Premio Racconti nella Rete 2013 “Volontà e amore” di Antonio Margaroli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Gli Astolfi erano la famiglia più ricca, rispettata e, presumibilmente, invidiata della zona. Villa Astolfi, un’imponente costruzione al centro di un parco secolare, orgoglio di una squadra di dieci giardinieri, era la loro abitazione e rappresentava un eloquente biglietto da visita per chi si trovava a passare da quelle parti.
Altiero, non solo erede di una notevole fortuna ma anche artefice della sua crescita e del rinverdimento della fama degli Astolfi, era il capofamiglia. Rimasto prematuramente vedovo, viveva solo con le figlie, le gemelle Elettra e Morgana, o le “contessine”, come erano chiamate in paese. Nate nel ’93, negli anni avevano mantenuto una somiglianza assoluta.
Nel pettegolo ambiente di paese le voci si sprecavano. In particolare, anni prima, la tata Lucia, tanto attenta e puntigliosa nel badare alle bambine, quanto capace di uscite inconsulte nel parlarne in paese, aveva iniziato a creare una leggenda. Seguace di una setta esoterica e appassionata di occultismo e numerologia, aveva individuato nel carattere diverso delle gemelle un legame soprannaturale.
Elettra o della volontà. Morgana o dell’amore. Volontà e amore. Thelema e agape. Gemelle unite da quell’esoterica isopsefia per cui due parole greche sono associate allo stesso numero, attraverso una corrispondenza numerologica secondo la quale thèlema e agàpe corrispondono entrambe proprio al 93, il loro anno di nascita.
Elettra era la dominatrice e disponeva in tutto e per tutto di Morgana, mite, timida e succuba della sorella.
Una lunga serie di bambinaie, istitutrici e governanti non sempre all’altezza, la mancanza della madre, un padre generoso ma freddo e poco attento e soprattutto quella sensibilità e quei rapporti tra il misterioso e il morboso che si instaurano tra i gemelli e li isolano dal resto del mondo, avevano portato a una situazione difficile.
Nonostante gli anni trascorsi con grandi disponibilità economiche, sempre viziate, servite e riverite, le gemelle erano preda di una certa inquietudine: entrambe aspiravano ad affrancarsi dal loro ruolo e il giorno del loro sedicesimo compleanno se ne andarono di casa, lasciando nello sconforto un padre affranto, impreparato ad affrontare una situazione per lui assolutamente imprevista.
Là fuori, nel mondo reale, le contessine si accorsero presto delle difficoltà della vita e mal si adattavano a sopravvivere di mestieri umili, pesanti e mal pagati. Per pochi giorni furono lavapiatti, per meno di due mesi cameriere in un hotel di quart’ordine, finchè alla fine iniziarono la loro vita da regine.
“Buongiorno”
“Buongiorno, il signor Pieplus?”
“Mais oui, mais oui, c’est moi. Ma chiamatemi pure Gérard. A cosa devo l’onore della visita di queste due splendide ragazze? O vedo doppio?”
“Veramente noi saremmo qui per l’annuncio…”
“Sì, per l’annuncio in cui si ricercano due regine…”
“Ah, quell’annuncio. Guardandovi direi che sareste perfette. Belle, alte, eleganti. Ma non montatevi la testa, non è un lavoro leggero. Solo i re hanno un ruolo più faticoso. Comunque adesso vi presento Raymond; vi spiegherà lui tutto quello che c’è da sapere e domani potete iniziare. Una settimana di prova, gratis, e poi deciderò.”
Così Elettra e Morgana diventarono la regina nera e la bianca, in una sgangherata compagnia itinerante di scacchi viventi che sbarcava il lunario mettendosi a disposizione di appassionati e profani, in piazze e luna park, su scacchiere improvvisate, per partite interminabili. Le regine, si sa, sono un pezzo prezioso e ben difficilmente Elettra e Morgana avevano la fortuna di essere prese nelle fasi iniziali delle partite, ma dovevano restare in piedi per ore e ore. Caviglie gonfie, lo spauracchio delle vene varicose, piedi massacrati da calli e vesciche, per via di quelle scarpette, parte del costume di scena, strette, rigide e ben poco anatomiche.
Ormai al limite della resistenza, un giorno, una banale mossa fece esplodere Elettra. Era una partita estenuante. Avversari prudenti e una classica difesa siciliana. Poi i contendenti, più appassionati che esperti, avevano continuato basandosi sull’istinto piuttosto che sulle conoscenze teoriche e, con una strategia forse un po’ azzardata, il nero aveva sacrificato la regina. Elettra, senza nascondere il suo sollievo, lasciò la scacchiera, si sedette, si slacciò le scarpe e allungò le gambe. Dopo poche mosse però la strategia di giocò pagò e un pedone nero raggiunse la casella B1, sull’ultima traversa. Il giocatore scelse di promuoverlo a regina, facendo rientrare in gioco la regina nera, ormai in totale relax. A quel punto Elettra sbottò: “Adesso basta. Torniamo a casa. Se dobbiamo essere delle regine è meglio esserlo davvero”, si sfilò le scarpre, le lanciò lontano, si diresse sulla scacchiera, prese sottobraccio Morgana e la trascinò via, lasciando a guardarsi tra loro, attoniti, spettatori, giocatori, re, cavalli, alfieri, torri e pedoni. Così le gemelle se ne andarono, una scalza e l’altra camminando goffamente in quelle assurde scarpette, senza neppure cambiarsi d’abito.
Il ritorno delle gemelle fu salutato con grandi festeggiamenti. L’esperienza aveva insegnato alle contessine che era molto più comodo disporre delle ricchezze di famiglia e fare quel che volevano. La contropartita, tutto sommato, era ben poca cosa: si trattava di subire qualche predica del loro noioso e rigoroso padre e seguire le sue poche regole. Su alcune cose Altiero Astolfi era inflessibile: niente piercing, niente capelli verdi scolpiti con il gel in improbabili creste, niente vino bianco con le carni rosse e, una volta alla settimana, un incontro con uno psicologo, naturalmente il migliore disponibile.
In breve, in casa Astolfi, tutto tornò alla normalità anche se normalità significava liti, tensioni, ripicche e ricatti, soprattutto tra Elettra e il padre, mentre Morgana, in disparte, metabolizzava il tutto senza rinunciare alla speranza che un giorno le cose sarebbero cambiate.
Ma era davvero troppo aspettarsi un po’ di serenità e infatti, al contrario, nulla cambiò fino al giorno della tragedia, quando alla polizia e ai primi soccorsi si presentò lo spettacolo agghiacciante di Altiero Astolfi sulla poltrona dello studio con la gola orrendamente squarciata, la finestra dello studio spalancata e, di sotto, Elettra infilzata sulle punte della più interna delle tre cancellate che circondavano la villa. In sottofondo la musica esoterica dei Current 93, su un CD che nessuno si era preoccupato di fermare, con la dolente voce di David Tibet, accompagnata dalle note di uno struggente pianoforte, contribuiva a mettere i brividi.
Nello studio, sul tavolo, un decanter e due ballon con del vino rosso. Per terra i cocci di una bottiglia di Sassicaia del ‘93 con il collo sporco di sangue.
“Elettra era salita da papà per discutere con lui. Mi aveva detto che voleva chiarire pacificamente le cose e per quello aveva una bottiglia di vino, il suo preferito. Poi non so cosa sia successo. Sarà passato un quarto d’ora quando ho sentito il rumore della bottiglia che si spaccava e delle urla. Sono salita di corsa, sono entrata nello studio, ho visto papà come l’avete trovato anche voi e un’ombra sparire dalla finestra. Penso che Elettra si sia lasciata trascinare e in un impeto d’ira abbia… abbia fatto quello di cui subito si è pentita e si è gettata di sotto per raggiungere papà…” a quel punto Morgana scoppiò in lacrime e corse via. Il commissario organizzò subito i rilievi e cercò di raggiungerla per calmarla. Il tenente Medri aprì la vetrinetta nello studio, prese un ballon, versò dal decanter un dito di quel vino e, seduto sull’altra poltrona, lo osservò, avvicinò il naso una prima volta, fece ruotare il ballon e di nuovo lo avvicinò al naso per farsi inondare da quel complesso di profumi che il vino emanava. Infine lo assaggiò sbattendolo contro le pareti della bocca e il palato con rapidi movimenti della lingua.
Quando il commissario, dopo quasi un’ora, tornò nello studio e trovò Medri ancora lì seduto, alle prese con il vino, ebbe una reazione calma ma durissima.
“Vedo che stai brindando. Niente di meglio da fare che brindare al tuo ultimo caso… No. Non è accettabile. Il tuo comportamento è vergognoso. Neppure un po’ di pudore, di rispetto. Considerati sospeso, in attesa delle dimissioni che mi aspetto entro domani mattina. E adesso alzati da lì e sparisci.”
“Ma capo…”
“Niente ma. Esci dalla mia vista. Esci dalla mia vita. Mi hai nauseato.”
“Le cose non sono come sembrano…”
“Ah no? E come sono allora? Lo spirito del padrone di casa ti ha invitato a brindare con lui? Non farmi arrabbiare di più e vattene.”
“Non intendevo quello. Le cose raccontate dalla contess… dalla gemella, non quadrano.”
“Quella poveretta è sconvolta e tu ti permetti di sindacare, mentre ti servi come un parassita cinico e senza rispetto. Oltretutto stai alterando le prove. Quel vino, oltre che per il tuo diletto personale, se non te ne fossi reso conto, è un reperto sulla scena di un omicidio, un orribile omicidio. Ti ripeto di sparire da qui e di farti vedere solo quando avrai in mano la tua lettera di dimissioni.”
Lo svolgersi degli avvenimenti, pur nella sua truculenza, era stato ricostruito con facilità. Le impronte trovate sul collo della bottiglia di Sassicaia usata per uccidere il povero Altiero, erano uguali a quelle prese al cavadere di Elettra, confermando il racconto e le ipotesi di Morgana.
Nel giro di due giorni il caso era chiuso e Morgana, unica erede dell’immensa fortuna degli Astolfi, affidata alle cure dello psicologo, avrebbe dovuto iniziare un non facile percorso per superare lo choc di quella sera.
Nel suo ufficio il commissario stava riflettendo sull’accaduto quando sentì bussare e si trovò di fronte il tenente Medri.
“Sto ancora pensando a come tu abbia potuto comportarti in quel modo. Spero che sia venuto a rassegnare le tue dimissioni. Non ho intenzione di discuterne e, anche se il caso è chiuso, su questo punto non intendo cambiare idea.”
“Ma quel Sassicaia era eccezionale.”
“E adesso cos’è? Se sei venuto anche a prendermi in giro guarda che la mia pazienza è da un po’ che si à esaurita.”
“No capo, ascoltami. Quel Sassicaia era davvero un vino favoloso. Ampio e persistente, con quei toni di spezie e goudron. Strutturato, armonico e ricco. E poi il colore: quel rubino così intenso con riflessi granata. Era senz’altro dell’’85, unico e inconfondibile. Non poteva essere un Sassicaia del ’93 come dice l’etichetta sui cocci della bottiglia trovata nello studio, e otto anni di differenza si sentono. Il Sassicaia del ‘93 è pure un grande vino, aristocratico ed equilibrato, ma non al livello dell’85. E poi 93, ancora il 93 che ritorna, l’anno di nascita delle gemelle, il loro numero della vita.”
“Insisti? Per Dio finiscila una buona volta. Non voglio più vedere la tua faccia.”
“E se la bottiglia che abbiamo trovato in frantumi, con tanto di impronte, non fosse quella che conteneva il vino che stavano bevendo? Se qualcuno ce l’avesse messa lì di proposito, perchè la trovassimo e trovassimo quelle impronte?”
“Ma fino a quando vuoi andare avanti? Non capisco dove vuoi arrivare con queste tue pietose giustificazioni. Adesso verrai a dirmi che quando ti ho trovato a bere di fianco al cadavere stavi indagando? Io e te lo sappiamo del tuo debole per l’alcol. Non farla lunga e lasciami in pace.”
“E poi quel vino era “aperto”. Offriva già tutti i suoi aromi migliori. La bottiglia era stata stappata almeno tre ore prima. Il racconto di Morgana non regge.”
“E allora? Ne hai forse tu uno migliore? Pensi che Morgana menta e sia coinvolta? Lo psicologo lo esclude categoricamente. La conosce da anni ed è assolutamente sicuro che sia incapace di azioni violente e di mentire.”
“Non lo so. E’ due giorni che ci penso. Forse c’è una spiegazione. Sopportami ancora un giorno, e se alla fine non salterà fuori nulla di nuovo avrai le mie dimissioni.”
“E cosa vorresti fare?”
“Troviamoci domani per andare a bere qualcosa in casa Astolfi. La cantina è ben fornita…”
Puntualmente, il giorno dopo, erano da poco passate le sei del pomeriggio, il commissario e il tenente Medri si presentarono a villa Astolfi. Morgana aveva riacquistato un minimo di forze e fu lei ad andare ad accoglierli. Dopo gli usuali convenevoli si ritrovarono seduti in soggiorno, con una palpabile tensione che serpeggiava, a ripercorrere assieme gli avvenimenti tragici di quei giorni.
“I rapporti tra papà ed Elettra erano tesissimi ma, forse per proteggermi, mi tenevano sempre in disparte. Mi sentivo impotente. Sapevo di avere un ruolo importante ma non potevo agire. Ero la regina in D8, bloccata tra il re, l’alfiere e i pedoni. Dovevo aspettare che qualcun altro si muovesse prima di me per poter prendere l’iniziativa. E’ il destino della mia vita.” A quelle parole Medri provò un brivido e tutto all’improvviso si chiarì.
Era stata lei. Era stata Elettra. Ed Elettra era diventata Morgana. Sulla scacchiera, D8 è la casella di partenza della regina nera. Il giorno precedente, al telefono, Gérard Pieplus gli aveva raccontato di quelle due regine un po’ strane, identiche nell’aspetto ma opposte nel carattere. Elettra era sempre la nera e Morgana la bianca, inderogabilmente. E adesso la regina nera si era tradita. Medri si trattenne a stento. Al termine, risaliti in auto, con una foga che non gli era consueta, spiegò al commissario quella che non era più solo una teoria ma una realtà, per quanto difficile da accettare e ancor più da dimostrare.
Elettra aveva organizzato tutto. Il giorno prima dell’omicidio si era fatta portare una bottiglia dalla sorella che aveva scelto come annata il loro anno di nascita. L’aveva rotta stando attenta a non cancellare o alterare le impronte di Morgana, e aveva conservato i cocci che sarebbero diventati la prova decisiva.
Il giorno successivo era stata in cantina, aveva preso un’altra bottiglia di Sassicaia, dell’annata migliore, ed era salita nello studio. Aveva stappato la bottiglia, ne aveva versato il contenuto nel decanter e poi aveva iniziato quella folle ultima conversazione. Per Altiero Astolfi non c’era stato scampo. Elettra estrasse dalla borsetta un vetro tagliente e gli aprì la gola. A quel punto sparse i cocci della bottiglia con l’impronta della sorella, ne intrise di sangue il collo e si preoccupò di portar via l’altra bottiglia.
Soltanto dopo chiamò Morgana e, prima che la sorella potesse rendersi conto di quello che era successo, davanti al cadavere straziato del padre, la spinse dalla finestra.
Da quel momento in poi Elettra divenne Morgana. Erano uguali. Chi avrebbe potuto accorgersene? E si conoscevano così a fondo che Elettra avrebbe potuto interpretare Morgana anche negli incontri con lo psicologo.
Al termine della ricostruzione di Medri, il commissario era visibilmente sconvolto. Ma c’era ancora qualcosa ancora che non tornava.
“Ma avendo già la prova per incastrare la sorella, perchè anche lo scambio di identità?”
“Per due motivi” proseguì Medri “Credibilità innanzitutto. C’era la prova ma mancava il movente. Morgana non avrebbe avuto nessun motivo per uccidere il padre e con il suo carattere, comunque, non l’avrebbe mai fatto. Accostare quell’omicidio a Morgana strideva troppo. Invece Elettra odiava il padre, ci litigava quotidianamente e la cosa era risaputa. Far uccidere il padre da Elettra sarebbe stato molto più credibile.”
“E l’altro motivo?”
“Consapevolezza della colpa. Elettra era ben consapevole della malvagità della sua azione e voleva punirsi. Inoltre era legatissima alla sorella e non avrebbe mai potuto incolparla. Così, agli occhi di tutti, ha incolpato se stessa e si è uccisa, anche se per rinascere come Morgana.”
“Ma come dimostreremo tutto questo?” riprese il commissario “L’unica prova è… il fiuto da sommelier di un tenente alcolizzato. Non volermene Medri, io ti ho sempre apprezzato ma è così.”
“Infatti lo sappiamo solo noi. E’ una vittoria platonica, puramente intellettuale. E’ impossibile dimostrare i fatti e poi ne varrebbe davvero la pena? Elettra la farà franca anche se, per riuscirci, non potrà più essere Elettra ma dovrà vivere per sempre come Morgana, dovrà diventare Morgana, l’amore dovrà prevalere sulla volontà e, finchè interpreterà quella parte, non sarà più colpevole ma vittima.”
E così Elettra, o meglio ormai Morgana, iniziò una nuova vita. Doveva mostrarsi condiscendente e amorevole con tutti. Iniziò a fare beneficenza e si dedicò al volontariato. La volontà era riuscita a far prevalere l’amore, o meglio, volontà e amore convivevano in quella strana simbiosi.
Brutta faccenda l’amore. Cominci a praticarlo e poi ti dà assuefazione e non puoi più farne a meno. E così fu per Elettra, fino a che un giorno, trasformata per il peso della colpa, frastornata da un insopportabile rimorso, decise di confessare la verità. Si presentò al commissariato e bussò alla porta dell’ufficio del tenente Medri.
“Posso entrare?”
“Avanti, la prego.”
“Tenente, le devo parlare…”
“Sì, lo so, la stavo aspettando …”
Bellissimo.