Racconti nella Rete 2009 “Ricordi di guerra…”di Maria Concetta Bella
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009Grazie alla catena dei ricordi “repetentia nostri” di Lucrezio, riesco a fare sopravvivere la mia infanzia.
Certamente, avrete letto o ascoltato i ricordi di guerra di persone anziane.
Vi sarà stato più difficile ascoltare le labili memorie di bambini che hanno vissuto quel periodo in uno stato di semicoscienza per qualcosa più grande di loro.
A distanza di parecchi anni, le emozioni, i dolori, le gioie di quel periodo, riemergono all’improvviso e li rivedo come in un film vecchio e sfocato ma, nello stesso tempo, vivo ed attuale.
Anche se non sono stata a combattere in prima linea, per la mia tenera età, ho visto più di una volta la morte in faccia.
Questo episodio mi è stato raccontato dai miei genitori, perchè io era troppo piccola per potermene ricordare.
“Non sparate, ci sono bambini!”… e una bella bambina bionda e paffuta emerse dietro la vasca del palmento.
E subito i mitra si abbassarono ed un sorriso apparve sui visi sporchi e sudati dei soldati.
Quella bambina ero io ed a sollevarmi erano le braccia di mia madre che, superato il terrore, era riuscita a salvare da probable morte la vasta parentela, che stava nascosta dentro il grande palmento tremante e paralizzata dalla paura.
Ad uno ad uno, i vari parenti uscirono a stringere la mano ai soldati americani, che erano in cerca dei tedeschi in fuga.
Per festeggaire lo scampato pericolo, si stapparono vecchie bottigjlie di vino e tutto si concluse con un banchetto. Poco dopo, i soldati ripartirono contenti e rifocillati; anche loro desideravano sentire il calore di una famiglia e non avevano voglia di uccidere ancora.
Non fu questa la sola volta che vidi la morte in faccia. Ma,un’altra volta, la vidi dipinta sul volto di una donna.
In una catapecchia vicino alla casa dove abitavo, viveva una donna di nome Terese di età indefinibile.
La vedevo passare avvolta nel suo scialle nero e sdrucito ed era sempre sporca,affamata ed anche brilla.
Una mattina, mi fu proibito di uscire nel cortile di casa: sentivo il vociare concitato di tante persone e di nascosto guardai da dietro un’imposta socchiusa.
Al centro del cortile, avvolta nel suo scialle nero e bagnato, giaceva Teresa: il volto gonfio e rigido, fermo in una smorfia di dolore.
Anche se piccola, capii che Teresa era morta e scappai via piangendo terrorizzata.
La mamma mi raccontò che la povera donna, durante la notte, si era gettata nella nostra cisterna.
La solitudine, la povertà e la fame di quella lunga guerra l’avevano distrutta nell’animo e nel corpo.
In una notte buia e senza stelle, aveva messo fine in quel modo assurdo ai suoi tristi giorni.
Ma la sera prima di commettere quel folle gesto, aveva chiesto perdono a tutti quelli che conosceva.
Nessuno aveva capito la sua disperazione, pensarono che la poveretta fosse in preda all’ennesima sbornia.
Ancora a distanza di molti anni, ricordo quella fredda smorfia di morte e forse per questo che ho avuto sempre paura dei cadaveri e dei cimiteri.
Gli shock subiti da piccoli sono quelli pù difficili da superarre: il cervello registra e fissa le immagini in modo indelebile, soprattutto quelle dolorose e tragiche.
Varie sensazioni riemergomo ancora come fantasmi senza pace: il desiderio dei giocattoli che difficilmente si trovavano in quel periodo, la voglia di cose dolci e belle, il desiderio di indossare abiti nuovi e graziosi.
Eppure, noi eravamo dei bambini fortunati: i nostri genitori non ci facevano mancare il necessario ma, quando si ha il necessario, si desidera sempre il superfluo. Proprio questo desiderio di avere nuovi giocattoli mi spinse ad infilarmi di soppiatto in casa di mia zia, che abitava vicino alla casa dei miei genitori.
Entrai nella camera di mio cugino e lì trascorsi le ore più belle della mia vita. Dimentica di tutto, persi la cognizione del tempo: ero nel paese delle meraviglie e non avevo mai provato tanta felicità.
Ricordo anche le urla di gioia di mia madre quando mi ritrovò sana e salva e lo spavento che provai vedendola in quello stato. Seppi, dopo, che si era sparsa la voce che un soldato mi aveva rapita per portarmi in America e,quindi, tutti i parenti e gli amici da ore mi cercavano angosciati.
Ricordo ancora le bambole di pezza che mi cuciva nonna Antonietta: erano bruttine, ma le stringevo al cuore come tesori!
Ricordo anche le decine di polpette e di torte di terra che impastavo e fingevo di cucinare nella villetta davanti alla mia casa.
Ricordo il maglioncino di lana nuovo ottenuto filando con il fuso la lana dei materassi e poi dipinto con un intruglio per renderlo “bello”.
Ricordo il latte in polvere nauseante ed il pancotto preparato con il pane nero e raffermo.
Ma noi bambini eravamo sempre allegri e pronti ad inventare nuovi giochi; anzi, la mancanza di giocattoli stuzzicava la nostra fantasia e la nostra creatività faceva progressi.
Organizzavamo gare di corsa e di velocità tra polli e pulcini: foravamo al centro dei fogli di quaderno usati e vi infilavamo le teste dei pennuti che, spaventati, si “scaraventavano” in una folle corsa!.
Sul finire della guerra, ebbi la mia prima bambola vera, ma era troppo bella e non ebbi il permesso di giocarci: potevo solo guardarla…!
Così, quando mi regalarono un cavalluccio di cartone con le ruote, lo adottai come figlio e lo coccolai per settimane. Poi, mi resi conto che così non poteva continuare e lo abbandonai al suo destino.
A volte, penso alla montagna di giocattoli che ho regalato ai miei figli: loro non capiranno mai che cosa significhi desiderare qualcosa, perchè io ho sempre comprato loro tutte le cose belle che non ho potuto avere in quel periodo di guerra e di fame. Non ho dato loro la possibilità di chiedere o desiderare qualcosa.
Ho sbagliato, certamente! Ma ho potuto godere della loro felicità e confesso di essermi divertita a giocare più di loro.
Forse per questo le nuove generazioni non hanno desideri e voglia di fare, perchè nonni e genitori non fanno altro che prevenire i loro desideri e non danno loro la possibilità di conquistare con le loro forze, passo dopo passo, il loro domani.
Dio non voglia che questi nostri amatissimi e coccolatissimi figli del 2000 abbiano a conoscere, dopo tanta agiatezza,la fame, la miseria, le privazioni. Non credo che potrebbero resistere come noi, che non avevamo mai avuto niente e che avevamo temprato l’animo con mille sacrifici.