Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Racconti nella Rete 2009 “Perdendo si vince” di Bruno Satta

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009

Signora Assuntina entrò in casa con difficoltà, ingobbita per le sferzate di maestrale. Adesso quando arrivano, già mi sentono. Mi devo ammazzare per aprire la serranda del negozio, mi devo ammazzare per richiuderla e non riesco neanche ad entrare in casa mia. Ma a me chi mi aiuta?

Si diresse subito verso il camino. Si sedette nella piccola sedia in paglia. Soffiò sopra la brace. Il tronco riprese vita tossendo. Dopo altri scoppi, spuntò la fiamma. Nella gola del camino si sentiva il rumore del vento che lottava per entrare. La donna si stropicciò le mani velocemente e poi le aprì davanti al fuoco. Erano screpolate. Gialle dal freddo e rosse per i geloni.

Il calore del camino fece appannare la porta finestra. Si avvicinò e, come faceva da ragazza, spannò il vetro con la mano. Come per magia, apparve la linea dei monti, con le nuvole al di sotto. Le cime spruzzate dalla neve sembravano scogli in un mare grigio fatto di nuvole. Più in basso, immobile come una tavola, il lago artificiale.

Preparò la cena per i suoi due figli.

Marco ed Andrea.

Marco era il più grande, quasi quaranta, ne aveva. Solido come una roccia di granito, come suo padre, buon’anima.  Mai un raffreddore o un colpo di tosse, mai freddo o caldo, mai un lamento. Dopo la licenza elementare aveva lavorato nei campi con il padre. Aveva fatto di tutto, dal bracciante al potatore. Certo che adesso nessuno lo poteva fregava, ci dovevano solo provare. Quando si arrabbiava, faceva paura. Faceva paura a lei che era la madre. Era così anche da piccolo.

Andrea, più piccolo di otto anni, invece era il più coccolato in casa. Era sempre piccolino, anche se di anni ne aveva trentadue. Non aveva conosciuto le privazioni, perché la guerra era un ricordo lontano. Per lei era un cucciolo, figlio della ripresa economica.

Nessuno dei due si era formato una famiglia. Glielo diceva sempre, sistematevi che vostra madre non è eterna, non potrà accudirvi sempre, non potrà sempre farvi il pranzo e la cena, che avete sempre tutto pronto voi, le camicie nei cassetti ed il piatto caldo in tavola. Ci dovete pensare da soli adesso che avete il tempo. Non è solo a divertirsi! Mancava un quarto alle otto. Andrea bussò, colpendo la porta con i piedi per non togliere le mani dalle tasche.

Mi, che freddo. Si congela! –

Aveva il bavero alzato, era spettinato con un ciuffo sulla fronte. Guadagnò il camino e rovistò le braci per attizzare ancore di più il fuoco.

Ma! Che c’è a cena! Quando si mangia?-         

– Aspettiamo tuo fratello, che non siamo mica bestie per mangiare da soli! –

Si sentì la macchina entrare nel cortile del retro e il cono di luce dei fari illuminò per un momento il soffitto della cucina. Marco entrò dalla porta del cortile.

Si misero a tavola chiacchierando allegramente. Andrea, appena mangiato, andò verso la finestra e spannò il vetro, per vedere il nero della notte.

– Tanto i vetri li pulisco io!- gli disse la madre

Ma, perchè non ce lo butti via quel negozio e ti riposi un po’. Per quel poco che ci dà!- Le disse Andrea.

– Tuo padre ha sputato sangue, per quel negozio. Diceva sempre che poteva essere il futuro tuo e di Marco, perché nella vita non si sa mai. Non li ha trovati mica per terra i soldi, li ha guadagnati, con il suo sudore, spaccandosi la schiena tutti i santissimi giorni. Che Dio l’abbia in gloria, quel sant’uomo! E spegnete le luci prima di andare a letto, che la corrente costa!- Disse la donna salutando i figli, mentre il suo cuore si apriva ad un sorriso pieno di soddisfazione, vedendoli seduti vicino, mentre chiacchieravano allegramente. Aprì l’armadio dell’andito e tirò fuori due asciugamani puliti. Era tutto in ordine in quel grosso armadio di castagno, l’unica cosa ereditata dalla nonna: tutto allineato, tutto contato. Le assomigliava, lo dicevano tutti.

L’indomani mattina si avviò come sempre verso il negozio, dopo essersi data un colpo di cipria alle guance. Non era male per avere quasi cinquant’otto anni. Il fisico alto e robusto, faceva ancora la sua figura. Figuriamoci che si era messo anche il maresciallo. Un bell’uomo, alto, anche lui sui sessanta. Signora Maria Assunta, le aveva detto, anch’io sono vedovo, ho girato l’Italia e di cose ne ho visto, diceva con un sorriso che lasciava intendere, però da quando la mia povera moglie, buon’anima, mi ha lasciato, ho maturato la necessità di unirmi con un’altra donna. Guardando la campagna ancora grigia, le sembrava quasi di sentire la fatica dell’erba di crescere. Si sentiva imparentata con tutta la natura circostante.

Alla fine della giornata, abbassò la serranda a metà. Andrea ha bisogno di un paio di scarpe. Forse quelle marrone scuro possono andare bene. Le mise in cima ad una pila di scatole sul pavimento.

Senti bussare sulla serranda abbassata.

– Posso entrare?-

– Siamo chiusi, torni domani- Rispose signora Assuntina.

– Signora, sono di passaggio. Ho rotto le scarpe, abbia la compiacenza…-

La donna aprì la porta interna del negozio, e si girò, dirigendosi verso la cassa:

– Facciamo in fretta che devo chiudere.- Rispose la donna brusca. L’uomo entrò di spalle. Era vestito bene, con un abito scuro e la cravatta in tono. Aveva un il fisico asciutto.  Quando si girò, in faccia aveva una maschera di cartone, da pagliaccio. Da buchi rotondi si intravedevano gli occhi guizzanti. In mano stringeva una pistola nera, raschiata nella canna. Signora Assuntina rimase incredula, con la mano contro il suo petto, per contrastare i battiti impazziti del cuore.

– Dammi tutto l’incasso! . – Disse l’uomo con un tono minaccioso e diede un calcio alla pila di scatole di scarpe, camminandoci sopra.

Calpestò anche quel paio marrone di Andrea. Proprio quelle no!

Gli si avventò contro pestandolo in faccia con i pugni chiusi. Il rapinatore alzò il braccio sopra la sua faccia, inchinandosi per evitare i colpi della donna. Con la mano destra assegnò al viso della donna un colpo con il calcio della pistola. Stramazzò al suolo con la mascella tumefatta. Il rapinatore aprì la cassa, afferrò tutto l’incasso, lo mise in una scatola di scarpe. Si tolse la maschera. Poi uscì con la calma da professionista. La donna per un attimo gli vide il volto, regolare, con occhi chiari. Aveva una cicatrice che, da sotto il naso, raggiungeva i margini della bocca.

 Marco ed Andrea, dopo la medicazione,  la portarono a casa. Lei non volle andare a letto e si sistemò vicino al camino acceso. I figli, dalla cucina, la fissavano con la morte nel cuore, seduta nella sua piccola sedia vicino al camino, improvvisamente stanca per il peso della sua vita. Aveva una grossa benda sulla mascella, tenuta con un cerotto incrociato. Rimaneva ferma, immobile, senza appoggiare la schiena alla piccola sedia impagliata, umiliata dal ricordo della violenza. Diceva parole senza suono. I figli parlavano tra loro con cautela, ma lei li sentì distintamente: anche se lo prendono, lo condanneranno a pochi anni, avrà tutte le attenuanti del caso, non se la può cavare così! Gli faremo maledire di essere nato.

La notte passò con Marco e Andrea che facevano capolino nella sua stanza da letto. Lei li vedeva dal profondo dei suoi occhi stanchi. Li sentiva costruire e programmare progetti di feroce vendetta. Da quel giorno uscirono tutte le notti, salutando la madre frettolosamente. I giorni passavano e Marco ed Andrea uscivano sempre dopo cena. Tornavano sempre più tardi. Un pomeriggio l’appuntato la condusse in caserma. Il maresciallo le disse:

 – l’abbiamo trovato! Tanto queste persone qui prima o poi ci cascano di nuovo. Ci serve la sua testimonianza, se no questo se la cava. –

Nella stanza entrarono tre persone. La terza era elegante con un abito senza cravatta, e una cicatrice che dal naso arrivava fino alla bocca. Aveva dei lividi in faccia. La donna si alzò in piedi. Si diresse, calma, verso l’ultima persona entrata, la guardò bene dentro quei piccoli occhi chiari.

– Oggi ti faccio un regalo – gli disse guardandolo dentro la sua anima. – Ti regalo la vita, maledetto bastardo!-

E gli assegnò un ceffone, inaspettato, in pieno viso.

– Questi sono gli schiaffi che non ti ha dato tua madre! –

Il maresciallo ordinò con soddisfazione:

– Arrestatelo e portatelo dentro! –

– Maresciallo, non è fra questi. Non è lui il rapinatore- Uscì senza esitazione, lasciando i presenti stupefatti. Il giorno dopo il maresciallo si presentò a casa sua. Davanti ad un caffè disse:

– Perché l’ha fatto? L’avevamo in pugno! L’avremo difesa noi! –

– Sono io che ho difeso lui, dai miei figli. Condannandolo, l’avrebbero aspettato, anche una vita intera; e poi avrebbe pagato per l’affronto fatto alla loro madre. Forse avrei perso me stessa, avrei perso i miei figli. Ormai il danno era fatto. Caro maresciallo, a volte perdendo si vince.- Il maresciallo abbozzò un sorriso sincero.

– Già, alle volte perdendo si vince! Giusto Signora Maria Assunta! Lei è una gran donna. –

 – Un altro caffè, signor maresciallo? –

– Grazie, Assuntina

Preparò la caffettiera, lo guardò mentre rovistava la brace e si mise a sorridere.

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