Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “L’ultimo giorno di mare” di Lucia Finelli

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Era arrivato settembre e, nel piccolo paese di mare, come ogni anno, i paesani erano stranamente felici, sollevati, perché diventavano nuovamente proprietari del proprio territorio: porticciolo, lungomare, spiagge,aria! I turisti erano un male necessario: ogni estate, li aspettavano, perché servivano al benessere del paese, ma dopo due mesi di convivenza, non vedevano l’ora che andassero via, con il loro chiasso, i loro modi arroganti e prepotenti.
In effetti, quel paesino, a settembre, si trasformava: partite le orde di turisti, riacquistava le sue originarie sembianze. Era sicuramente più bello e vivibile, a dimensione d’uomo. Per questo motivo, i turisti più affezionati cercavano di trascorrervi, in quel magico mese, almeno un fine settimana.
Anche quell’anno, Paolo, Laura e la piccola Silvia, si tennero liberi per un lungo weekend da trascorrere nella pace del loro adorato paese di mare, prima di tuffarsi definitivamente nella noiosa, snervante routine cittadina.
Arrivarono di sera, molto tardi, come al solito, per potersi svegliare col dolce rumore del mare, interrotto solo dal canto degli uccellini e dai rintocchi delle campane della chiesa, che, ogni quarto d’ora, scandivano l’inesorabile scorrere del tempo.
Quella mattina, però, nel paesino, c’era un’aria triste: le campane suonavano “a morto”, piangevano la prematura scomparsa di una bambina di dodici anni, stroncata dal cancro nel giro di pochi mesi. A nulla erano valse le cure mediche né le preghiere collettive, cui avevano partecipato anche i turisti durante la celebrazione delle suggestive messe estive, all’aperto, sul sagrato della chiesa vestito a festa.
Il male l’aveva consumata velocemente e la bambina era volata in cielo insieme agli altri angeli del Paradiso.
Per lei, quello era stato l’ultimo giorno nel suo bel paese di mare.
La Messa, alle dieci del mattino, era celebrata all’aperto, come sempre, per consentire a tutti di partecipare all’ultima preghiera di commiato per quell’anima pura.
In quest’atmosfera giunsero, a messa iniziata, anche i nostri vacanzieri, i quali videro affissi, sui muri del paese, i numerosi manifesti funerari in memoria della ragazzina, di una straziante commozione. Non vi riconobbero alcun nome di persone a loro note, per cui, dopo avere recitato una preghiera, benché rattristati dalla vicenda, proseguirono, decisi a noleggiare l’ultima barca della stagione.
Nell’enigmatica commedia della vita bisognava cogliere l’attimo fuggente! D’altra parte, si nasce e si muore di continuo, contemporaneamente, in ogni parte del mondo, mentre il globo continua a muoversi ed a ballare divertito!
Scelsero la barca più bella del porticciolo: un grande gozzo bianco e blu, degno della principessina di famiglia. Silvia aveva adocchiato quel gozzo all’inizio della stagione, strappando una promessa al babbo per la fine dell’estate. E, si sa, ogni promessa è un debito, soprattutto se fatta alla figlioletta adorata!
Il tempo, in realtà, non era un granché: il cielo era velato, il sole dubbioso, e, a tratti, scompariva del tutto dietro la maestosa montagna a picco sul mare.
C’era davvero un’aria strana in giro; anche il mare, seppur non agitato, non prometteva niente di buono, così spumeggiante e ventilato.
Ma loro volevano salpare, erano venuti appositamente per quell’ultimo giorno di mare e non vi avrebbero facilmente rinunciato. Così fu: comprarono i panini e l’acqua ghiacciata nell’esclusivo negozio della marina e poi noleggiarono la barca, costretti a saldare subito il prezzo del noleggio.
Laura, la moglie, non apprezzò questo comportamento del marinaio; avrebbero potuto tranquillamente pagare al rientro in porto. Ai suoi occhi fu un gesto di grande scortesia, visto e considerato che lì ormai erano conosciuti, ma, soprattutto, superstiziosa com’era, le sembrò di cattivo augurio, vi intravide quasi un ulteriore presagio di sventura.
Infatti, non le era piaciuta la triste concomitanza dei funerali della bambina; forse, avrebbe fatto a meno di quell’ultimo bagno per rispetto al dolore di quella madre e di quel padre, ma c’era da accontentare il proprio angioletto! Si sa, la vita continua!
E se fosse stato proprio l’ultimo bagno? Questo pensiero cominciò ad aleggiare nella mente di Laura e finì col rovinarle la giornata, ma lo tenne per sé, senza lasciare trapelare nulla a marito e figlia. D’altra parte, era innato in lei un pessimismo di leopardiana memoria e anche la piccola, nonostante la tenera età, non esitava a rinfacciarglielo. E poi, era dannatamente sensibile e si commuoveva per un nonnulla! Senza contare la terribile superstizione, tipica dei meridionali, che, a volte, rasenta la follia!
Comunque, bando ai sentimentalismi, i tre partirono col vento in poppa e tanti schizzi! Un vero divertimento per i lupi di mare! Si allontanarono dal porticciolo, fino a quando il paese non divenne un piccolo punto, per poi scomparire dietro le montagne.
Che spettacolo! Solo cielo e mare con tante sfumature di blu, e le montagne frastagliate, il tutto sovrastato dai numerosi gabbiani, tornati da lontano per riappropriarsi delle petrose spiagge.
Anche quell’anno si era verificato, dunque, il miracolo di settembre: nell’arco di una settimana il paese si era svuotato, il mare ripulito dei tanti, forse troppi, spericolati natanti, e tutto era tornato come prima – poche barche, pochi turisti, pochi, ma buoni! A Laura sembrava proprio di ritornare bambina, quando, in quel paesino, era perennemente settembre!
Laura aveva sempre apprezzato tutto ciò, ma quel giorno non fu così. Avrebbe preferito di gran lunga stare in mezzo alla gente, circondata da barche, canoe e pedalò. Nonostante avesse desiderato tanto quel momento di solitudine, non stava a proprio agio; il sordo rumore del mare, lo stridulo vociare dei gabbiani e quel silenzio naturale la opprimevano, la disturbavano più di ogni altro suono fastidioso, la facevano stare veramente male!
Più volte il marito le chiese se stesse bene e lei, tutte le volte, mentì con un finto sorriso di circostanza, fino a quando, improvvisamente, la barca si fermò, ammutolita! A quel punto Laura sbiancò; d’un colpo, perse l’abbronzatura così faticosamente conquistata durante le vacanze. Quest’imprevisto non ci voleva proprio! Tra l’altro con quel vento sarebbero arrivati in Sicilia! Il panico prese il sopravvento, ma solo per poco. Paolo, infatti, con la sua consueta, quasi irritante pacatezza, ed il suo solito ottimismo, accompagnati dall’immancabile tenacia, tranquillizzò le proprie donne, e, soprattutto, riuscì a riavviare il motore.
La barca ripartì, ma, contrariamente ai programmi, decisero di non allontanarsi ulteriormente e di approdare alla spiaggia più vicina. Era una spiaggia molto piccola, sovrastata dalla montagna, la quale, sul lato destro, mostrava una grande cavità, una grotta, da loro soprannominata, appunto, “il grottone”.
Dato l’umore, Paola avrebbe preferito una spiaggia grande, dove probabilmente sarebbero arrivate altre persone, ma non fu accontentata, in quanto padre e figlia volevano fare un po’ di snorkeling e quello era il posto più adatto. Così, dopo un po’ di vane proteste, capì che non aveva altra scelta; si rassegnò e pensò che avrebbe approfittato per finire di leggere il suo libro, adagiata sul materassino, in riva al mare, cullata dalle onde, naturalmente, tempo permettendo! Dietro la montagna, infatti, si affacciavano sempre più vicine e minacciose delle grandi nubi. Per calmarsi recitò una preghiera, come era solita fare quando voleva dare pace all’anima e alla turbinosa mente. I pensieri si accavallavano vertiginosamente e neppure il sole, forse troppo debole, riuscì a stordirla e ad annientare le idee di morte che, ormai, le si erano insinuate nel cervello. I pensieri, si sa, corrono più del vento e sono difficilmente controllabili!
Alla fine, rimasta sola, si arrese: aprì il libro e si immerse nella lettura, benché non amena, trattandosi di una recente testimonianza sulla persecuzione degli ebrei. In genere, portava, in viaggio, con sé due o tre libri di genere diverso, in modo da avere un po’ di scelta in base all’umore, ma quella volta non era stato possibile. Aveva dovuto ridurre il bagaglio, stressata dalle lamentele del marito, per cui, anche sul fronte lettura dovette accontentarsi.
Essendo, comunque, una fanatica dell’abbronzatura, cominciò a leggere posizionandosi nella direzione del sia pur debole sole, e, pian piano, tra lettura, sole e stanchezza mentale, suo malgrado, cadde in un sonno profondo. Iniziò così il viaggio verso l’ignoto.
Aprì gli occhi e le si parò innanzi l’uomo della grotta, un vero e proprio homo sapiens, il quale la guardava curioso e la toccava, la tastava curiosamente come se fosse una bambola, poi la prese in braccio e la sollevò in aria, lanciandola fino alla vetta della montagna.
Cadde giù facendo uno spettacolare tuffo nel mare, al pari di quelli olimpionici, e, cosa ancora più strana, l’uomo della grotta non c’era più.
Uscì dall’acqua indenne e, con sua grande sorpresa, si ritrovò con una bellissima coda di pesce: era diventata una gigantesca sirena! Che orrore! Le era capitato spesso di invocare “un bel corpo da sirena”, ed, invece, quell’ingombrante coda variopinta la faceva sentire prigioniera di sé stessa e molto ridicola. Inoltre, ricordava bene quanto odiasse la fiaba de “La Sirenetta”, con quel finale tanto ingiusto: lei, la sirenetta, la salvatrice del principe, diventa spuma di mare, invisibile, mentre, l’altra, per un puro colpo di fortuna, sposa il principe. Una vera ingiustizia, percepita come tale anche dalla piccola Silvia, la quale, puntualmente, cambiava il finale della favola, sennò, diceva lei, “ma che favola è?”!
Mentre pensava a queste cose, sentì un brusco strappo che la fece andare sott’acqua: uno spaventoso natante le aveva tranciato di netto la coda! Per fortuna, si ritrovò di nuovo con le proprie gambe, piccole e corte, ma pur sempre gambe, e con i suoi soliti piedi a papera. Il natante prese il largo e sembrò allontanarsi; ma poi, di colpo, si girò, accelerò e si diresse verso la spiaggia dove si trovava la povera malcapitata, Laura.
Si trattava di un gommone, che ospitava cinque bruti, i quali si scagliarono contro di lei con tutta la loro forza e malsana cattiveria. Inutilmente sadico sarebbe soffermarsi sui terribili particolari dell’aggressione!
Veramente un brutto sogno, anzi il peggiore degli incubi! Eppur così reale!
Laura si svegliò di soprassalto e si rese conto che aveva dormito parecchio; uno sguardo all’orologio per capire che era passata un’ora, ma, del resto della famiglia, neanche l’ombra! In giro non c’era nessuno, un vero deserto in mare aperto.
Non ebbe neppure il tempo di rilassarsi per avere realizzato che si era trattato solo di un orribile incubo, quando, all’improvviso, vide emergere dal mare, marito e figlioletta, sconvolti, in un mare di sangue!
Paolo aveva avuto un incontro ravvicinato con una murena e ci aveva giocato un po’ troppo per farsi bello agli occhi della figlia. La murena si era innervosita e, per difesa, gli aveva afferrato il braccio in una strettissima morsa.
La moglie, inebetita, corse sulla spiaggia, prese un telo e glielo strinse intorno al braccio, nella speranza di fermare il sangue. Fece tutto senza guardare bene la ferita, poiché la vista del sangue, da sempre, le provocava svenimento.
Tra i pianti della bambina ed i lamenti del marito, ebbe poi la prontezza di nuotare veloce alla barca, non certo per condurla – era una totale imbranata -, ma, semplicemente, per chiedere aiuto col cellulare. Ovviamente, lì, a largo, sotto la montagna, non c’era campo per telefonare! Disperata, cominciò a guardare in lontananza, sperando di scorgere qualche imbarcazione, ma invano!
Nel frattempo, infatti, il tempo era peggiorato ed i pochi turisti avevano preferito rimanere tranquilli nella marina a godersi la brezza marina, comodamente seduti ad un tavolino di bar.
La povera Laura cominciò a temere il peggio; provò anche, ma inutilmente, a far partire quella dannatissima barca! In preda ai suoi terribili pensieri percepì, in lontananza, una specie di ronzio, che, poco alla volta, divenne sempre più chiaro: era il motore di una barca! Finalmente! Quei pochi secondi di attesa le erano sembrati un’eternità.
Da lontano l’ombra della barca, man mano che si avvicinava, diventò sempre più visibile: nel giro di poco l’incubo si materializzò. L’incubo nell’incubo! Era proprio il gommone sognato poc’anzi, e a bordo c’erano proprio loro, gli uomini che l’avevano brutalmente assalita, ma non poteva lasciarsi condizionare dall’immaginazione, dai sogni, e, soprattutto, doveva abbandonare la sua dannata superstizione.
Le urla della piccola Silvia la richiamarono alla realtà e smise di pensare. Cominciò ad agitarsi sulla barca in modo da attirare l’attenzione del natante in lontananza. Non appena questo fu vicino a lei, tutti i suoi dubbi trovarono conferma, purtroppo! Ma non si perse d’animo; fissando i loro occhi di ghiaccio, in lacrime, implorò il loro aiuto.
Anche gli uomini la fissarono, si scambiarono complici sguardi, parlarono nella propria lingua, e, poi, senza fiatare, si diressero verso la spiaggia, dove caricarono l’uomo con la bambina che gli stava attaccata come una ventosa. Passarono vicino al gozzo, dal quale prelevarono anche la donna, e, sempre in silenzio, si diressero veloci verso il porto più grande, vicino all’Ospedale.
Alla banchina c’era già l’ambulanza con un medico ed infermieri pronti a soccorrere l’infortunato, oltre ai soliti curiosi.
Eseguita la consegna, i soccorritori del gommone, schivi come dall’inizio dell’incontro, ebbero fretta di andarsene, rifiutando qualsiasi ricompensa. A sorpresa, però, uno di loro, parlando in un italiano stentato, rivolgendosi in particolare a Laura, ringraziò a nome di tutti, per aver salvato loro la vita eterna.
Il povero Paolo era in stato di totale incoscienza quando arrivarono al porto e non udì quelle parole; Silvia era troppo piccola per capirle, ma Laura, reduce da una mattinata di terrore, ancora incredula per l’accaduto, pur versando in uno stato mentale confusionale, intese e perciò ringraziò il suo Dio per averla salvata. Tuttavia, la giornata non era terminata. Concentrò le sue preghiere sul povero marito.
Dopo una giornata di autentico realismo, riprendeva la commedia della vita, nell’atrio squallido di un ospedale di paese, sbrigando le pratiche burocratiche necessarie per l’ingresso di un degente.
La realtà aveva superato il sogno. Fu l’ultimo giorno di mare.

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