Premio Racconti per Corti 2013 “L’attesa” di Matteo Scarrone
Categoria: Premio Racconti per Corti 2013
Un uomo sui trent’anni raggiunge un’amica sul terrazzo condominiale dove abita. Lei, una ragazza mora, alta e magra, con i capelli raccolti dietro la testa, si stringe in un pullover bianco.
Luca: Ti cercavo, Roberto mi ha detto che forse ti avrei trovata qui. Noi stiamo per andare. Vorremmo che tu venissi con noi. Lo sai.
Cristina si gira, lo guarda e sorride appena. Si vede che ha appena pianto. Luca abbassa lo sguardo.
Luca: E va bene: è Roberto che mi ha detto di convincerti. Mi ha mandato lui. Cris, sono giorni che sei strana e nessuno capisce che cos’hai. Roberto voleva chiamare tua madre e dirglielo, ma per fortuna ha chiamato prima me. Gli ho ricordato quanto tu odi che lo faccia. Ma questo non cambia che, se stasera non esci con noi e non mi racconti che cavolo è successo, la chiamo io stesso tua madre. E sai quanto non la sopporti nemmeno io!
Cristina sposta lo sguardo e lo fissa negli occhi. Sorridono insieme.
Cristina: Ho aspettato che Roberto si arrabbiasse. Ma non lo ha fatto. Ti ha detto che gli ho tirato un piatto addosso prima?
Luca annuisce con la testa diventando serio.
Cristina: Mi aspettavo reagisse. Invece mi ha solo fissata. Poi è entrato in bagno. Io sono salita ed ho aspettato che arrivasse. È tutta la vita che aspetto.
Cristina si sporge dal parapetto e guarda giù, il palazzo è alto. Poi si gira e parla direttamente con Luca.
Cristina : È incredibile quanto tempo della mia vita abbia sprecato nell’attesa di qualcosa. Anche tu, oggi, mi hai fatto aspettare. E quei momenti persi qui, a non fare niente, non me li ridarà nessuno. Ho atteso una vita in macchina le mie amiche che scendessero di casa per andare ad aspettare degli altri amici in un pub o in pizzeria. Ho atteso una vita mia madre sul sedile posteriore mentre faceva benzina o mi accompagnasse da mia zia. Ho atteso una vita che qualcuno si accorgesse delle mie sofferenze, delle mie ferite. E l’attesa più lunga forse è stata quella che ancora vivo: l’attesa della morte. Ad esempio, quando attendevo mia madre che doveva fare benzina o le mie amiche che si finivano di truccare, io ero lì, ferma. Sapevo che prima o poi sarebbero scese, che qualcosa sarebbe successo. Sapevo che qualcosa sarebbe accaduto prima o poi. E la morte è la stessa cosa: prima o poi, io so che toccherà anche a me, è inutile che faccia finta di niente.
Cristina ride guardando la faccia attonita di Luca che non dice niente.
Cristina: Che cavolo di discorso che sto facendo, lo so. Non me lo dici, ma te lo leggo nello sguardo. Anche tu stai aspettando qualcosa. Per esempio che io ti chieda come stai veramente. O che qualcuno faccia quello che hai sempre voluto e che non hai mai avuto il coraggio di chiedere. Anche tu stai aspettando un attimo di pace in questo mondo che ti divora gli anni e i sogni. Sbaglio, Luca? Lo so, ma non lo farò, non ti chiederò come stai veramente, come nessuno fa niente per me o per le persone che ci aspettano a casa. Solo noi possiamo fare qualcosa per noi stessi, ed io sto aspettando anche quello. Io so che me ne sarei potuta andare dopo aver passato mezz’ora ad aspettare in macchina. Che avrei potuto aiutare mia madre a fare benzina, o che sarei potuta andare da qualcuno che, seppur pagando, mi aiutasse a curare le mie ferite. Lo so. Ma ho atteso, con la speranza. E aspetterò invano fino al giorno della mia morte. Perché non voglio aiutarmi.
Luca la guarda ma non parla. È il crepuscolo e si alza un po’ di vento.
Cristina: Tu mi conosci. Ti ricordi qual è l’ultima cosa che mi ha detto mio padre? “Tu intanto vai da tua madre, adesso vi raggiungo”.“Adesso vi raggiungo”, capisci? Sono vent’anni che ancora lo sto aspettando, seduta al ristorante. Con lo sguardo di mia madre carico di preoccupazione. Ero così piccola che i piedi non mi toccavano terra, e penzolavano sotto la sedia mentre mi agitavo guardando la porta. Anche li, mia madre mi disse che ci voleva tempo per crescere, che dovevo avere pazienza, che bisogna saper attendere. Bene, io ho atteso, e nonostante adesso tocchi terra con i piedi, ancora aspetto qualcosa.
Luca si avvicina e le prende una mano.
Luca: Il problema non è quanto attendiamo, ma quanto vale la pena attendere. Non c’è bisogno di disperarsi perché, dietro l’angolo, c’è sempre qualcosa per la quale valga la pena. Vale la pena rischiare qualcosa, giocarsi dei soldi, una carriera. E per alcune cose vale anche la pena attendere del tempo. Non valeva la pena forse attendere trent’anni per conoscere Roberto? Allora forse è valsa la pena attendere stasera e la nostra libera uscita. E varrà la pena attendere di prendere in braccio tuo figlio forse. Varrà la pena fare altre mille cose che neanche conosci e che attenderai. A volte invano, a volte no. Non sta a te decidere cosa vale la pena. Di sicuro vale la pena far aspettare la morte ancora un po’. Che dici?
Cristina sorride. Abbassa lo sguardo ed accarezza la mano di Luca. Annuisce, si stringe nel cardigan per il fresco che arriva con il calare del sole. Luca si allontana verso la porta per scendere a casa. Si gira e guarda sorridendo Cristina, aspettando che lo raggiunga.
Cristina: Tu intanto vai, adesso vi raggiungo.
Fare attendere una persona è come mancarle di rispetto. Cristina è bene che faccia attendere Roberto e Luca e si allontani alla ricerca di un Amore per lei. Questo potrebbe essere la conclusione del racconto essendo il quadro di ciò che le sta intorno non è rassicurante per Cristina.
Mi fa piacere vedere che si possa far emozionare e far comprendere le emozioni anche in così poche righe. grazie.