Premio Racconti nella Rete 2013 “Metti una cena a sera” di Carlo Taddeo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Quando si è una bella donna, gli uomini ti fanno le richieste più impertinenti e vanno a scavare dentro i loro segreti più contorti. E, se ti invitano a cena, càpita che ti tocca di ascoltare confessioni che nemmeno al prete questi piccoli adepti della immaturità vogliono concedere.
Così, quasi ogni sera, uscita dall’ufficio, invece di tornare a casa, ho un appuntamento con l’uno o con l’altro. Mi portano al ristorante, pagano loro. Ma non pensate che dopo succeda chissà che cosa. Per vostra conoscenza, non sono quel tipo di donna che qualcuno di voi più malizioso immagina. Dopo la cena, li ascolto. Ma lì, al ristorante, magari fumando in piedi, sulla soglia, dove le persone che passano per la strada, si fermano talvolta per guardare il menu e leggerlo, in un momento di noia. Non passeggiamo nemmeno.
Potrei addentrarmi nei contenuti di questi colloqui che raramente sfiorano l’intimità. Più spesso, si rimane nell’incerta luce di quei corridoi come quando si aspetta di andare al bagno a lavarsi le mani e non si sa cosa dire e se dire. Oppure come quando si sosta nell’anticamera di uno studio medico e, siccome si è tesi, timorosi e appena titubanti a parlare, allora non si riesce nemmeno ad abbandonarsi alle stupidaggini che si farebbero nell’incoscienza. Insomma, una consapevolezza casuale, involontaria. Una profondità meccanica, quasi superficiale.
I colleghi si affidano a me ed io che continuo a dire di non avere bacchette magiche o pozioni da preparare né sortilegi, sono costretta a impersonare una maga rassicurante per dare loro una dose tranquilla di melissa o di camomilla, buona per affrontare la notte.
Alla fine di tutto, senza aver fatto niente che riempire l’aria di luoghi comuni sulla vita e sulla morte, ci lasciamo sul portone della casa – loro – e, come una mamma, rimbocco le lenzuola della solitudine notturna dove ciascuno – anche se accoppiato – è preda possibile di incubi.
Poi torno a casa. Roma è diventata, allora, più buia, nel frattempo. I racconti – quasi fossi una bambina dopo la favola raccontata da una nonna inquietante – l’hanno trasfigurata come un quadro di Scipione. Ogni albero risulta isolato in mezzo al cielo che si è fatto di un blu fondo e nero. Le case appaiono incollate al paesaggio. Lo sguardo non sa dove posarsi. La macchina si ferma da sola davanti al palo della fermata d’autobus. La solitudine trabocca e pare l’unica a farsi compagnìa.
A quel punto, sono io a pensare alle donne che ho amato e agli uomini che ho evitato. L’ultima, Ester, aveva i capelli corvini come una palestinese. D’estate, se li tagliava e correva verso il mare, mentre io cercavo vanamente di raggiungerla. Amavo baciarla dentro i negozi, quando mi provavo i vestiti che piacevano a lei. Adoravo i suoi seni delicati – sembrava un ragazzo dalle gambe da donna – e mi piaceva cercarli sotto la maglietta e, trovati, carezzarli senza malizia, con giocosa dolcezza. Un giorno, corse davvero troppo più forte di me e non fui più capace di raggiungerla. Dicono che fu meglio per me. Gli altri. Quelli che non sanno. Dicono che è desiderio di morte questa voglia di portare l’amore all’estremo. Dicono che non si deve voler ammazzarsi per poter ricongiungersi altrove con chi si è abbracciato. Sarà. Vado a letto. Domani mi aspetta un contratto da far firmare ad un “piazzista” spagnolo. Sono tutti piazzisti. Che vendano libri o torroni. Che vendano occhiali o mutande, sono la stessa cosa. La stessa abituale stanchezza che non sorprende.
Domani ceno da sola. Decido di andare a cercare un ristorante a Trastevere. In genere, non lo sopporto Trastevere. Può darsi che cada una stella qualsiasi sopra la mia testa e mi spinga a cambiare qualcosa. In fondo, dopo tutto, è ancora il 10 di agosto…
L’incursione a volo nelle intrecciate solitudini di uomini e donne colpisce in questo racconto, più che il capovolgimento finale della prospettiva. Alzare per qualche attimo un velo sulla pelle arrossata o ferita, e poi lasciarlo ricadere, con misericordia. Lasciando aperto il respiro alla speranza.