Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “A galla” di Roberta Zilio

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Un uomo in completo grigio scuro sta cercando il suo passaporto nella borsa porta-computer. Ricorda di averlo messo nella tasca interna dopo essersi imbarcato ed è certo di averlo tenuto lì al sicuro per tutto il tempo dell’attraversata atlantica. Una volta giunto a terra, vi ha infilato la mano, ha spazzato con le dita il tessuto di nylon fino in fondo: niente. Ha cominciato a scandagliare gli altri scomparti sollevando placche di velcro, tirando cerniere.

Niente.

La fila in cui si trova intrappolato avanza di qualche centimetro e deve sospendere la sua occupazione per strattonare in avanti il trolley in cui ha stipato due altri completi simili a quello che ha indosso, più tre paia di calze, tre paia di mutande e un numero non precisato di t-shirt da indossare sotto la camicia.

Non è abituato a stare in coda. A Los Angeles, pur di evitare il traffico verso l’ufficio nell’ora di punta, si alza alle cinque di mattina e poi, in viaggio di lavoro, ha sempre una carta di credito che gli apre ora una corsia preferenziale ora l’ingresso a una saletta d’attesa vip. Ma a Londra, davanti a un allarme attentato, non vengono fatte distinzioni per nessuno ed eccolo lì, assieme ad adolescenti in bermuda e infradito e coppie di mezza età cariche di borse, valigie e sacchetti del duty free.

Come se non bastasse ci sono le due pesti dietro di lui. Il maschio di quattro anni e la femmina di sei che hanno impedito di chiudere occhio a tutti i passeggeri di prima classe del suo volo. Adesso che sono costretti a stare in piedi i due continuano a lamentarsi per la stanchezza, ciondolano avanti e indietro, finendogli continuamente addosso. La sua pazienza è ormai giunta al limite, è il momento di richiamare sia loro sia i genitori. Si gira e così urta chi gli sta davanti, un giovane rasta dall’aria poco addomesticata, che tuona: “E faccia attenzione con quella borsa!”. Il brusio della folla lì intorno si azzitisce per qualche secondo, poi riprende uguale a prima.

“Se sapesse con chi ha a che fare non alzerebbe tanto la voce” vorrebbe tanto rispondergli , ma si trattiene. Le due pesti, intanto, continuano a spintonarlo.

Ogni volta che arriva in Europa la prima cosa che avverte è la mancanza di spazio. È per questo che i suoi nonni se ne sono andati, più di cent’anni fa. Si stava allo stretto e non c’era da mangiare. Così come al giorno d’oggi manca il lavoro. Ma questo è un problema che gli abitanti del vecchio continente non possono più risolvere trasferendosi negli Stati Uniti.

Chi sembra non temere disoccupazione è il personale di terra di Heathrow, impegnato a contenere e sorvegliare l’infinita serpentina dei passeggeri che procede verso il metal detector con la velocità di mezzo metro ogni cinque minuti.

Le speranze di prendere la sua coincidenza per Malpensa sembrerebbero quasi nulle, tuttavia l’uomo non vuole darsi per vinto e continua la ricerca del passaporto. Visto che non l’ha trovato nella borsa, comincia a ispezionare i propri indumenti. Si palpa sul petto e sui fianchi, sul sedere, risvolta la fodera dell’impermeabile.

Niente.

No, non può essere che l’abbia perso. È solo che è innervosito da questa attesa assurda, per questo non riesce a trovarlo. Il passaporto si materializzerà da solo, proprio quando avrà smesso di pensarci.

Un’addetta al servizio di sicurezza avanza ai lati della fila; è quasi vicino lui. Avrà su per giù l’età di Nancy, quando l’ha vista l’ultima volta. È minuta, sembra quasi scomparire in una divisa troppo grande per la sua taglia e si protegge dietro lo sguardo serioso che le incide una piccola ruga in mezzo alle sopracciglia. L’uomo ne è affascinato, forse perché soprattutto questo particolare gli ricorda sua figlia. Ma di tempo ormai ne è passato, chissà come sarà Nancy ora. Chissà se fa sempre quella faccia corrucciata quando è intenta a leggere un libro mentre sorseggia il caffé.

La ragazza cammina misurando un passo dietro l’altro, intanto parla al walkie-talkie. Scruta le persone come in cerca di dettagli che lei sola sembra essere in grado di riconoscere. Lui si sporge in avanti, le sfiora una spalla con la mano per attirare la sua attenzione:

“Sono il presidente della LBM americana e ho un biglietto di prima classe, il mio volo parte tra quarantacinque minuti e a quest’ora dovrei già essere al mio gate… ”

Lei lo inquadra nel suo campo visivo, lo mette a fuoco, come a realizzare il legame tra quel contatto e la figura che ha davanti e le parla, poi ruota la testa seguendo il resto del corpo che riprende ad avanzare lateralmente: “Mi spiace, ma non abbiamo possibilità di dare precedenza a nessuno.”

Lui non riesce a ribattere perché il blackberry si mette a squillare.

“Pronto!” ruggisce.

Non arriva nessuna risposta. E non perché chi ha chiamato si sia intimorito, ma perché l’apparecchio si è spento. Così, tutto a un tratto. Intanto l’addetta alla sicurezza è già andata oltre. Lui bestemmia, appoggia la borsa al trolley e vi cerca dentro la batteria di riserva. La inserisce, ma anche una volta premuto il tasto di avvio, il dannato aggeggio non dà segni di vita. Il monitor non si illumina, né parte il jingle che promette il contatto immediato con il resto del mondo.

La borsa porta-computer cade a terra.

Se avesse preso un volo diretto adesso sarebbe già dentro la vasca dell’albergo a Milano, quella fottuta cittadina provinciale camuffata da metropoli. E invece eccolo lì, impossibilitato a muoversi, impossibilitato persino a scatenare l’ira sulla sua assistente, la responsabile di quello scalo.

Calmo, deve stare calmo. L’uomo fa un respiro profondo, abbassa la testa finché non vede altro che la punta delle sue scarpe, le Pollini che si era regalato l’anno scorso, proprio a Milano, due giorni prima di Natale.

Di certo sfogarsi, e per di più su Margie (che lavora per lui da quanto tempo, ormai?), non gli farebbe saltare la coda.

“Mr. Rogers? C’è qui Mr. Andrew Rogers?”. È una voce di donna, giovane. Lui si volta indietro, nella direzione da cui l’ha sentita provenire. Finalmente. La compagnia aerea deve aver mandato qualcuno per trarlo in salvo da quella coda. Due hostess bionde e segaligne vengono nella sua direzione. Si sbraccia verso di loro, grida: “Sono qui!”.

Le donne lo guardano, una dice all’altra qualcosa, ridono e passano oltre.

Eppure gli era sembrato di sentirsi chiamare.

Si sente stanco. Non per il viaggio in sé. Più che stanchezza si tratta di una specie di malessere. La prima volta che l’ha avvertito è stato un mese fa, mentre era nel Wyoming. Era ormai la fine della vacanza con gli amici sul Wind River. L’ultimo giorno non aveva abboccato neanche un pesce. Steve e Rob avevano mollato ed erano tornati alla tenda, ma lui si ostinava a rimanere sulla riva. I suoi occhi erano fissi sul sughero appoggiato al pelo dalla corrente. Mentre l’acqua scorreva imperterrita e il pallino giallo rimaneva affacciato alla superficie, tra la lenza tesa dalla canna e l’amo ingoiato dal fiume, ha visto la sua vita, sospesa in un continuo andare e agire di cui non avrebbero saputo trovare il senso. Lui saliva e scendeva dagli aerei, prendeva decisioni nelle sale riunioni, dava direttive ai suoi sottoposti, ma il motivo di tutto questo non gli era più chiaro. Non era certo per soldi o per desiderio di potere che continuava ad andare avanti per quella strada. In realtà non faceva altro che stare a galla.

Da quel momento sulle sue spalle si è posata una specie di patina appiccicosa, che non si è più riescito a scrollare di dosso. Una coltre invisibile fatta di immagini, frasi, frammenti di ricordi, ricordi che richiamano altri ricordi.

Subito dopo che Nancy era scappata di casa Laurie gli aveva chiesto di smettere con quell’andari-vieni continuo tra Los Angeles e il resto del mondo. Lui ci aveva pensato su. E all’improvviso l’idea di fermarsi sul serio lo aveva abbagliato. Lasciare l’azienda, prendere una casa, magari in riva a un fiume, gli era sembrato non solo possibile, ma anche l’unica cosa che avrebbe sempre desiderato fare. Per la prima volta, dopo molti anni, si era sentito leggero, libero. Felice, ammesso che la felicità esista. In certi momenti era certo che tutto sarebbe andato per il meglio e che anche le cose con Nancy si sarebbero sistemate. Un giorno lei lo avrebbe chiamato e si sarebbero chiariti.

“Ancora un anno, il tempo per organizzarsi” aveva detto a Laurie.  Subito dopo era arrivata la promozione, lo avevano nominato vice presidente. Così, allo scadere dell’anno, aveva rimandato a quello successivo.

Infine se n’era andata anche Laurie.

“Andrew Rogers!” di nuovo la voce, ora più vicina.

C’è una ragazzina che si fa strada in mezzo alla gente ristretta tra le transenne; a chi la guarda torvo e oppone resistenza dà spiegazioni e mostra qualcosa che tiene in mano. Che cosa vuole quella, da lui? Adesso sono faccia a faccia.

Le ciocche di capelli colorati sulla fronte e una narice bucata da due anellini.

“Questo è suo?”

Lui tentenna. Gli manca la terra sotto i piedi.

“Guardi se è suo – insiste la ragazza, e gli allunga un piccolo libriccino scuro. Al centro, in lettere d’oro, United States of America – Era per terra vicino ai bagni. ”

L’uomo prende il passaporto, con un gesto meccanico lo apre e vi ritrova la sua faccia, senza gli occhiali e più giovane di qualche anno.

Lo richiude e lo infila nella tasca interna della giacca.

“Grazie” mormora, raggrinza la pelle a fianco degli occhi, il suo modo di sorridere. Senza aggiungere altro si gira verso le schiene che gli stanno di fronte.

Alla fine è stata l’azienda a decidere al suo posto: con l’inizio del nuovo anno dovrà rassegnare le dimissioni “per una riorganizzazione interna”. Così gli è stato detto.

All’ultimo consiglio di amministrazione non erano mancati i ringraziamenti commossi per “Trent’anni interamente dedicati alla LBM” e al cocktail che era seguito c’erano state anche pacche sulla spalla accompagnate da battute del tipo “Andy, avrai tanto tempo per pescare, non era quello che avevi sempre desiderato?”.

La coda avanza, Andrew Rogers trascina il trolley in avanti.

Adesso può anche perdere la coincidenza.

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