Premio Racconti nella Rete 2013 “Ida” di Luisa Multinu
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Sono le otto e parte il telegiornale in tv, Ida ne ha visti due stasera e le conosce già le notizie, non spegne però, lascia che la televisione copra il silenzio perché quello non riesce a sopportarlo.
Prende la caffettiera e la prepara per il mattino, mette l’acqua, il caffè e poi la posa sul fornello. Lancia un occhiata all’orologio sul muro, otto e dieci.
Troppo presto per andare a letto.
Prende i ferri e la lana dalla cesta, si siede sul divano, forse mettere punti su punti in quella coperta la aiuterà a prendere sonno, prima che il sonnifero faccia effetto, forse.
Butta l’occhio sul telefono che se ne sta lì abbandonato sul tavolo da ore, morto.
Le telefonate di rito le ha già fatte, forse qualcuno chiamerà.
Ida passa il filo di lana tra le dita, lo appoggia sul ferro numero dodici e infila l’altro nella fessura dall’altra parte, una copertina calda per beneficenza, si è stufata di fare maglioni alle sue nipoti e poi le ragazze di oggi vogliono maglie attillate, roba alla moda.
Ci aveva provato a fare un vestitino a Marta, ma ha dovuto disfarlo tre volte ed era diventata matta con le maniche per farle arricciate come quello sulla foto che le aveva portato presa da Vogue, così nonna ci riesci?
Era stata sveglia fino a tardi tutte le notti per lavorarci, ma il sorriso sul volto di sua nipote l’aveva ricompensata.
Adesso però continua a fare coperte, come volesse riparare dal freddo tutti i bisognosi di questo mondo. Sta lavorando ma le mani sono fredde, così come i piedi irrigiditi sotto a due paia di calze grosse fatte a mano.
Ida sospira ora, alza gli occhi sull’orologio dorato, le otto e mezza.
Intorno all’orologio ci sono i soliti quadri, foto di lei da piccola assieme ai suoi fratelli, i volti scavati sembravano uscire da quel seppia scrostato, delle sue figlie in pallidi colori pastello, del suo matrimonio, un tailleur grigio e lo sguardo spento dritto dentro alla camera, delle nipoti da piccole, tutte guanciotte e sorrisi sdentati. Ce n’è solo una in cui sorride, sola sopra la vespa blu, quando pensava di conquistare il mondo. Ci passa lo sguardo sopra senza mettere a fuoco le immagini, come quando guardi la strada per vedere se passano macchine o no.
La serata è ancora lunga. Allunga la mano e accende la radio vicino a lei, la stazione è quella del liscio e balli popolari, sempre fissa.
Al ritmo della fisarmonica torna a concentrarsi sui suoi ferri, infila qualche altro punto, poi però viene di nuovo investita da un pensiero, le passa in testa come un intercity in galleria, inarrestabile.
Sente un vago senso di nausea, qualcosa come quando il latte continua a risalirti nello stomaco, forse una camomilla si, magari una sigaretta, ma no non fuma più, non può più fumare.
Le sembra la stessa nausea delle mattine fredde, dentro alla stalla, vede il fiato delle mucche, sente i piedi ghiacciati, quell’immagine si insinua in lei ogni volta che chiude gli occhi. Ancora adesso, dopo sessant’anni vede ancora quella stalla dove passavano le estati a fare fieno e portare al pascolo le mucche, la neve dentro agli zoccoli, il pianto di Giuliana con la polmonite mentre tremava di freddo e lei non aveva niente con cui coprirla, neanche una coperta.
Stringe tra le mani la lana calda e continua a macinare punti, adesso te la sto facendo la coperta Giuliana, ecco qui, ecco fatto.
Si rivede nella stalla, l’odore del letame e il fumo del latte appena munto che volteggia nell’aria, suo fratello che ammassava il fieno col forcone in piccoli mucchi e lei che aspettava di poter bere con la scodella di latta la prima sorsata della giornata. Aveva le calze di lana grossa, di quella che prude e gli zoccoli di legno troppo grandi fatti da suo padre che quando camminava ci scivolava fuori, ma lei non voleva che si notasse così faceva dei movimenti strani per mantenersi in equilibrio, per questo le sue sorelle la chiamavano la ballerina della contrada.
L’estate era bella anche se fresca lassù, si andava su alla baita a mille metri a passare i mesi più caldi, fare formaggio e portar fuori le mucche, Ida sente ancora il profumo del formaggio sulla griglia la sera quando il sole veniva inghiottito dalle alte rocce dietro di loro.
Quelle cime erano sempre lì immobili che osservavano, erano lì quando ci si trovava la sera con solo quattro patate bollite e un po’ di polenta e non si erano preoccupate quando il piccolo Pietro si era preso la bronchite.
Eppure lei le amava quelle stupide montagne, senza un perché.
La sera, dopo aver messo a letto i più piccoli, si sedeva fuori sotto al cielo stellato con le sorelle ad ascoltare lo scampanare delle mucche, contava le stelle e guardava l’orizzonte.
– Ci sarà qualcosa per me là fuori Caterina? –
– Che vuoi che ci sia, solo fame e dolore –
– No, sono sicura di no –
– E tu che cosa vuoi? –
– Voglio tutto, anche le cose belle –
– Chi vuole tutto si ritrova con niente –
Lo ripeteva sempre Caterina, accontentati e ringrazia il signore della tua vita, ma Ida non ci sentiva, teneva lo sguardo fisso sul contorno delle cime rocciose.
La guerra era là sotto da qualche parte, loro non ne sapevano niente, non sentivano altro che la fame e la fatica del duro lavoro, di giorno si tagliava il fieno e si spaccava legna, ma quelle maledette montagne si mangiavano il sole sempre più presto e le giornate diventavano brevi e fredde.
Ida si ferma, di colpo, ha perso un punto ed ora deve ricominciare da capo la fila, comincia a disfare, le mani sono ancora intorpidite, fredde, ora sente l’acqua fredda della fontana quando lavavano quei quattro cenci alla mattina, le dita che pizzicano fino a che non le senti più e giù a strofinare con la cenere per far venire tutto bello bianco.
La notte si dormiva sotto al tetto bucato tutti ammassati uno sull’altro per il freddo, Ida sentiva il respiro pesante dei suoi fratelli e non riusciva mai a prendere sonno, allora usciva tremante a guardare il mare di stelle, le sembrava impossibile che splendessero così come niente fosse, poi finiva sempre nella stalla a dormire riscaldata dal fiato delle mucche, accoccolata sui mucchi di fieno. La svegliava Germano all’alba.
– Hai dormito qui un’altra volta? –
– Mi piace –
– Dai che facciamo un po’ di latte –
Era il momento della giornata che preferiva, mungere con suo fratello e bere il latte caldo, dopo tutto quel freddo.
La radio continua a trasmettere Walzer inutilmente, la spegne con un colpo secco, le lancette segnano le nove. La coperta scivola per terra, è piccola, potrebbe coprirle i piedi, deve andare avanti, deve finirla, la riafferra e rinfila i ferri, si sistema gli occhiali, fuori la sera avanza e lascia posto al cielo stellato di sempre, ma lei non lo vede, abbassa la tapparella alle sei, ancor prima del tramonto, per vederlo le basta chiudere gli occhi, per vedere le cose belle.
Bello, mi piace. Il fare e disfare la maglia, come un filo conduttore che ti lega e ti fa ricominciare a pensare. Il racconto si sente, per immagini e per odori.
Bello, mi piace il rapporto tra le due donne e il fatto che ora Ida faccia la maglia “per coprire dal freddo i bisognosi ” . Molto poetico.
come sempre un bellissimo racconto…statico,in quanto il personaggio non si muove mai,ma che riesce a portarti via nel tempo…farti sentire quelle sensazioni…dipingi con le parole,brava!!
Molto coinvolgente.
…questo racconto è un quadro…bellissimo questo narrare serrato e che trasmette tutto il freddo delle notti invernali in montagna con le dita rattrappite dal freddo che continuano a sferruzzare! Complimenti!!
Bellissimo!! L’ho bevuto in sorso questo tuo racconto. Complimenti doppi, perché nonostante la tua giovane età, sei riuscita a raccontare così bene un mondo che non hai vissuto personalmente, ma che evidentemente hai saputo far tuo, emozionandoti ed emozionandoci.
Ma mille grazie a tutti 😉
Bello, coinvolgente. L’ho letto d’un fiato. Avevo l’impressione di essere con Ida, in montagna, e sentire quello che lei provava.
Sento la lana grossa sulla pelle, sento gli zoccoli che scappano, l’odore del latte, del fieno
, il freddo sulla pelle e poi il caldo della stalla…
vedo persino le stelle e i monti , che dire Luisa, un racconto pieno di emozioni e
di sensazioni fisiche così forti arriva dritto alla pancia del lettore per poi sul finale
rapirgli il cuore. brava
I dettagli di ogni movimento, di ogni scena coinvolgono e trasportano dentro il racconto. Bello!
Le piccole cose, i gesti usati, che si ripetono, ci tengono in vita e ci lasciano il tempo dei ricordi, quelli più belli e più forti.
Nitido come il cielo stellato di Ida.