Premio Racconti per Corti 2013 “La Spina” di Valentina Amadio
Categoria: Premio Racconti per Corti 2013Il cuscino come al solito era per terra e già entrava luce dalle persiane accostate.
Dopo aver buttato il pigiama in un angolo prendo un paio di pantaloncini sgualciti e una maglietta già sporca d’erba e scendo in cucina per il caffe, c’è casino ovunque, ma son nato nel casino e credo ci morirò.
Il sole inizia già a farsi sentire e il tagliaerba arrugginito mi aspetta esattamente dove l’ho lasciato due settimane fa: rovesciato in un angolo del prato vicino alla catasta di legna avanzata dall’inverno.
Con le infradito sento l’erba umidiccia che mi bagna i piedi, odio questa sensazione almeno quanto odio la bella BMW dei vicini e il loro stupido Setter che piscia sempre sulla ruota della mia Dolly, la mia Pit Bike, l’unico mezzo di trasporto che posso permettermi con lo stipendio da fame che mi danno giù al ferramenta per cui lavoro.
Alzo quel macinino svogliatamente e provo ad accenderlo tirando quel cordino spellacchiato una volta, due, tre,… “Che palle!” urlo tirandogli un calcio al quarto tentativo fallito di metterlo in moto.
Devo averci messo più forza del previsto perchè riesco a farlo ribaltare sulla legnaia causando la caduta di un po’ di tronchi rinsecchiti.
Resto a guardare la scena qualche secondo, immobile, poi dopo un respiro profondo inizio a liberare il prato dalla legna caduta ed eccola: la spina.
E’ grossa e scura, e fà un male cane; quella piccola cicciona della figlia dei miei vicini mi sta guardando, forse attirata dalle mie imprecazioni, e appena accenno uno scatto verso di lei scappa in casa rovesciando il pacchetto di patatine che stava mangiando lungo tutto il vialetto.
Adesso mi tocca perdere mezz’ora per levarmi ‘sta cosa dal pollice e dovrò tagliare l’erba sotto il sole cocente così se tutto va bene m’ustiono anche.
Mi ci vuole qualche secondo per abituare gli occhi alla penombra del soggiorno, dove tengo la cassetta del pronto soccorso, e dopo vari insulti a me stesso per il disordine che vi regna trovo un paio di pinzette.
Inizio a provare ad afferrare la spina e cerco di trattenere l’ennesima imprecazione quando sento la prima fitta che dal dito mi percorre tutto il corpo.
Ritento, e stavolta riesco a prenderne la punta e inizio a tirare, ma invece di uscire sento come se un ago mi penetrasse ulteriormente nella carne arrivando fino alla spalla; sento il dolore diramarsi verso la pancia, le gambe, l’altro braccio, la testa…
E’ più di quanto il mio corpo sia disposto a sopportare: svengo.
Buio, non entra luce dalla finestra della sala, al momento non ricordo quasi nulla, poi pian piano i ricordi riemergono come da una nebbia confusa: il tagliaerba, la legna, la pinzetta.
Provo ad alzarmi ma mi sento come legato dalla testa ai piedi, non riesco a parlare nè a muovermi, come se il mio corpo non m’appartenesse più e pesasse tonnellate.
Ho sete, ho una sete pazzesca, non mi sento più la lingua, non mi sento più nulla!
Resto in quella condizione di vegetale senza capire cos’è successo fino al giorno dopo, e a quello dopo ancora…ma che cazzo ho?!
Non ho fame, non ho sonno, non riesco a muovermi e ho questa sete che mi sta uccidendo.
Ad un tratto sento un’auto parcheggiare vicino al marcipiede di casa mia e una voce familiare che mi chiama “Giulio! Giulio!…” è mia sorella, per una volta nella vita son felice di vederla!
Sento il suo tacchettare in veranda, “Giulio! Razza di cretino…” viene scocciata verso la sala, entra e la vedo, provo a muovermi e a chiamarla, ma è come se avessi la bocca cucita e ogni muscolo del mio corpo cementato a terra.
Lei mi guarda stupita e poi il suo sguardo cambia subito direzione diventando bianco cadaverico, vedo che nota una chiazza piuttosto consistente di sangue a terra, devo aver sbattuto la testa quando sono svenuto; prende il cellulare tremando e compone un numero “Carlo, Carlo sono io, ti prego corri qui e chiama la polizia…No, no, vieni e basta!”, riaggancia e corre al piano superiore “Giulio! Giulio ti prego!” urla a squarciagola piangendo…non capisco.
Dieci minuti dopo ho la casa piena di gente, c’è la polizia scientifica, poi amici, parenti, vaghi conoscenti, i vicini, tutti mi buttano uno sguardo vagamente incuriosito e poi continuano a sparlare di me come se non ci fossi “Era destino che gli succedesse qualcosa” “Ti ho detto che frequentava brutta gente” “Per me si drogava” e questo andirivieni va avanti per qualche giorno, poi resto solo con me stesso e i miei pensieri.
Ripercorro la mia vita, la prima scazzottata, la prima canna, le liti coi miei, i soldi che chiedevo a chiunque, le bugie, i vicoli bui, le donne.
Un rumore attira la mia attenzione e mi distoglie da quei cupi pensieri, è Lucia, o Chiara, non ricordo esattamente il suo nome anche se le abito a fianco da anni; è la figlia di 6,7 anni dei miei vicini, ha un innaffiatoio in mano e, avvicinatasi, mi mette una mano sul cuore e inizia dolcemente a bagnarmi i piedi “Non ti preoccupare, non si prendeva cura manco di stesso, figuriamoci se poteva si curare qualcun’altro” dice.
I piedi bagnati, quella sensazione che ho sempre odiato improvvisamente è come manna dal cielo, pian piano svanisce il mio maniacale bisogno di bere e mi sento già più vivo.
La piccola sta lì e mi parla della scuola, dei compagni che la scherzano per i suoi chili di troppo, dei compiti…la osservo mentre mi parla, mentre si prende cura di me senza pretese e per la prima volta noto che ha due splendidi occhi verdi.
Continuo a ricevere solo la sua visita serale col suo innafiatoio rosa tutti i giorni per due, tre settimane, ho perso la cognizione del tempo, ormai l’aspetto come un cagnolino e quando se ne va resto con la compagnìa peggiore di tutte: la mia.
La mia vita sembra ormai decisa, interminabili giornate immobile aspettando Lucia, sì, si chiama così m’ha detto lei stessa, quando una mattina arriva un camion, un enorme camion da cui scendono tre netturbini seguiti da mia sorella in auto.
“Ecco, portate via pure tutto, è roba vecchia, ammuffita, non vale nulla” dice lei distrattamente.
“E della pianta che ne facciamo?” dice uno del trio con la sigaretta che gli penzola dalla bocca e i capelli unti.
Mia sorella si ferma, mi guarda e viene a toccarmi, per un istante ho l’impressione che mi stia guardando negli occhi, poi ritrae improvvisamente infastidita la mano “Fatene quel che volete, è orrenda!”, si volta, consegna dei soldi agli uomini e se ne va.
I tre cominciano a prendere i miei mobili e caricano nel camion, se solo potessi prenderei a calci quegli energumeni che osano toccare la mia roba!
Ad un tratto un flash mi abbaglia e, come si trasale spaventati da un forte tuono inatteso, capisco, o più che altro mi vedo: uno degli omaccioni ha staccato dalla parete un grande specchio e l’ha messo per terra appoggiandolo al muro davanti a me.
Ciò che vedo è scioccante: un vecchio ulivo, tutto contorto su se stesso, marcio, poche foglie secche e dei funghi sul tronco, vedo le mie rughe premature, le mie cicatrici, la mia rabbia, il mio odio, è tutto lì in bella mostra.
Ma questo assurdo! Chissà che cacchio m’ha venduto da fumare quel bastardo di Ramones, quando mi sveglio da ‘sto incubo lo riempio di botte!
Eppure è tutto così reale…
“Abbiamo dietro l’accetta o vado a prenderla in discarica?”
“No, lascia, l’ho già qua io. Spostati. Ma come cacchio avrà fatto a farle mettere radici nel pavimento? Assurdo! Doveva essere un gran coglione ‘sto tipo.”.
Vedo l’accetta, sento lo spostamento d’aria e chiudo gli occhi preparandomi al dolore quando all’improvviso “Aspetta!” urla un netturbino.
Socchiudo gli occhi e lo vedo allungare la mano e iniziare a scavarmi la pelle, o meglio, la corteccia del fianco, sento le sue unghie sporche che staccano pezzi di me e poi mi strappa qualcosa che luccica al sole “Guarda! Una pinzetta?” “Butta via, dai levati!”.
E’ un secondo, ho giusto il tempo di pensare che è assurdo, tra tutte le piante proprio un ulivo, il simbolo della “SSSTAC-STOC-..”…pace.
Tra Kafka e Cronenberg, soprattutto all’inizio..quando ho individuato la metamorfosi ho pensato alla selva dei suicidi giù all’inferno..può darsi che il protagonista si sia ucciso e quindi trasformato in pianta? Comunque mi ha “preso” il racconto!
…hai citato scrittori che io adoro, il racconto è pieno di simbolismi: l’acqua, l’ulivo, la sete,… Per quanto riguarda il finale l’ho pensato in modo che ciscuno lo vedesse come più lo sente suo: Giulio si è suicidato? Oppure l’hanno ucciso gli addetti della discarica e buttato come spazzatura? Stava solo sognando? Sarà ciuscuno dei lettori e decidere inconsciamente che fine ha fatto. Grazie mille Matteo, mi fa piacere che ti abbia interessato! 🙂
Grazie a te Valentina! I racconti come il tuo che permettono diverse interpretazioni sono quelli che preferisco! E’ un modo per far entrare ancora di più il lettore nella storia. Complimenti ancora!!
E’ un racconto che lascia senza parole…. e mi fa anche un pò paura. Bello ma anche angosciante il finale libero!Lo stile però è bello, brillante, ermetico e attira l’attenzione. Quasi quasi è una buona matrice per un mini Horror!!!! Ci sono un pò di errori d’ortografia da correggere. Condivisi anche i riferimenti e le osservazioni poste da Matteo Tella! Azzeccate!
Alla prossima ma…..magari un pò più….soft!!!! Mamy, papy… Ciaoooooo!!!!
Non so come verrebbe come corto, ma come racconto mi è piaciuto davvero tanto. I miei complimenti.
Grazie davvero Giovanna, come corto avrei qualche idea valida per proporlo, ma è una storia che ho in mente da un po’ e ho deciso di buttarmi! 🙂 Grazie ancora!!!!
Grazie mille alla mia famiglia!!!! Ok, la prossima volta scriverò uno smielatissimo romanzo rosa!!! 🙂 Grazie ancora!!!!!
Molto avvincente e bello, lo trovo solo un po’ difficile da realizzare come cortometraggio. La storia è ben scritta, rivela una grande capacità immaginativa, ti vedrei bene anche a scrivere storie per bambini, impersonificando oggetti, animali, e tanto altro. Auguri!
Grazie Francesca! 🙂 Per come lo vedo io è abbasta semplice realizzare un corto con la mia storia di base, speriamo che piaccia come piace a me! 😉 Grazie ancora!
Originale, simbolico e coinvolgente! Complimenti
Ciao Valentina, descrivi le situazioni che trovi nelle case e nei giardini (il disordine, i rapporti con i vicini e altro….) con un modo che mi piace. Descrittivo sarebbe un termine improprio perchè nelle parole si trovano anche i sentimenti del momento. Nel racconto si riconoscono molte componenti della società: un single con i suoi problemi esistenziali e Giulio ne ha tanti, la famiglia e il cane e i rapporti di vicinato, le persone che intervengono e danno le loro sentenze sulle persone assenti o morte.
Fondamentale è la scena dello specchiarsi del protagonista e dello scoprire la sua condizione di olivo e non ultima quella del rinvenimento della pinzetta. Quella spina ha creato tanti problemi a molti; sembra che abbia giovato al protagonista l’essersi fermato in un luogo permettendogli di apprezzare la compagnia della bambina.
Che la reincarnazione in un albero gli abbia restituito un po’ di “umanità” prima della ” ..pace”? E’ il transito di Giulio verso l’Altromondo? I druidi insegnavano ai popoli celtici che tutto è in perpetua trasformazione, la morte è solo l’inizio di una nuova vita e se niente muore niente rimane stabile.
Auguri per il tuo Corto.
Emanuele.
Emanuele, che dire, sono senza parole! Hai perfettamente capito me stessa, addirittura la mia passione per i Celti! Grazie infinite, m’ha fatto un piacere immenso ogni singola parola che hai scritto nel commento, grazie, grazie, grazie!!!