Premio Racconti nella Rete 2013 “Urlare si può” di Alessandra Bertini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013La diagnosi fu attacco di panico. Il medico di turno, rivolgendosi ad Emma disse: <<Signora non ha niente, sa quante ne capitano di casi così, è solo stress, cerchi di stare tranquilla>>. Ma si può stare tranquilli dopo aver passato una notte a credere di essere destinati alla morte, con il respiro che manca, il cuore che scoppia in petto, la testa che gira? Di quella notte era rimasta in Emma una paura quasi ancestrale, troppo grande per essere scacciata con un semplice <<non ha niente>>, tanto grande da far diventare insormontabili perfino le normali faccende di vita quotidiana. Nei momenti più impensabili, e senza preavviso il panico tornava a farsi sentire: alla riunione del gruppo di free climbing, distesa sul lettino dell’estetista o ancora in poltrona leggendo un libro.
<<Qualsiasi cosa decida di fare, anche la più semplice, diventa per me un’impresa epica, come cercare di scalare una montagna con l’infradito>>, ripeteva spesso Emma nei rari momenti di autoironia.
Con questa stessa frase si presentò al dottor Florenzi, psicoterapeuta al quale si era rivolta nella vana speranza che tutto sarebbe tornato a posto in poco tempo. Niente di più sbagliato. Il dottore fu molto chiaro, si prospettava un percorso di guarigione lungo e faticoso, un procedere a tentoni nei territori sconosciuti dell’inconscio, negli oscuri meandri dei molti se, con l’arduo obiettivo di portarli allo scoperto.
Ogni mercoledì Emma sedeva per un’ora sulla poltrona di pelle blu sistemata al centro dell’ufficio del dottor Florenzi. Parlava tanto, a volte senza nemmeno aver chiaro di cosa, ancora meno capendone l’utilità, ma quello che più di tutti la meravigliava erano le risposte del dottor Florenzi, brevi, categoriche e spesso incomprensibili. Per i primi tempi, uscendo dallo studio, non poteva fare a meno che ripetersi quanto sarebbe stato più facile con una pasticca, eppure con il passare delle settimane sentiva che qualcosa stava cambiando, per esempio la fatica provata nell’andare alle sedute si era trasformata in desiderio.
Del resto i nodi pian piano venivano al pettine. Uno di questi il dottor Florenzi lo aveva chiamato mancanza di sfumature. Disse proprio così, che ad Emma mancavano le sfumature, cioè quelle predisposizioni mentali che ci consentono di vedere l’infinito campo di possibilità che sta nel mezzo agli opposti: al bene e al male, al giusto e allo sbagliato, al bianco e al nero.
<<E’ quello che lei ha fatto e sta ancora facendo con suo padre e con la sua rabbia – disse il dottor Florenzi. L’ha catalogata come nera, sbagliata, senza mai sforzarsi di capirne i motivi che la precedessero o i bisogni che esprimesse. La manifestazione della rabbia è per lei atteggiamento semplicemente aggressivo e in ogni caso deprecabile, mentre invece molto più spesso dovrebbe essere considerata come rivelazione di un disagio. Allo stesso modo definisce suo padre spregevole e cattivo, quando invece, probabilmente, dovrebbe vederlo come un uomo estremamente fragile. Questo sarebbe cogliere le sfumature>>.
Cosa c’era mai da capire? Si domandava Emma. Come poteva meritarsi comprensione un padre che, quando era solo una bambina, più spesso che proteggerla l’aveva impaurita, con le sue improvvise e ingiustificate perdite di controllo, le sue urla, le sue imprecazioni, i piatti rotti e i calci alle porte. Di quei momenti la Emma di adesso, nonostante i tanti anni passati, ricordava tutto, la paura, i pianti, le braccia della madre tra cui si nascondeva, l’odio per quel padre.
E da quei momenti aveva imparato che, come con il fuoco se ti avvicini brucia, anche la rabbia va tenuta a distanza. Tanto da crescere rifuggendola e ritenendo saggio proibirsi di manifestarla, a costo di congelarla dentro di sé, in un angolo dei più remoti.
<<La rabbia che non esprime, è il suo panico>>, ecco la sentenza del suo terapeuta. Una sentenza dura da mandar giù per Emma costretta ad ammettere che la sua più profonda convinzione si era trasformata nel suo più grande errore. Ma fu proprio in questo istante, ovvero nel momento in cui riuscì a comprendere ed accettare che c’è un’altra prospettiva da cui vedere il mondo e le persone, che Emma compì il primo passo verso la guarigione.
Le parole del dottor Florenzi avevano trovato spazio nella sua mente ed immancabilmente ritornavano a farsi vive durante le discussioni di lavoro o nei diverbi familiari, e lottavano contro la sua abitudine ad evitarli, reprimerli, fino a che Emma, invece di scappare, cominciò a tenergli testa. E allora lo sentì nitidamente quello che stava succedendo, quasi lo vide, da dove la rabbia saliva, tanta rabbia. E fu estremamente chiaro ciò che il dottor Florenzi aveva voluto dirle con quella frase che sul momento aveva detestato: che si può perdere il controllo, che è lecito arrabbiarsi, che si può perfino urlare.
Ed Emma finalmente ci riuscì. Fu in una domenica di inizio estate. Dopo molto tempo aveva deciso di tornare a scalare, ed arrivata sulla vetta, provata per lo sforzo fisico, con il fiato corto ed il cuore in gola, in bilico tra sopraffazione e reazione, cominciò ad urlare. Ed in quell’urlo provò prima di tutto meraviglia, poi gioia, libertà e soddisfazione, ma soprattutto si riconobbe e si vide migliore.
Non urlo perchè da qui non si sente, ma è una bella storia. Il percorso della protagonista ,nella realtà. penso comunque che debba prendere molto tempo,,,ma raggiungere la consapevolezza che si possono toccare gli estremi per poi risalire o ridiscendere e che tutto il processo aiuti davvero a rinforzarsi è proprio un bel messaggio.
Grazie Silvia. Effettivamente questi sono percorsi molto lunghi, a volte senza fine, ma purtroppo, soprattutto oggi, accadono molto spesso e credo che sia fondamentale imparare ad accettarli e quindi curarli.
…crisi di panico e soffocamenti dovuti a traumi infantili…è difficile sbarazzarsi di un fardello così pesante ma, la protagonista è riuscita ad aprire un varco per far uscire la farfalla che è in lei. Bel racconto davvero! Brava!!
Consapevolezza, questo è il primo passo,la rabbia repressa non ci permette di crescere e tu in questo racconto lo hai espresso perfettamente.Racconto reale in una società dove andare dal terapeuta è divenuta una necessità ma la guarigione è vicina solo quando noi stessi lasciamo confluire la luce che c’è in noi.Bel racconto..
Grazie mille per i vostri commenti sono lusingata