Premio Racconti nella Rete 2013 “Il conte rosso” di Vittorio Cotronei
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Le tozze dita avevano macchie scure che si confondevano con le imperfezioni della vecchiaia. Schegge di bomba, diceva orgoglioso. Teneva in mano una vecchia cornice dove una nave appariva, nella foto in bianco e nero, come una grande macchia chiara. L’aveva appena portata a casa uno strano tipo arrivato con una moto enorme e radi capelli lunghi che gli cadevano sulla schiena.
L’uomo rimase ad attendere sulla porta. Notai un nervosismo non abituale in mia madre, ma non le diedi attenzione, affascinato com’ero dalla luccicante moto parcheggiata in strada. Vidi mio nonno dare molti soldi al motociclista e stringergli la mano come se avesse portato a termine con successo una missione delicata.
Il suoi occhi buoni avevano cancellato l’orrore cui erano stati testimoni decenni prima: avevano visto il cielo cadere. Era venuto giù, accompagnato da una serie infinita di boati assordanti e dalla puzza di bruciato. Il suo posto era stato preso dal deserto, dalla polvere alzata dalle cannonate e dal movimento dei carri armati dell’Asse che all’alba si dirigevano verso est, verso il martirio.
Avevano bevuto miscela per giorni, l’acqua potabile era stata messa nei medesimi fusti con cui veniva trasportato il carburante, sciacquati alla meno peggio con l’acqua di mare.
Aveva visto il pilota perdere la testa nel senso letterale del termine, tranciata di netto dalle pallottole inglesi che avevano bucato la corazza come una scatola di sardine. Poi un boato, il carro prendere fuoco e allora, come recitava l’attestato per la croce al valor militare, “si gettò eroicamente contro i carri inglesi, fino a quando i sensi vennero meno”.
Svenuto, fu estratto ancora in vita dal carro armato e tratto in salvo da una delle più sanguinose battaglie della storia.
Dopo una convalescenza dorata, a picco sul mare, all’interno del sontuoso castello Sidney Sonnino, decise di tornare in africa a combattere nonostante il meritato congedo. S’imbarcò a Napoli, alle quattro e quaranta del mattino, la nave che lo trasportava fu silurata al largo di Siracusa da un sottomarino inglese.
Passò una notte in mare, avvinghiato ad un pezzo del relitto, udendo per ore le grida dei suoi commilitoni che chiedevano aiuto alle proprie madri, poi il lungo silenzio con cui il mediterraneo ricopre la morte.
Dopo l’otto settembre fuggì, nascosto nel retro di un camion e riuscì ad arrivare fino in Sicilia dove fu trovato. “Capocarro, noi ci rivediamo domani mattina” dissero i carabinieri che lo piantonavano. Stava per “Fugga stanotte, nessuno di noi la inseguirà”. Ma rimase ad affrontare il processo, a testa alta, sicuro della propria innocenza, ma consapevole che avrebbe potuto rimetterci la pelle.
Quando da giovane feci un provino per giocare nel Vicenza calcio volle accompagnarmi. Aveva gli occhi pieni di gioia, perché proprio là, al “Menti”, in quello stadio dove io rincorrevo con foga un pallone, fu processato e assolto per crimini di guerra. “Là c’era uno che urlava: fusilatelo, fusilatelo!” diceva con gli occhi perduti nel passato, indicando con la mano un punto imprecisato della tribuna.
Mi aveva accompagnato anche quando, da piccolo, volli andare per la prima volta alla Festa dell’Unità del paese.
All’entrata i comunisti l’avevano aspettato sorridenti. Non erano quelli di oggi, con gli occhialini snob, la giacca di velluto e la barca a Porto Santo Stefano. No, loro erano quelli veri, quelli che durante la guerra avevano imbracciato un fucile, si erano dati alla macchia e avevano ucciso i nazisti. Dissero che se voleva entrare si doveva appiccicare l’adesivo della falce e martello alla giacca, altrimenti non se ne faceva niente.
Gliene attaccarono un paio, così, tanto per non farsi scappare l’occasione. Una volta entrato l’avevano schernito per tutto il tempo chiamandolo “compagno” e salutandolo col pugno alzato. Non rispondeva, ma io so che dentro di sé anche lui se la stava ridendo alla grande.
L’ho visto soffrire in silenzio quando suo genero si è candidato sindaco con Rifondazione Comunista, l’ho visto buttare fuori di casa un onorevole del MSI, poi diventato ministro, perché si era separato dalla moglie, nonostante questi chiedesse scusa come cane bastonato. Poi si è separata anche sua figlia e le sue uniche parole sono state “E io che avevo anche votato Rifondazione per quello lì!”
Aveva sempre la sigaretta in mano, tanto che ho il sospetto che quelle macchie scure sulle dita non fossero solo schegge di bomba. Leggenda vuole che in gioventù fosse arrivato a fumarne anche quattro pacchetti al giorno. In vecchiaia, dopo due infarti, aveva leggermente diminuito. L’unica cosa di cui l’ho visto aver veramente paura era lo sciopero dei tabaccai. Aveva una cassapanca piena di stecche di MS 100’s. Talmente tante che qualche pacchetto, di quelle in fondo, me lo sono fumato anch’io, senza che se ne potesse accorgere.
La sua unica paura era comunque fondata: difatti un giorno si ruppe il femore, fu portato in ospedale dove ovviamente non poteva fumare e in poche ore morì, in preda ad una crisi isterica. Aveva ottantatre anni.
Non mi dimenticherò mai gli occhi imbarazzati di mia madre quando a casa arrivò la vicina: “Aveva dato a me, tanti anni fa, i vestiti con cui voleva essere seppellito” disse tirando fuori dalla borsa la camicia nera.
Al suo funerale c’erano anche i suoi nemici, i comunisti. Erano scuri in volto, qualcuno persino commosso. Forse perché sentivano di aver perduto, insieme ad un nemico leale, anche una parte di loro. Forse perché sapevano che con lui si chiudeva un’epoca e il nemico che stava per arrivare era molto più insidioso, sordido e di lì a poco si sarebbe portato via tutto, anche le idee. Oppure forse perché il coraggio, quello vero, non ha colore.
Così ogni volta che entro in camera sua e vedo la foto che lo strampalato motociclista aveva portato anni fa: il “Conte Rosso”, quella grande nave con cui si era imbarcato pur non essendo costretto a farlo, ma solamente perché credeva in qualcosa, e anche se quel “qualcosa” credo sia sbagliato, provo una leggera invidia.
Poi sorrido e sento che mi manca tanto.
Vittorio Cotronei
trovo che il personaggio principale sia descritto molto bene : è reale perchè ha pregi e virtù. E’ descritto bene anche anchel’ambiente, Il fatto che sis sia fatto seppellre con l’amata camicia nera,getta una luce in più sul ersonaggio. Giuliana
È molto coraggioso rispettare il coraggio di credeva in qualcosa che si crede sbagliato (col senno di poi è sicuramente più facile…. da qualunque parte si sta). Quello che oggi forse è ancora più difficile è capire chi sono i nemici. Un bel racconto che fa riflettere. Ben scritto.