Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “San Giorgio e il drago di fumo” di Ilaria Cecchini

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Il mezzogiorno stava per prendere il posto della mattina. C’erano volute alcune ore – gran parte della mattinata in effetti – ma la nebbia che nella notte era salita dai laghi che circondano la città di Mantova era pian piano svanita. Nell’aria limpida, sotto il sole pallido e invernale di quel giorno di febbraio, freddo e a cavallo degli zero gradi, le persone assembrate sotto le mura di Castel San Giorgio battevano i piedi intirizziti e si spostavano verso la parte assolata del prato. Era una folla eterogenea, variopinta. Alcuni erano di mezza età, altre giovanissime. Alcune tenevano per mano un’altra ragazza, altre o altri si tenevano stretti a un ragazzo. Alcuni indossavano piumini o cappotti anonimi e scuri, altre portavano sciarpe o contrassegni arcobaleno. Un buon numero portava all’occhiello o fra i capelli un giglio bianco, preso da una cesta che riposava sul muricciolo che circondava il fossato del castello.

Un uomo giovane salì la scalinata che portava in cima alle mura del fossato. Da lì cominciò a parlare, senza microfono, alla folla sparuta che si faceva più vicina e a portata di voce. Parlò a lungo e con molte parole, alcune delle quali tornavano spesso, come ‘festa’ o ‘diritti’. Prediligeva i verbi al futuro rispetto a quelli al passato, soffermandosi tuttavia con forza tra i verbi al presente, sempre accompagnati dalla locuzione di tempo ‘oggi’. La gente guardava lui e si guardava attorno, ancora battendo i piedi intirizziti, ancora spostandosi anche solo di pochi passi per passare dall’ombra del castello alla luce calda del sole, che lento cambiava posizione nell’alto del cielo.
La folla non vide la nebbia che spuntò improvvisa alle loro spalle, nel punto in cui le acque del lago incontrano il ponte che le attraversa. Se ne accorse solo dopo, seguendo lo sguardo del giovane uomo che aveva smesso di parlare nel mezzo di una frase. Se ne accorsero quando il suono delle esplosioni giunse fino a loro dalla distanza del prato, che a malapena li divideva ora da un corteo di uomini sorto di colpo dal ponte, intruppati a coorte, vestiti di nero, il volto coperto da passamontagna scuri, striscioni e megafono fra le mani, bandiere nere con sigle a due lettere sventolanti nell’aria ormai grigia di fumo. I botti delle bombe carta scoppiavano due volte sulla folla: la prima, attutiti, direttamente attraverso il gran prato; la seconda, amplificati, provenivano come eco dalle pareti massicce di Castel San Giorgio.

Uno sparuto numero di uomini in divisa, con le insegne delle forze dell’ordine, si avvicinò agli uomini in nero, che rallentarono l’avanzata ma alzarono repentinamente il volume delle urla amplificate e distorte dai megafoni, e si sparsero a ventaglio a ridosso dei pochi agenti.

 

In silenzio, senza nessun ordine impartito, una parte della folla – quella dall’aspetto più anonimo e comune – si mise in mezzo al prato, fra la strada dove scoppiavano i fumogeni e la scalinata attorno a cui erano raccolti gli altri, formando una barriera di corpi: senza striscioni, senza simboli. Senza particolarità, se non per la posizione che avevano deciso di prendere; in cui avevano deciso di raccogliersi e rimanere ben dritti in piedi.

 

Il giovane uomo aveva ripreso a parlare, con voce acuta e concitata, sovrastando a malapena i botti che schioccavano irregolari ma continui; talora la sua voce veniva cancellata dal clamore sempre meno lontano. Riprendeva con forza. Poi si spezzava. Ciclicamente.

Fu allora che una persona di fianco alla scalinata, molto alta, magra sebbene di ossatura pesante, in abiti e trucco femminili, con una borsetta rossa lucente alla spalla, cominciò a urlare: “Vergogna! Vergogna!” sovrastando in volume e vigore sia il giovane uomo che le bande nerovestite. “Vergogna, vergogna!” esclamò ancora, e nonostante occhieggiasse oltre il prato, mentre urlava, il giovane uomo ammutolì del tutto, guardandola allo stesso modo in cui aveva fissato gli uomini in nero nei momenti in cui la voce gli si spezzava.

Prima che le grida riprendessero, una donna anziana affiancò il giovane in cima alla scalinata e prese la parola al suo posto. L’incedere del discorso era regolare e sonoro: senza esitazioni, nitido; cresceva in forza ad ogni parola. Non si spezzava, non ammutoliva. Ogni volto della folla si rivolgeva lei.

Le parole fluivano costanti: le più frequenti furono ‘ignoranza’, accompagnata da un gesto della mano che indicava lontano, e ‘figli’, con un allargare delle braccia rivolto a tutti, al di qua e al di là del prato. Man mano che parlava, gli occhi della folla ai suoi piedi si facevano più lucidi. Le schiene, più dritte. Risuonò per un’ultima volta la parola ‘madre’, la parola con cui si era presentata all’inizio.

Quando smise di parlare gli uomini in nero se n’erano andati. Rimaneva giusto un po’ di fumo, una foschia sottile diradata dal sole, e gli uomini in divisa ancora al limitare del prato.

 

La folla si fece più compatta; molti si misero in fila, a due a due, per salire a turno i primi gradini della scalinata, dove una persona li accoglieva e faceva loro domande, a cui assentivano: solennemente. Ogni frase conteneva la parola ‘sposo’ o ‘sposa’. La persona che li accoglieva non era sempre la stessa: una indossava una fascia tricolore al petto e rideva spesso, alla maniera di chi ha bevuto troppo vino a tavola – altre erano più serie – altre timide ed emozionate. Le coppie continuarono a presentarsi per lungo tempo. C’erano coppie di uomini, coppie di donne, coppie miste di donne e uomini, ragazzi, ragazze, in ogni combinazione: a turno salivano la scalinata, a turno ne scendevano sorridendo, o abbracciandosi, o baciandosi, o tutte e tre le cose assieme. Altri applaudivano. Nei discorsi ad alta voce e nelle frasi mormorate fra la folla appariva sempre più spesso, con più frequenza di tutte le altre, la parola ‘festa’.

 

Se ne andarono così come erano arrivati: a coppie e a piccoli gruppi. Rimase sul prato il sole alto nel cielo, a seguire il suo corso.

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