Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “Notturno” di Tommaso Lani

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Buio, solo e soltanto buio. Impotenti, i suoi occhi annaspavano. Nelle orecchie l’eco di un sonno inquieto; nel petto il palpito frenetico del cuore imbizzarrito. Mamma! pensò, incapace di materializzare in un grido quell’invocazione; la sua mente era ancora tormentata dall’effige cocciuta e beffarda di quel vecchio bavoso, barbaro aguzzino dei suoi incubi. Deglutì a fatica, provando a convincersi che era tutto finito.

La pipì! fu il pensiero che all’improvviso sequestrò la sua attenzione; d’incanto, gli strascichi dell’incubo sbiadirono in un diafano ricordo: fu come un risveglio dal risveglio. Si scoprì e l’aria gelida sferzò il suo corpo sudato. Allungò una mano sopra la testiera del letto per cercare l’interruttore; non lo trovò. Si alzò sfidando l’oscurità; dopotutto, quella era pur sempre la sua camera e poteva benissimo muoversi al buio, schivando libri e vestiti disseminati per terra secondo un preciso disordine. Invece dello scendiletto, quello morbido col disegno dei supereroi, i piedi trovarono solo il nudo pavimento; un brivido freddo lo trafisse e acuì l’impulso di orinare, ormai irrefrenabile. Si affrettò a memoria verso la porta. Le gambe! Un dolore lancinante lo sorprese, pungendogli le ginocchia. Barcollò verso sinistra, cercando un appoggio sulla scrivania, ma non trovò che il nulla: con le mani afferrò il vuoto e cadde.

Un grido, poi la luce invase la stanza. – Che stai combinando? Guarda che disastro! – gli disse una donna, negli occhi lo sguardo stralunato di chi è spaventato a morte.

Lui non riuscì a riconoscere né quella donna né quel posto. Niente interruttore sopra la testiera, anzi, niente testiera; della scrivania, dove faceva i compiti tutti i giorni, nemmeno l’ombra. Sul pavimento nessuna traccia di libri o vestiti.

– Insomma che hai? – incalzò la donna, fissandolo.

Osservò intimorito quella figura aliena, senza sapere che età attribuirle; era spettinata e con quella camicia da notte d’altri tempi gli sembrò una strega. Gli ricordava il vecchio dei suoi incubi; stabilì, una volta per tutte, che i vecchi non gli piacevano.

– Guarda lì! – disse la donna – te la sei fatta addosso! Di nuovo!

Solo in quel momento si accorse del pigiama bagnato che aderiva alla gamba; lo stordimento fece spazio alla vergogna. – Dov’è la mamma? Dove hai messo le mie cose? – chiese, travestendo da rabbia la paura.

La donna sbuffò e non rispose; invece, tirò fuori un pigiama pulito da un cassetto. – Per fortuna non l’hai fatta a letto… lo sai che devi svegliarmi se ti serve qualcosa!

– Voglio sapere dov’è la mamma! – insisté lui, lasciandosi andare a un’imprecazione.

– Ah, bene! Cerchi la mamma e parli così? È così che ti ha insegnato a comportarti tua madre? Io non credo proprio! Dai cambiamoci, su!

La donna lo aiutò a sedersi sul letto, rivelandogli una forza fisica che a prima vista non avrebbe potuto attribuirle.

Malgrado l’aiuto, lui si mosse a fatica, sublimando in una smorfia il senso di nausea.

– Che hai adesso? Hai fatto un brutto sogno? – fece lei.

– Mi gira la testa – disse lui – e mi fa male il ginocchio. Ma non deve farmi male, domani devo giocare.

– Devi giocare?

– Domani, alle tre. La finale del torneo. Non abbiamo mai giocato la finale, ma domani… Sono un po’ emozionato e non riesco a dormire.

– Si, certo! – lo canzonò – Non sarà mica che ti sei svegliato perché ti scappava la pipì, invece?

La fissò come se avesse detto la più grande eresia del mondo. – Dimmi dov’è la mamma! Voglio andare a casa! – proruppe, faticando a trattenere il groppo che gli ghermiva la gola.

Lei gli sorrise. – Ehi, ehi, non piangere, su! La mamma non può venire adesso. Ti ricordi che ne abbiamo parlato?

Lui negò, imbronciandosi.

La donna sospirò. – Ti ricordi di me? – chiese.

Lui negò ancora, scuotendo la testa.

– D’accordo – disse lei – facciamo così! Ci presentiamo di nuovo. Io sono Irene e tu sei…? Non te lo ricordi? No? Non preoccuparti, è tutto a posto. Tu sei Alberto.

La fissò, incredulo per non averle saputo dire il suo nome. Senza accorgersene, si ritrovò con indosso un pigiama pulito.

– Ti piacciono le storie? Vuoi che te ne racconti una? – chiese lei.

Alberto annuì appena a quella proposta.

– Bene! – fece lei, regalandogli un altro sorriso. – Lo so che ti piacciono le storie! Te ne racconto una tutte le sere! Allora… vediamo… questa è una storia fantastica. Riguarda il futuro… – prese a raccontare stringendolo a sé.

– Come fa a riguardare il futuro? – l’interruppe Alberto divincolandosi dal suo abbraccio.

– Be’ – disse Irene – vedo che stanotte sono molte le cose che non ricordi! Tu adori questo genere di storie! E poi io ho dei poteri e conosco il futuro! È… una specie di magia!

– Allora… – la esortò, disarmato da tanta dolcezza.

– Allora… domani ci sarà il sole e giocherai la finale con i tuoi amici. Il ginocchio non ti darà fastidio!

– Vinceremo?

– Vuoi davvero saperlo?

– Voglio sapere dov’è la mamma!

– Te lo dico, allora. Vincerete e tu farai anche un gol!

– Davvero?

– Davvero!

– Allora domani sarà il giorno più bello della mia vita!

Lei gli sorrise e continuò: – Non vuoi sapere cos’altro accadrà domani?

– Sì, sì!

– Andrai a festeggiare con gli amici e prenderai un pizza.

– Mi piace la pizza!

– Lo so… – disse Irene.

Nonostante le stranezze di quella donna, cominciava a sentirsi a suo agio; chiuse gli occhi. – E poi? – chiese.

– Poi, giocherai ancora molte altre partite.

– Giocherò per sempre?

– Col tempo giocherai un po’ meno – replicò lei. – Ma farai tante altre cose divertenti. E poi incontrerai qualcuno che ti vorrà tanto, tanto bene e non ti abbandonerà mai! Lei sarà la tua principessa. E tu sarai il suo principe. E insieme sarete speciali.

Alberto mugugnò: principi e principesse non lo avevano mai interessato. Roba da femminucce pensò. Il pallone, gli amici… quella sarebbe stata la sua vita. Poi, uno sbadiglio interruppe i suoi pensieri.

– Allora abbiamo di nuovo sonno, eh? – disse la donna, cullandolo. Prese a cantare una ninna nanna e Alberto si abbandonò a quell’abbraccio che adesso gli sembrava famigliare.

– Mio principe, mio amore… – cantava Irene, la voce lievemente increspata.

Nel dormiveglia, Alberto pensò che lei fosse una donna davvero strana e che quella suonasse troppo triste per essere una ninna nanna, ma liquidò in fretta la questione. Avrà qualcuno dei soliti problemi dei grandi.

Si assopì, sicuro che l’indomani ci sarebbe stato il sole, che avrebbe giocato una finale e che avrebbe segnato un gol. Lo attendevano una pizza, gli amici e tante altre partite. Questo era quello che sapeva; molte altre, invece, sarebbero state le cose che non avrebbe mai saputo, compreso il fatto che le principesse sanno piangere in silenzio.

Loading

8 commenti »

  1. …tristissimo questo racconto ma rende magistralmente l’idea di un” amore immenso” che va oltre la malattia :-(. Complimenti!

  2. @Eleonora marchiori
    Grazie infinite per avermi letto e per il tuo apprezzamento!

  3. Bravissimo Tommaso,
    gran bel racconto.
    Da leggere.
    A presto. M

  4. Bello, triste ma pieno e intenso…

  5. Grazie Maurizio, mi fa molto piacere che tu abbia apprezzato!

  6. Simonetta grazie infinite; sono lusingato dal tuo giudizio!

  7. Bella storia, triste con un po’ di tenerezza

  8. Grazie gabri, sono felice che il mio racconto ti abbia trasmesso qualcosa!

Lascia un commento

Devi essere registrato per lasciare un commento.