Premio Racconti nella Rete 2013 “A Rita” di Sabrina Cinzia Soria
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013La notizia mi ha colpito come uno schiaffo in piena faccia.
Tu, Rita, che sei la mia migliore amica, hai il cancro.
Me lo hai detto un pomeriggio al telefono. Ero intenta a trapiantare i gerani che solo il giorno prima eravamo andate a comprare insieme in quel vivaio che conosci tu e che, a sentire te, vende le piante migliori.
Mi avevi contagiato con il tuo amore per i fiori e, anche se non del tutto convinta, avevo accettato volentieri.
Ora, con le mani sporche di terra e una miriade di scodellini ricolmi di piantine da mettere nei vasi, senza la prospettiva di finire a breve, mi maledicevo per la mia debolezza.
Ho sentito il telefono suonare e, scavalcando sacchi di terra e ciotole, sono andata a rispondere.
“Ciao”.
Solo ora mi accorgo che la tua voce non era squillante come al solito.
Lì per lì ero tutta presa da quel lavoro extra che, grazie a te, mi ero procurata, e del tempo prezioso che stavo perdendo.
“Ah proprio tu…sono qui che sto travasando a tutto spiano e non so ancora quando ne vedrò la fine, mannaggia a te! Ti venisse…” ti ho detto sconsideratamente.
“Mi sa che mi è già venuto…” hai risposto con un tono che mi ha fatto finalmente capire che qualcosa non andava.
Ci siamo viste dopo due giorni, che tu hai trascorso in ospedale a fare una montagna di esami e controlli, e io a piangere e disperarmi inutilmente.
L’idea di vederci mi mette quasi timore, una sensazione che non ho mai provato con te, abituate come siamo a confidarci tutto e a essere sincere senza pietà; quello che ci diciamo ha sempre corrisposto a ciò che pensiamo.
Ma ora è diverso: non so come comportarmi; non so come esserti di aiuto, come consolarti perché in realtà non riesco a consolare me stessa.
Poi t’incontro e ogni difficoltà si dissolve; perché tu sei tu, tu sei la migliore tra noi due, con questo meraviglioso carattere che il cielo ti ha donato.
Mi racconti i due giorni in ospedale con il tuo solito umorismo, spiegandomi, quasi con entusiasmo, le cure che dovrai iniziare; e, per la prima volta, mi si insinua il dubbio che ciò che dici non corrisponda veramente a ciò che pensi. Poi però ti guardo parlare e mi vergogno di questo pensiero; sei davvero convinta che tutto andrà per il meglio e, alla fine, convinci anche me.
Come me hai una famiglia, con tutto il suo carico di impegni e preoccupazioni che si porta dietro e, come me, forse più di me, sei accentratrice; non per prepotenza, ma per dolcezza e amore; per quell’antico spirito di sacrificio che la donna si porta innato dentro di sé e che in te è particolarmente vivo.
Piano piano però, qualcosa ora devi lasciare, ed è questo, io lo so, che ti fa soffrire di più.
Accetti il dolore con un’energia che mi lascia sgomenta; stai combattendo una guerra, la guerra per la vita, e io, che sono la tua migliore amica, fatico a starti dietro, arranco. Perdo terreno e vacillo di fronte ai corpi magri e ingialliti delle persone che incontro nei corridoi dell’ospedale quando ti accompagno per la chemioterapia; trattengo a stento le lacrime quando sei costretta a indossare la bandana perché della tua bella capigliatura riccioluta non sono rimasti che pochi radi peli.
” La parrucca mai!” hai risposto al medico che te l’aveva proposta “mi sa di falso; io sono come sono”.
“Forse però potrebbe essere un’occasione per cambiare look. Che ne dici di un biondo platino?” mi hai detto scherzando.
Io rido a fatica delle tue battute e spero tanto, in cuor mio, che tu non te ne accorga.
I tuoi due figli quasi adolescenti, così dipendenti da te, inevitabilmente stanno diventando autonomi; il più grande aiuta la sorella più piccola e Sandro, tuo marito, tra lavoro e famiglia, si arrabatta come può.
Spesso al pomeriggio, dopo la scuola, i tuoi figli li porto a casa da me, giocano coi miei; sembrano sereni, e questo è ancora una volta merito tuo perché sono lo specchio della tua serenità, quella con cui affronti questa prova terribile.
Il ciclo di chemioterapia è finito, ma gli esami non vanno affatto bene; bisogna solo aspettare, dicono i medici.
A te raccontano una bugia; raccontiamo – tutti noi che ti vogliamo bene – una bugia. E questa per me è la cosa più brutta; non la bugia in sé, che è comprensibile, è pietosa, inevitabile, ma è sedersi accanto a te e ascoltarti mentre fai progetti per il futuro che mi fa male: la macchina che finalmente hai deciso di cambiare, dopo tanti anni che ti ostinavi a usare quel vecchio macinino o la vacanza che hai detto ci faremo insieme appena finita questa storia, “perché mi son resa conto che la vita è una sola e bisogna godersela”.
A casa non puoi più stare; hai bisogno di troppi marchingegni: ossigeno, catetere, morfina; ma soprattutto non vuoi essere d’intralcio alla tua famiglia, non vuoi che i tuoi figli vivano respirando odore di medicine.
Vai in ospedale convinta che ti “rimettano in sesto” come mi dici quando vengo a trovarti il giorno dopo; ti hanno sistemato in una stanzetta squallida, ma tu dici che è tranquilla e silenziosa; ti trovi bene e dici che tutti sono molto gentili con te. E come si potrebbe non esserlo? Sei tu la prima a essere gentile con gli altri, la prima a farti voler bene.
Vengo a trovarti ogni giorno e ci facciamo una bella chiacchierata; tu non hai male – le alte dosi di morfina tengono a bada il dolore – e io ho imparato un po’ di più a fingere; riesco a conversare, persino a ridere con te come se nulla fosse; le lacrime e la disperazione le conservo per la sera.
Ieri sono venuta a trovarti e, come al solito, abbiamo chiacchierato; non sapevo che sarebbe stata l’ultima volta.
Oggi tu non ci sei più.
E’ il primo giorno senza di te, ma il pezzo di vita che abbiamo percorso insieme rimane saldo dentro di me.
Penso a te come alla persona a cui vorrei assomigliare, ma a cui forse non assomiglierò mai. Mi rendo conto di essere stata privilegiata a conoscerti, e ancora non capisco cosa io abbia fatto mai per meritarti come amica; cosa, tu così forte, eccezionale, positiva, ti abbia fatto scegliere me, così debole e mediocre, come tua più intima confidente. Ma lo hai fatto.
Grazie Rita.
Struggente, triste! Sarà l’età o la situazione ma ho pianto. Ben scritto, brava. Rita ne sarebbe contenta. Silvia
È scritto in maniera molto semplice e per questo arriva dritto al cuore…un bell’esempio di amicizia tra donne più forte della morte
Dolce e purtroppo doloroso. Ma è nello stile di chi scrive. Riuscire a far apparire dalle righe un’emozione, quale che sia. Complimenti un bel racconto.
Bello, scrittura semplice che va dritta al cuore . Commuovente
L’importanza di poter attingere ai valori di una grande amicizia anche nei momenti bui. Rita sapeva di poterlo fare avendo accanto una persona tanto sensibile e affettuosa come la sua migliore amica, donna di grande umanità, portata a professare modestia, pur essendo stata lei stessa fonte d’ispirazione da cui Rita riusciva a trarre ulteriore forza d’animo.
Ho trovato questo racconto molto coinvolgente, emotivamente,
questo non mi ha impedito di notare la prosa asciutta e sempre brillante dell’autrice,
che riesce a portarci nel mondo delle due protagoniste con grazia e grande capacità narrativa.
bellissimo racconto
Grazie.
Ilenia