Premio Racconti nella Rete 2013 “Un colpo di coda” di Lucia Cosci
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Ho mollato gli ormeggi. E’ accaduto un pomeriggio con la pioggia che lavava i vetri che incastonano il mio ufficio del settimo piano, in un palazzo rinascimentale del centro.
Ho tirato via dal muro a stucco dorato la pergamena con il centodieci e lode e il master di Oxford. Ho pigiato dentro al camino del palazzo rinascimentale la raccolta del sole ventiquattrore degli ultimi due anni. Una fumata grigia ha sputato in un colpo un cumulo di bot, spread, btp, azioni e previsioni. Tutti i numeri e i pensieri che mi toglievano il sonno e il respiro.
“Guido, se continua così saremo i prossimi a saltare” mi ripeteva sempre più spesso al mattino, davanti al nostro caffè e al briefing della riunione del consiglio di amministrazione, il mio socio. E io dovevo correre all’ultimo piano del palazzo rinascimentale, sul terrazzo, come un ragazzino impaurito, affinché affluisse aria nei miei polmoni. Aria nera di smog, a spingere giù quella matassa di pensieri. Momenti così erano sempre più frequenti. Una volta avevo lasciato la spesa sul nastro ed ero corso fuori, fradicio di sudore ghiaccio con addosso gli occhi sbarrati della cassiera ed il cuore che batteva colpi come un cavallo impazzito. “torno subito” le biascicai io e appena l’aria nera del parcheggio mi passò nei polmoni e le gocce dello psicanalista entrarono in circolo, tornai a pagare e prendere la busta.
Una sera ho pensato di buttarmi dentro a questo fiume marrone per le forti piogge di questo inverno. Poi ho pensato che un canottiere avrebbe ripescato il mio corpo mangiucchiato dalle pantegane. Così ho lasciato perdere.
Sì perché io da questa città piena di sé, di turisti, di gelati gonfiati con l’aria, di musei a pagamento, di auto in colonna e di smog, di cinesi, me ne voglio andare senza lasciare traccia. Nemmeno un titolo di giornate “trovato corpo di noto imprenditore, già avanzato stato di decomposizione”. Non voglio nemmeno un trafiletto così, un funerale con musi lunghi che pochi minuti dopo starebbero a rimpinzarsi la bocca di tartine per l’aperitivo.
Ma di notte quella matassa mi si intrigava nelle viscere ed il peso mi teneva come piombo attaccato al materasso. Senza sonno.
Una notte di quelle con gli occhi stremati, ho trovato per caso dentro al comodino un libro di racconti zen. Una storia di pescatori [1].
La mia testa ha dato un colpo di coda, come un pesce.
Ho lascito tutto, a soli sei anni dalla pensione. Un ‘azienda sull’orlo del disastro. Una ex moglie. Figli grandi ormai distanti dal cerchio della mia vita. Una casa a due piani. Un auto rossa. Il tennis del giovedì coi colleghi e i pranzi dal Procacci.
Qua venivo da piccolo, ci abitava mio nonno. con le mani spaccate dagli ami e il sorriso aperto come un melone maturo.
E’ stato difficile all’inizio. Vivere tra quattro legni dipinti di celeste. Senza wi-fi, senza macchina del caffè elettrica che si attiva con la sveglia.
Al mattino, senza veli alle finestre, il sole entra con prepotenza. Apro gli occhi poco dopo l’alba.
Ed in pochi passi mi tuffo nella stessa acqua dove sguazzavo da piccolo, con gli occhi vuoti di futuro e pieni di presente. Una cosa stupida. Un tuffo nell’acqua. Eppure non ho più matasse in gola. Ho solo quella da pesca. Sulla barca a remi che mi porta fuori ho sbaffato di nero il nome “onda”
L’onda che mi muove il cuore e che per troppi anni mi è mancata. E pensare che bastava un pezzo di mare in un isola di questo arcipelago, un pesce, una partita a carte con amici ossuti e sorridenti, un tavolo e una bottiglia di vino bianco dell’isola per far ondeggiare di nuovo il mio cuore.
Lo sciabordio del mare mi culla sempre e alla sera, anche in inverno, lascio un vetro di camera leggermente accostato.
[1] IL RACCONTO ZEN (è una storia che ho trovato su web, di cui non compare l’autore. Forse in parte ispirata al racconto di Heinrich Böll “il turista e il pescatore “)
Sul molo di un piccolo villaggio messicano, un turista americano si ferma e si avvicina ad una piccola imbarcazione di un pescatore del posto.
Si complimenta con il pescatore per la qualità del pesce e gli chiede quanto tempo avesse impiegato per pescarlo. Il pescatore risponde: ‘Non ho impiegato molto tempo’ e il turista: ‘Ma allora, perché non è stato di più, per pescarne di più?’
Il messicano gli spiega che quella esigua quantità era esattamente ciò di cui aveva bisogno per soddisfare le esigenze della sua famiglia. Il turista chiese: ‘Ma come impiega il resto del suo tempo?’ E il pescatore: ‘Dormo fino a tardi, pesco un po’, gioco con i miei bimbi e faccio la siesta con mia moglie. La sera vado al villaggio, ritrovo gli amici, beviamo insieme qualcosa, suono la chitarra, canto qualche canzone, e via così, trascorro appieno la vita.’
Allorché il turista fece: ‘La interrompo subito, sa sono laureato ad Harvard, e posso darle utili suggerimenti su come migliorare. Prima di tutto dovrebbe pescare più a lungo, ogni giorno di più. Così logicamente pescherebbe di più. Il pesce in più lo potrebbe vendere e comprarsi una barca più grossa. Barca più grossa significa più pesce, più pesce significa più soldi, più soldi più barche… Potrà permettersi un’intera flotta! Quindi invece di vendere il pesce all’uomo medio, potrà negoziare direttamente con le industrie della lavorazione del pesce, potrà a suo tempo aprirsene una sua. In seguito potrà lasciare il villaggio e trasferirsi a Mexico City o a Los Angeles o magari addirittura a New York! Da lì potrà dirigere un’enorme impresa!’
Il pescatore lo interruppe: ‘Ma per raggiungere questi obiettivi quanto tempo mi ci vorrebbe?’
E il turista: ‘20, 25 anni forse’ quindi il pescatore chiese: ‘….e dopo?’
Turista: ‘ Ah dopo, e qui viene il bello, quando il suoi affari avranno raggiunto volumi grandiosi, potrà vendere le azioni e guadagnare miliardi!’
E il pescatore:’miliardi? e poi?’
Turista: ‘Eppoi finalmente potrà ritirarsi dagli affari e andare in un piccolo villaggio vicino alla costa, dormire fino a tardi, giocare con i suoi bimbi, pescare un po’ di pesce, fare la siesta, passare le serate con gli amici bevendo qualcosa, suonando la chitarra e trascorrere appieno la vita’.
Il protagonista ha realizzato il sogno che è in ognuno di noi: scappare lontano, per vivere una vita semplice e primitiva. Quanti di noi però avrebbero il coraggio di fare lo stesso, fuori dal racconto? Il ritorno alla “natura” è un tema sfruttato, ma cattura l’attenzione perchè narrato nella stringatezza di poche righe, in cui tutto è ridotto all’essenziale, così come la vita Guido, adesso.