Premio Racconti nella Rete 2013 “Posso giocare a calcio?” di Alessandra Bertini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Dove nasca questa passione, davvero, non lo so. Non ho avuto un padre tifoso ne tanto meno giocatore, non ho nemmeno il ricordo di un evento particolare, ma solo la consapevolezza di aver un giorno, bambina, cominciato a dare calci ad un pallone. Non semplici colpi, ma calci veri e propri, quelli per cui il pallone si muove esattamente come vuoi tu, rimbalza contro il muro esattamente nel punto in cui vuoi tu e torna indietro proprio sui tuoi piedi.
Ho passato gran parte della mia fanciullezza nel giardino sul retro di casa a giocare con il pallone. Da sola, tentando di imitare le giocate dei fuoriclasse, provando dribling pazzeschi, doppi passi, piroette e rabone. E seppure i miei insegnati fossero solamente i giocatori che la domenica vedevo nelle sintesi delle partite alle televisione, posso dire di avere avuto una certa confidenza con il pallone, e prima di tutto predisposizione e tenacia. Saper colpire il pallone nella maniera giusta non era per me semplice fonte di divertimento, ma piuttosto manifestazione di eleganza e coordinazione, per questo potevo continuare ad eseguire lo stesso gesto per pomeriggi interi senza stancarmi, riprovando, riprovando e riprovando fino a che la mia soddisfazione non ne fosse stata appagata.
Imparare a palleggiare non è stato certo semplice, piede destro, sinistro, ginocchio, testa e così via per infinite volte, dando ad ogni tocco un numero progressivo. I primi cinque consecutivi sono stati una vera lotta; a cominciare dal tentativo di alzare il pallone. Il movimento, che consiste nel far scorrere il pallone a se per poi farci entrare il piede sotto come fosse un cucchiaio, non sarebbe troppo difficile, ma deve essere eseguito con precisione, giusta potenza e velocità. Allora il pallone si solleva leggermente in aria, in verticale, esattamente sopra il piede che gli ha dato l’impulso, e che, per proseguire nel palleggio, dovrà continuare a farlo con la stessa forza e diligenza. Facile a dirsi, molto meno a farsi. Il piede, soprattutto se si tratta del sinistro, almeno nel mio caso, non risponde come dovrebbe e allora il pallone o va troppo in avanti o troppo di lato, il corpo si scompone per tentare il recupero e finisce che la palla cade a terra. Questione di esperienza, di sensibilità nel tocco, l’unica medicina è la perseveranza. Così da cinque si passa a dieci, venti, cinquanta, cento. Tombola! Il traguardo è raggiunto. Mi ero detta proprio questo: se arrivo a fare cento palleggi consecutivi chiedo a mamma se mi dà il permesso di giocare in una squadra vera.
Avevo dieci anni, e nel mio paese, piccolo, di squadre femminili nemmeno l’ombra. Anzi, che una femmina si mettesse a giocare a calcio era pure abbastanza disdicevole, mi sentivo ripetere spesso: <<Sei proprio un maschiaccio>>. Eppure io mi sentivo pienamente femmina, anche se totalmente affascinata da uno sport che, riflettevo, usa i piedi come se fossero mani, e accidenti se era più facile lanciare in aria una palla con le mani. Nel profondo conoscevo già la risposta, ma ci provai comunque: <<Mamma, vorrei fare sport…posso andare a giocare a calcio?>>. Alla parola sport mia madre aveva già capito, del resto bastava affacciarsi alla finestra per capire cosa mi piacesse fare. Ma per quanto lei vedesse la mia sincera passione, non seppe cedere al pregiudizio e ad una assai materna paura che mi rompessero le gambe. <<Ma il calcio è uno sport da maschi, ci si fa male, e poi ti vengono le gambe muscolose come un uomo>>.
Mai affermazione fu più profetica. Dopo qualche mese, per non rimanermene sempre sola a casa, decisi di seguire le mie compagne di classe a pallavolo. Per quanto fosse un ripiego devo dire che mi sono divertita molto, e lo testimoniano i dodici anni di gioco, ma se anche, al contrario del calcio, nella pallavolo ci fossero più donne che uomini, non si può certo dire che fosse uno sport molto più delicato. Dopo un anno il mio corpo aveva subito quasi un mutamento genetico: al posto dei miei esili arti inferiori erano esplosi muscoli quasi da culturista, l’addome aveva preso la famosa sembianza a “tartaruga”, le spalle si erano scolpite come un bronzo di Riace ed io avevo solo dodici anni…e non avevo dimenticato il mio primo amore: il calcio.
Continuavo ad esercitarmi in giardino, palleggi, dribling, stop e colpi di testa, ed ogni tanto alcuni ragazzi poco più grandi di me, miei vicini di casa, mi chiamavano a giocare con loro. Oh questi si che erano momenti felici. Se eravamo in tanti mettevamo su due squadre, e via con una partita vera e propria. Se invece eravamo troppo pochi si giocava “alla tedesca”, e per tedesca si intendeva al volo. In questi casi la felicità si trasformava quasi in godimento: il gioco permetteva infatti solo gol e passaggi al volo. L’apoteosi della perfezione, traiettorie tracciate in aria come le pennellate di un pittore, magie balistiche da giocoliere, ecco cosa voleva dire per me giocare alla tedesca.
Ancora oggi, che di anni ne sono passati tanti, quando ci penso e provo a ricercare nella memoria le immagini di quei momenti, assaporo di nuovo quelle sensazioni di soddisfazione e appagamento. Perché la passione non è svanita con il tempo, e se gli anni non mi permettono più di far volteggiare in aria un pallone, guardo le partite giocate dagli altri e vedo nei novanta minuti ogni volta dipanarsi una storia diversa, fatta di lotta, sudore, concentrazione, movimento, intelligenza…bellezza.
Cara Alessandra, non immagini come io mi sia immedesimata in questa storia, il mio commento quindi è fin troppo di parte. Sono una ex maschiaccio anche io e, come la protagonista del tuo racconto, sono stata costretta a ripiegare su un altro sport all’apparenza più femminile, ma frequentato da ragazze maschiaccio (molto ma molto più di me!). Sono passate decine e decine di anni e la passione per il calcio è svanita come i miei gusti in fatto di sport sono cambiati, ma non dimentico la soddisfazione di venir riconosciuta un buon giocatore in mezzo ai maschi, fino a 10-12 anni significa divertimento assicurato !!!
Dalle tue parole si vede molto bene non solo la conoscenza tecnica del gesto calcistico, ma anche la tua capacità di mettere a fuoco, quasi a fotogrammi, tutti i vari passaggi per compiere un movimento voluto. Quasi da manuale del calcio. Brava. Auguri per il concorso.
Grazie mille per il tuo commento. Vuol dire che almeno un po’ sono riuscita nel mio intento. Grazie ancora.