Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “La scommessa” di Viola Giannelli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Piero Troisi nacque il 23 aprile del 1923 a Chitignano in provincia d’Arezzo e morì a Marina di Carrara all’età di novanta anni in una domenica di gennaio del 2013, stroncato da una confessione della moglie che tornava a casa dopo la messa e non se la sentiva proprio di andare all’altro mondo con quel segreto. Questa è la storia di come tutto ebbe inizio e io, Dino Sclavi, cugino della moglie del defunto, fui spettatore, non visto, del “segreto” che mandò all’altro mondo il povero Piero. A casa nostra, a Chitignano, si lavorava tutti come matti. I campi, distese e distese di campi, erano sempre lì, aguzzini vigili e sempre desti, pronti a piegarci la schiena, indurirci le mani e rinforzare i cuori. Io m’ero salvato dalla sorte tipica di un figlio di contadini, perché babbo m’aveva mandato a studiare dal signor Ugo Baralla il fotografo di via del Carrugio ed ero diventato fotografo di matrimoni. Quel giorno il 20 maggio del ’44 le mie due cugine Arminia e Celeste, le “gemellone”, si sposavano e con i campi a riposo, per un giorno, zio Pepe, detto così per i due mustacchi arricciolati color del fumo, aveva organizzato una grande festa, ingaggiando anche me per il servizio fotografico. Le mie cugine, io le conoscevo bene, erano due matte sconsiderate nel senso che tra loro avevano sempre l’abitudine di giocare con la loro estrema somiglianza e lanciarsi in scommesse pericolose per loro e per tutti gli altri che raramente riuscivano a distinguerle quando non si acconciavano i capelli in modo diverso. Il giorno delle loro nozze erano identiche, tranne che per una coroncina di fiori tra i capelli che avrebbe dovuto indossare Celeste. Fu proprio in quell’occasione che scommisero la cosa più impensabile della loro vita: i loro mariti. Io le fotografai nella loro follia. Prima delle foto di rito durante il pranzo di nozze quelle due incoscienti erano corse in casa per scambiarsi l’una con l’altra e io le avevo seguite, pronto a fotografare ogni loro mossa. Mi avvicinai all’uscio e questo fu quello che vidi: “Allora Celestì, giochi stavolta o no?” “Non lo so, ma sarà il caso?” “Sarà o non sarà, ci stai a scommettere il tu’ Giulio?”. C’è da dire che l’Arminia era sempre stata quella più dispotica e tirannica tra le due ma anche l’altra, secondo il detto “chi va con lo zoppo impara a zoppicare”, non voleva mai rimanere indietro e infatti s’affrettò a rispondere “Se tu metti in palio il tu’ Piero!”. Io ero allibito, soffocai a stento un urletto e per poco non mi feci scoprire, perché la gravità e la follia della scommessa erano inaudite, ma ero troppo curioso di vedere se sarebbero andate fino in fondo. “Celestì, dammi la tua coroncina e lo vedi se que’ du’ bischeri s’accorgan di nulla!” “Ma sarem fatte in du’ maniere diverse da qualche parte o no?” “Son’ omini, vedi ben che là sotto siam fatte tutte alla medesima maniera: un bocciolo che si coglie a occhi chiusi!”. Così scattai la prima foto della giornata. Le avevo immortalate proprio mentre si scambiavano la coroncina, mentre davano il via a quell’epocale disastro. Poi me la detti a gambe, giusto in tempo per non essere scoperto. “O Arminie’ andiamo a cercar Dino per la foto che sento la voce del babbo che s’avvicina e quello se ci scopre altro che le nozze co’ fichi secchi, quello ci scote per benino…” “Via, via, se è omo come gl’altri stavolta gli si fa anche a lu’?”. Nel frattempo lo zio Pepe urlava come un matto, un po’ perché in Toscana si urla un po’ tutti, un po’ perché era uno che non c’aveva pazienza, mentre cercava le sue figliole per fare una foto sotto i tralci della vite come aveva fatto anche lui a suo tempo con la sua Cesarina. I quattro sposini s’incamminarono nel luogo deputato, Giulio tenendo per il collo quella che credeva essere Celeste “Sei la mia gallinella te, eh Celestì? Ma come mi garberà il tu’ collino liscio…” “Shhh, o Giulio il babbo ti sente!” e la vera Celeste recitando a dovere la sua parte “O Piero c’ho ‘na smania nelle gambe, ma quando ci si va a dacci ‘na rinfrescatina?” “O Arminie’ ‘un ti fa sentì dal tu’ babbo che mi vergogno, via…”. A questa scena faceva da perfetta cornice il linguaggio colorito dello zio “Io ‘un sento, ‘un sento seghe…moviansi a fa’ la foto Dio bonino che son’ seduto vì da ‘n’ora e su questa sedia m’è venuto il culo a quadretti! O Dinoooo, scatta, Dio bonino!”. E quella fu la seconda foto della giornata. La terza fu uno sbaglio, credendo di documentare un atto d’amore tra una delle due coppie nella cantinetta delle botti, fotografai il sedere del parroco dietro la porta che si stava…non voglio ripensarci. In un attimo, accortosi di ciò che era successo, si tirò su i calzoni e di buona lena mi corse dietro urlando “Brutto rospo vergognoso, vieni qui, t’ho detto vieni qui, se ti metto le mani addosso lo vedi il padre eterno…”, io correvo a più non posso tra i tavoli imbanditi e gli ospiti “Don Sauro si calmi è stato ‘no scatto per errore…”, ma lui “non sentiva seghe”, avrebbe detto lo zio Pepe, e continuava “Se ti prendo quella macchina maledetta, lo vedi che d’errori non ne faccio! Ti sganghero! Te e la macchina! Io ero magro e agile a quel tempo e a farlo correre a quel modo mi prendevo una rivincita per quando da ragazzino mi fregava i soldi che le donnette del paese davano a me per la benedizione nelle case, così gli gridavo “Don Sauro, e si cancella, si strappa, si cestina, ma anche lei…far certe cose a un matrimonio! A un matrimonio ‘un s’ha da fare!” e quel povero diavolo con l’ultimo fiato che aveva in corpo s’appoggiò al pozzo e mi urlò “Bravo, bravo, tu mi sembri proprio ‘n bravo, ‘n bravo delinquente!” e per quel giorno lasciò perdere l’inseguimento. La festa stava volgendo al termine, era quasi sera, ma Celeste e Arminia non sembravano per niente intenzionate a interrompere quella pazzia, così fecero e disfecero che arrivò per gli sposi l’ora di coricarsi nelle rispettive stanze nuziali e le due gemelle finirono a letto con il loro rispettivo cognato. Io dormivo in una delle stanze accanto, ma non riuscivo a chiudere occhio, perché non mi capacitavo di come fossero potute arrivare fino a quel punto, poi il silenzio della notte fu interrotto da rumori impercettibili di passi e squittii. Pian piano socchiusi la mia porta, imbracciando la macchina fotografica e le vidi, mentre in camicia da notte uscivano l’una dalla camera dell’altra e si preparavano all’ennesima confidenza “O Celestì, moviti che c’è poco tempo, come russa il tuo…” “Il tuo sibila peggio d’una biscia…” “O, l’è andata, hai visto? Non voglio sapere come, sia ben chiaro! Quel che c’è stato lì dentro rimane nel gioco!” e Celeste “Ma lo sai che non s’è accorto di nulla?” “Che t’avevo detto! Uomini! Son tutti uguali, son tutti fatti con un pezzo solo” e giù a ridacchiare silenziosamente “O Arminie’ l’abbiam fatta grossa stavolta e se una di noi…” e con la mano si toccava il ventre ancora piatto “Celestì, zitta! Il tuo sarà del tuo e il mio del mio, nessun fiato, nessuna voce!” poi si presero per mano come due bimbe e Arminia continuò “Siamo due matte, ma le creature, se ci saranno, non dovranno risentire della nostra scempiaggine e ricordi quello che diceva sempre la mamma, quando eravamo piccole “O Pepe, l’hai fatte con uno schioppo ‘nfuocato quelle due gocce d’acqua” “Eh sì, e poi ci cantava sempre Il babbo ‘n vole, ‘n vole, ‘n vole che io faccia l’amor con te, ma vieni amore quando il babbo ‘n c’è e noi s’è fatto proprio così, ma ora basta a ognuno il suo e a chi tocca ‘n pianga”. S’abbracciarono, si baciarono e stavolta entrarono nella stanza giusta, mentre io che ero rimasto immobile per tutto il tempo, quasi senza respiro, m’accorsi che non ero riuscito a scattare nemmeno una foto, nemmeno una. Tornai a letto e feci passare quella notte maledetta in cui i protagonisti erano stati due gemelle e due poveri mariti, scambiati per il gusto di provare almeno una volta l’una quello dell’altra o forse, davvero, solo per gioco. Decisi poi di vedere come sarebbe andata a finire in rigoroso silenzio, perché di certo io non avrei avuto il coraggio di rivelare a nessuno quel tremendo segreto. Il tempo passò e finì che Giulio e Celeste ebbero due splendide figlie Emma e Anna, no, non gemelle, mentre Arminia e Piero un maschio solamente Giuliano e così le “gemellone” iniziarono a condividere le prime notti insonni, perché da quello che si mormorava in famiglia i cugini Arminia e Piero dopo il primo figlio erano stati colpiti dal seme dell’infecondità e dal malocchio, ma le due gemelle sapevano che anche se Arminia aveva più volte riprovato a rimanere incinta con il marito non c’era riuscita, perché lui era sterile e quell’unico figlio era in realtà di Giulio. Tra alti e bassi andò tutto liscio fin quando Emma e Giuliano non s’innamorarono, cosa assai comune all’epoca l’amore tra cugini e furono scoperti nel fienile un attimo prima che succedesse l’irreparabile. Fu Giulio a scoprirli e per poco non ammazzò di schiaffi quel povero Giuliano, non perché sospettasse qualcosa, ma perché aveva visto l’onore della figlia quasi compromesso. Ci volle l’intervento sia di Celeste, sia di Arminia per toglierglielo dalle mani e anche a quel punto non voleva desistere, finché Arminia si trovò costretta insieme alla sorella a rivelare, solo a lui chiaramente, che Giuliano era suo figlio. Giulio dette in escandescenza, schiaffeggiò con una sola manata entrambe le donne, gridò, imprecò e buttò all’aria tutto il capanno degli attrezzi. Da quel giorno il suo matrimonio con Celeste si poté dire concluso, non la lasciò, non era nel costume del tempo, ma non la toccò più con un dito, né per un bacio, né per una carezza, né per uno schiaffo. Ogni sera che si coricavano insieme lei gli dava la buona notte e lui spegneva il lume e si girava dall’altra parte e quella fu la punizione della donna per tutto il resto della loro vita. Per quanto riguarda Giuliano da Chitignano fu mandato di forza a Marina di Carrara e anche se cercò di opporsi tenacemente i suoi genitori e soprattutto suo padre, quello vero, ci riuscirono, facendo credere a Piero, il padre finto, che là il figlio sarebbe diventato ricco lavorando il marmo e Piero che era come una gazza ladra, quando si parlava di guadagno, acconsentì. Quando Giuliano partì, Giulio lo abbracciò, mentre il ragazzo in un primo momento si ritirò per paura di altre botte, poi guardò lo zio che in realtà era molto di più di questo e vide che aveva le lacrime agli occhi. Emma da parte sua pianse tutte le lacrime che aveva, minacciando più volte di gettarsi nel pozzo, ma sua madre non avrebbe permesso che si unisse a quello che in realtà era suo fratello e cercò di aiutarla a superare quel triste momento che si concluse quando si seppe che Giuliano dopo un anno aveva trovato una moglie carrarina e a Emma non rimase che orientare i suoi sospiri  verso qualcun altro. Scongiurato il pericolo di un incesto, l’unico che rimase all’oscuro di tutto fu Piero, almeno fino a quella fatidica domenica di gennaio, quando Arminia di ritorno dalla messa decise che non se ne sarebbe andata all’altro mondo con quel peso sul cuore. Ogni domenica andava a messa, ma i miliardi di rosari che recitava non bastavano, gli atti di dolore che pronunciava non lenivano quell’immenso senso di colpa che si portava dietro, almeno sua sorella in tutti quegli anni aveva potuto scontare quotidianamente il suo peccato anche se accanto a un marito di ghiaccio e ciò le avrebbe permesso almeno di sperare in un posto in purgatorio e non nel più nero inferno. A lei non era concesso nemmeno quello, l’aspettava la dannazione eterna e ogni giorno si sentiva il cuore sempre più pesante e pieno di crepe e un inspiegabile respiro corto. Ciò che la dilaniava era che in tutti quegli anni si era resa conto di quanto amasse suo marito, di come lui riuscisse a leggere sul suo volto ormai scritto dalle rughe del tempo tutta la sua storia di ragazza, di donna, di moglie, mentre lei in quella notte di tanti anni fa aveva rovinato irrimediabilmente tutto. Arrivò a un punto in cui non ce la fece più e confessò, ammise l’inconfessabile e l’indicibile e vide negli occhi di suo marito prima la delusione, poi subito dopo il dolore immenso e lacerante e infine la Morte che dall’iride degli occhi azzurri di Piero gli sussurrava “Allora Arminie’ giochi stavolta o no?”.

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29 commenti »

  1. Pur nelle dimensioni di un racconto si riesce ad entrare agevolmente nell’atmosfera di paese, il dialetto non appesantisce la narrazione anzi la rende più diretta. Molto bella l’idea di far raccontare la storia ad un punto di vista esterno, forse qualche descrizione in più avrebbe allentato un po’ il ritmo narrativo che è molto serrato, ma questo svilupparsi veloce rende la storia certamente più avvincente. Emozionante la “sfida” finale con la morte! Davvero piacevole.

  2. Spunto narrativo veramente interessante, l’atmosfera di paese ben resa (anche attraverso l’uso del dialetto) e una narrazione ritmata e accattivante. Molto bella la frase iniziale, che incuriosisce fin da subito il lettore e lo porta a chiedersi quale sia il terribile segreto appena svelato. Un racconto divertente e amaro nello stesso tempo.

  3. Uno splendido spaccato dell’epoca scritto bene, fluido ,rende bene le situazioni e in un attimo ti senti dentro il racconto quasi come il fotografo curioso.Veloce intenso ,schietto e diretto ,
    direi veramente un ottimo lavoro. Brava viola continua così.’

  4. Molto ben costruito e ben scritto 🙂

  5. Il racconto circolare mi ha sempre affascinato, mi piace capire l’inizio di una storia dalla fine. Nonostante non sia prettamente di queste parti, il dialetto non ha guastato la lettura, ho capito tutti i dialoghi e mi sono anche divertita leggendoli. La trama si sviluppa velocemente, le descrizioni avrebbero rallentato inutilmente lo scorrere veloce della vicenda. Mi piace, mi piace, mi piace!

  6. Leggendo questo racconto sembra di rivedere personaggi alla Carlo Monni, grande attore tristemente scomparso in questi giorni, lui avrebbe apprezzato sicuramente la vis comica dialettale…Bello, divertente, ti lascia in bocca un retrogusto amaro che però calza a pennello con l’andamento della storia…

  7. Un bel racconto che si fa seguire dall’inizio alla fine. Ben scritto e ben caratterizzati i personaggi nella loro schiettezza tipicamente toscana. Brava.

  8. Mi sono divertita un sacco a leggere questo racconto…sarà per la parlata toscana a cui, da buona fiorentina, sono molto affezionato. Un racconto proprio ben scritto. Complimenti

  9. Grazie mille per i vostri complimenti…da buona toscana sono molto legata al dialetto e mi piace cercare di inserirlo a piccole dosi nei miei racconti… 😀

  10. Il dialetto è,con grande rammarico per molte persone, un valore che difficilmente è possibile riscontrare nella società odierna.Fortunatamente esistono persone che,non solo sono ancora legate all’antico linguaggio dei nostri avi,ma riescono a tenerlo in vita e trasmetterlo alle generazioni avvenire, proprio come hai fatto tu attraverso questo racconto!Se a tutto ciò aggiungiamo una storia divertente e ben scritta, il capolavoro è servito!

  11. Chissà quanti segreti ci sono nelle famiglie, ma almeno qui vengono da uno scherzo delle due gemelle incoscienti..e anche l’altra è potuta diventare madre! Povero Piero! 😀 Splendidi i dialoghi in dialetto, riuscivo a immaginarmeli. Solo controlla la punteggiatura, che alla fine di molte frasi c’era da riprendere fiato :))

  12. Brava Viola! Bellissimo! Tanti tanti complenti!

  13. Piacevole il toscano, originale la storia e molto scorrevole la narrazione 🙂

  14. Un racconto scritto molto bene, particolare, la parlata toscana indubbiamente ci vuole per rendere al meglio la descrizione dei personaggi, spiritosissimo…..bello bello bello!!!!

  15. Un equivalente toscano del siciliano Verga, il racconto si fa interessante fin dal primo periodo e non ti delude andanado avanti nella lettura. L’autrice ha una capacità espressiva fuori dal comune che riesce a trasportare il lettore dal riso all’ansia in poco più di qualche frase. Un bellissimo racconto, davvero ben scritto!

  16. Grazie ai commentatori che si sono aggiunti, fa sempre piacere avere un riscontro positivo…Posso solo dire che la storia potrebbe essere vera… ;D

  17. Bello il clima paesano e l’uso del dialetto. Brava Viola

  18. OTTIMO SPUNTO NARRATIVO, BELLA LA CARATTERIZZAZIONE DEI PERSONAGGI E IL SAPORE DI UN’ITALIA CHE NON C’è Più…MI RICORDA I RACCONTI DEI NONNI…BELLO BELLO

  19. bravissima viola, complimenti francesca(davide)

  20. Caro Simone, hai centrato in pieno l’idea ce avevo…i racconti dei miei cari NONNI <3

  21. Racconto ben scritto e coinvolgente! Brava Viola!

  22. Veramente notevole, soprattutto per chi come me è nato e cresciuto in un paesino.. C’è tutta la forza dei nonni, e di quella gente solcata dalla vita e dalle esperienze. Brava! Matteo

  23. Matteo, hai usato un termine perfetto “solcati dalla vita”, erano così i miei nonni, contadini pieni di valori, pregi e forza ed è a loro che dedico questo squarcio di paesanità… 😀 grazie per il tuo commento

  24. E’ un racconto incantevole, la cui grande forza secondo me è il ritmo disgiunto- se da una parte catapulta in un passato di paese contadino dai ritmi diversi dai nostri, il vociare in dialetto in sottofondo rende tantissimo l’idea di essere in un mondo ‘altro’ e più lento, dall’altra si legge irrimediabilmente tutto d’un fiato, incalzati anche dalla voce di zio Pepe. Ed è il leggersi tutto d’un fiato che lo libera dall’accusa di banalità (più o meno sin dall’inizio ci si immagina uno scambio fra le gemelle, ma l’ autrice non ti da il tempo di rimuginarci sopra, ti ci fa arrivare come fosse una piccola epifania…), e al contempo gli da’ un senso denso di “vero”, che mi ha fatto rimanere a riflettere se davvero questa storia, o una simile non me l’avesse già raccontata mia nonna…
    Complimenti.

  25. Avvincente, realistico, un tuffo nel passato: questo racconto mi ha fatto riassaporare le storie dei nonni e un passato che poi tanto lontano non è. Brava Viola!

  26. Grazie Consuelo, “Piccola Epifania” non me lo aveva mai detto nessuno… 😀

  27. Mi piace, mi piace, mi piace….o per meglio intonarsi al linguaggio paesano dialettale “MI GARBA, MI GARBA, MI GARBA”…Belli i dialoghi e il ritmo incalzante che ti investe come un treno nel finale circolare… 😀

  28. Brava Viola! Piacevole, divertente e tragica allo stesso tempo. Piccolo mondo antico che rievoca le vecchie storie di famiglia di ognuno di noi. Mi è piaciuto molto!

  29. Che bel racconto! Incuriosisce, già dal titolo, e si fa leggere agevolmente fino alla battuta finale. Nonostante la scarsità della parte descrittiva sei riuscita a dipingere perfettamente un quadro di una vecchia Toscana ormai in parte perduta. Complimenti!

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