la pineta…Uscivi piano piano, tutto indolenzito, prendendo aria dopo una lunga notte, sdraiato sui sedili anteriori della tua “casa” rossa. Assomigliava ad un carro da circo con tutte quelle scatole, piene o vuote , non l’ho mai saputo, quegli ombrelloni vecchi , quelle sedie da buttare via, quei sacchetti di plastica pieni di oggetti vari, raccattati probabilmente qua e là nei punti di raccolta delle immondizie …Li vedevo, gli zingari che cercavano oggetti da raccattare per venderli in seguito. .Anche tu, avevi fatto come loro? E oltre a quei reperti sistemati con sapienza sul tetto , c’era un’intera casa all’interno, la tua casa , una casa essenziale e povera, da far rabbrividire. Probabilmente le tue uniche risorse per l’inverno, per l’estate, per ogni stagione.. Vestiti, oggetti vari, pentole e scarpe , tutto mescolato in modo grottesco, ammucchiati al punto tale che per poter dormire dovevi rannicchiarti sui sedili anteriori.. Non c’era spazio per distenderti malgrado tu non fossi un uomo alto né robusto.
E poi, quella impenetrabilità di quello strano alloggio…Non si percepiva niente di ciò che potesse contenere perché proteggevi la tua intimità con pupazzi, giornali, riviste, cenci vecchi e chi si avvicinava per cercare di intravedere, rimaneva deluso ..Niente appariva attraverso i vetri annebbiati e impenetrabili della tua unica casa.. Ti nascondevi di giorno, e di notte, là dentro,  dovevi ridere di chi voleva violare la tua vita segreta…Provate, provate pure ma non vedrete niente.. ti immagino mentre lo pensavi, con quegli occhietti scuri e buoni che mi guardavano passare, io , indifferente come se tu non esistessi..
Ma era paura, come abbiamo tutti paura di chi o di che cosa non conosciamo..
Chi poteva sapere se eri dentro oppure no? Io, sì , lo sapevo perché ormai conoscevo i tuoi movimenti e i tuoi orari… La mattina , quasi all’alba, uscivi tutto infreddolito, ti stiracchiavi e respiravi forte.. Guardavi il cielo e decidevi dove passare il resto della tua giornata.. Come una brava massaia scuotevi fuori dalla macchina le tue povere lenzuola e vecchie coperte che ti riparavano forse, dal freddo. Con la bottiglia piena d’acqua, ormai, lo sapevo, ti sciacquavi il viso e con un asciugamano che doveva sapere di muffa ti asciugavi… Sapone, rasoio e eccoti qua tutto rinfrescato per affrontare una nuova giornata…Il tuo specchio era il retrovisore nel quale controllavi il tuo aspetto. Potevi affrontare la vita cittadina senza dare nell’occhio ed attirare forse gli sguardi incuriositi o malvagi degli altri? Nessuno avrebbe potuto capire nel vederti deambulare per le strade quale fosse la tua vita vera, i tuoi problemi e le tue angosce, i tuoi rimpianti e soprattutto i tuoi bisogni.
Ma dove andavi con quel passo tranquillo e rilassato?.. Non sembravi sofferente , anzi guardavi al mondo con uno sguardo distaccato e quasi divertito… finché, un giorno, in cui ebbi il coraggio di alzare gli occhi e guardarti in faccia per vedere, se almeno tu , mi vedevi… mi rivolgesti la parola e io ti risposi con serenità  e mi accorsi allora che eri come tutti gli altri, una persona come tante, che cercavi di comunicare qualcosa. Allora, mi fermai e abbiamo cominciato a chiacchierare ..Parole spezzate, incomplete ma significative.. Era come se il sole fosse apparso all’improvviso rendendo tutto più chiaro e semplice, trasparente, senza più nessuna remora.. Un velo era caduto, il velo dell’ignoranza e dell’egoismo.
All’inizio, il pretesto fu la mia cagnetta. “anch’io avevo un cane.. Ma è morto l’anno scorso e mi manca”  mi dicesti. .Allora ti raccontai qualcosa di molto banale sul mio animale, che era anziano ma ancora in salute, brava cagnetta che aveva già quindici anni e speravo che durasse ancora tanto tempo perché era come una di famiglia.. Mi capivi ..anche per te era stato lo stesso.. Purtroppo,  non ce l’’aveva più il tuo compagno . E da quel giorno, mi fermavo ogni volta che ti vedevo in giro per scambiare qualche parola…

***

Colui che avevo considerato un barbone , non lo era affatto.. Era solo una fase della sua vita ma non era definitiva… Qualche sostentamento lo riceveva perché aveva lavorato per tanti anni da artigiano e con quella piccola pensione sopravviveva, come poteva.. Non si lamentava ..Diceva solo che da mangiare, non gli mancava ma non si poteva permettere una casa o un albergo e visto che possedeva una macchina, vecchia ma ancora efficiente, l’aveva trasformata in camera da letto. Ogni mattina la metteva in moto…perché non aveva intenzione di restare a lungo anche se la città gli piaceva.. Infatti, ogni giorno, la attraversava e conosceva tutti i posti.. sopratutto i giardini, i parchi, le piazze là dove potevi trovare un rifugio, un posto a sedere e guardare la vita che scorre, i bambini, gli anziani ma anche i diseredati provenienti da ogni luogo di questo mondo.
Restava ancora per un po’ perché qualcuno gli aveva promesso un lavoro, da falegname, professione che gli aveva dato benessere e sicurezza per tanti anni. Il mestiere, lo conosceva bene e poteva assicurare a chi gli avesse dimostrato fiducia che era onesto e capace. Tuttavia, non sembrava convinto che tutto andasse a buon fine .. Lui, veniva da un altro posto, da un’isola. Era stato il solito emigrante partito alla ricerca di un lavoro sicuro. “Io ho lavorato sempre, ed ero pagato bene  e avevo anche una compagna. Mi voleva bene ma ora.. lassù , nel Nord quella, l’ho lasciata” ..Si sentiva la delusione e l’amarezza. “Figli? No. Non ne ho mai avuto per fortuna”  ..Io, non osavo chiedere di più ..Mi raccontava quello che voleva lui, o si sentiva di dire…Doveva essere lui, a raccontarsi se ne avesse sentito il bisogno.
Quando lo vedevo in altri posti della città, spesso in qualche giardinetto, a mangiare o a sedere per vedere passare la gente, lo salutavo con la mano o mi avvicinavo per scambiare due parole.. Lui, mi chiamava “ Madame” perché aveva capito e mi aveva chiesto da che paese provenivo.. Glielo dissi senza problemi come lui mi aveva confidato tante cose… Avrei voluto sapere ancora di più ma non osavo per timore di sembrare troppo curiosa.. Pian piano mi avrebbe detto di più, ne ero certa…
Ed ora, non c’è più.. Ma lo so dove è andato.. me lo aveva confidato.. Sarebbe ritornato nella sua isola dove ancora qualche parente c’era.. Voleva tornare alle sue origini, rivedere la sua terra. Mi venne in mente un bellissimo libro letto qualche anno fa.. La storia tormentata di un uomo diventato barbone malgrado se stesso.. Abbandonato dalla sua donna, senza più lavoro , disperato,  intraprende un lungo viaggio avventuroso pieno d’insidie e di umiliazioni, senza denaro, da clandestino e attraverso mille difficoltà, riesce a raggiungere la sua terra da dove era partito per cercare fortuna e che voleva rivedere prima che fosse troppo tardi. Ci giungerà per morire, davanti al suo mare, davanti al suo sole, un viaggio verso la vita che diventerà morte… oppure verso una morte simile ad una  vita ritrovata?
Sarà uguale anche per l’uomo di cui so così poco?.. Mi aveva anche detto come si chiamava ma l’ho dimenticato.. Per me , rimane l’uomo dalla macchina rossa.. Ha portato via con sé  dei ricordi della nostra strana amicizia.. Gli avevo regalato qualche indumento e una coperta calda per avere meno freddo.. Glielo chiedevo sempre di dirmi di che cosa avesse bisogno e , lui, ogni tanto accennava a qualcosa di essenziale.. La sua ultima richiesta che non ho avuto tempo di esaudire era strana e commovente.. Qualche biancheria intima per lui, “mi servirebbe” mi disse, gli avrebbe fatto comodo. Mi dicevo “ ora gliela vado a comprare”.. Non volevo dargli roba usata .. Quando dovevo portare qualche cosa che mi aveva chiesto, lo appoggiavo sulla macchina in uno scatolone vecchio e vuoto pronto ad essere  riempito. E lui, appena mi vedeva, mi ringraziava…Che strano il mondo! Come la vita ci sorprende non sempre in modo negativo! Tuttavia, mi sentivo colpevole, di non osare far di più.. Sempre quella paura che ci attanaglia nell’andare incontro all’ignoto.. E se fosse un pericolo? E se si attaccasse troppo a me? E se diventasse troppo esigente?  Tutte quelle paure prettamente e umanamente egoistiche, che è difficile superare quando la nostra educazione troppo borghese ci impedisce di agire secondo i nostri istinti..
Ho saputo che qualche altra persona gli appoggiava ogni tanto anche un po’ di cibo ..Mi chiedeva: “è lei che me lo ha portato? ”  No, non ero io, ma ero felice di vedere che qualcuno mi aveva seguita nel mio cammino verso la solidarietà.
Questa mattina, la macchina era sparita.. Che dispiacere di non avere potuto salutare e parlare ancora con l’uomo dalla macchina rossa…Sono passata vicino alla panca dove s’installava per mangiare quando il sole appariva anche nelle giornate fredde… Davanti a lui, ogni ben di Dio.. non si faceva mancare niente.. Le sue risorse gli permettevano un buon pranzo ogni giorno  e quando il sole era perfino troppo forte, si riparava dai raggi ancora deboli, con un buffo ombrello.. e si credeva al mare! “Chi sta meglio di me?” mi diceva.
Vicino alla sua panchina preferita, guardo come in cerca di qualcosa che si fosse dimenticato.., una traccia del suo passaggio, una briciola della sua vita ed ecco, chinandomi, intravedo tra le erbe alte un apriscatole con cavatappi,quello che usava per tagliare ed aprire i barattoli o le bottiglie.. Era nascosto, lì, tra i cespugli. L’ho raccolto non senza esitazione e timore, come se dovesse bruciarmi le dita. Ma di che cosa avevo paura? Non saprei definirlo ma ecco che ritornava in me quel senso di vergogna non giustificabile ma anche un’emozione strana, una dolce e amara sensazione. Lo userò anch’io quell’apriscatole o lo lascerò in fondo ad un cassetto per sempre? Non potrò mai dimenticare quell’incontro così casuale e diverso, durato così poco, nei mesi d’inverno. La primavera lo ha interrotto lasciandomi una triste e inconfondibile sensazione, un arricchimento personale insostituibile …La mia speranza è che, anche l’uomo dalla macchina rossa, abbia conservato un bel ricordo di me e che magari, qualche giorno, ripassi da queste parti per finire il suo racconto e che la sua fuga verso il suo destino non sia stata per morire, ma per vivere ancora e ancora….e per non perdere la  speranza……
E poi, non era così anziano. Eravamo coetanei. Me ne ricordo improvvisamente….

Giugno 2012

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2 commenti »

  1. Un bel racconto, poetico e delicato ed originale. Descrivi in maniera leggera la vita di un uomo come tanti che normalmente definiamo barboni e che chiameremmo probabilmente in modo diverso se, come in questo caso, si andasse oltre le apparenze.
    Mi è piaciuto molto.
    Complimenti Jaclyne.

    marco

  2. Mi piace il racconto perchè descrive la vita della persona che ha scelto di essere un clochard; l’autrice ci fornisce molti aspetti e comportamenti della persona di cui tace il nome per riguardo. L’autrice ci conduce nei suoi sentimenti via via che la conoscenza con il clochard supera la diffidenza iniziale per raggiungere la confidenza. Brava Jaclyne.

    Emanuele

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