Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “Cercasi protagonista alto e bello per racconto scontato” di Alessandro Vita

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Quel giorno, ad Antonio Speranza – scrittore insicuro sui vent’anni – accadde una cosa alquanto bizzarra. Da mesi aveva in testa un’idea per un racconto e pensò bene che fosse giunta l’ora di cavarla fuori. Certo, all’esterno il sole stendeva calura sul mondo come fosse miele bollente, ma se Antonio aveva deciso di passare il pomeriggio ad ammuffire davanti a un computer, allora non c’era modo di persuaderlo.

La verità, comunque, era che Antonio non se lo filava nessuno, complice una strana indole da eremita che lo tratteneva raccolto nell’agiatezza di quattro mura. Vien da sé che, in effetti, Antonio Speranza non aveva nient’altro da fare.

Diede di sfuggita un’ultima occhiata speranzosa al cellulare. Niente. Né un messaggio, né una chiamata. Neanche da parte di qualche compagnia telefonica.

Sbuffò. Sarà meglio che inizi, si disse, il racconto non si scriverà certo da solo.

E così fece. Avvicinò la sedia al computer e cominciò a battere il suo originalissimo incipit:

“C’era una volta…”

“La sagra delle banalità.” Vide scritto sullo schermo.

“Che significa?” scrisse in tutta furia Antonio Speranza, “chi ha parlato?”

“Antò, come chi ha parlato? Ma non vedi che sta scritto? Sono io, comunque, il tuo personaggio.”

Antonio trasalì. Pensò a un’allucinazione. Aveva dormito poco ultimamente e l’università lo asserragliava su più fronti: storia contemporanea e linguaggi politici lo avevano preso di mira, da bravi bulli navigati quali erano, ogni giorno lo pestavano con pesanti tomi di mille pagine.

Scosse e il capo: “Sarà la stanchezza,” disse.

“Ma quale stanchezza, Antò! So’ proprio io, nero su bianco.”

Antonio era incredulo.

“Com’è possibile?” scrisse, “tu sei il protagonista della mia storia?”

“Aridaje. T’ho detto de sì. Sono Roberto Carelli, per gli amici Robè. Sono qui per aiutarti. Mi sono sentito obbligato visto il bell’inizio che hai buttato giù.”

“Perché cos’ha che non va?” chiese Antonio.

“Nulla. È solo un po’ abusato, non trovi?”

Forse un tantino sì, pensò, ma alla fin fine è il succo della storia che conta, no? O è il modo in cui è scritta? O entrambe le cose?

Antonio Speranza, a dirla tutta, non ne aveva la minima idea.

“D’accordo,” scrisse, “un po’ d’aiuto mi farà comodo.”

“Bene,” disse Roberto, “tanto per cominciare raccontami a grandi linee la mia storia.”

“Allora tu sei un pezzo grosso dell’imprenditoria e…”

“Fermo. Primo: sta manfrina dell’imprenditore la eliminiamo. C’è crisi. Facciamo che sono operaio alla Metalmeccanica Domizzi di Roma. Poi, secondo: esigo una protagonista femminile da far girare la testa, gambe lunghe e seno prominente, roba così. E fammela ricca che qui il metalmeccanico non rende granché. Vai, continua.”

Ma chi si crede d’essere? pensò Antonio.

A chiare lettere scrisse: “Senti, amico, lo scrittore sono io, e decido io chi sei.”

“Permaloso, eh? Antò se non ti piaccio trovati qualcun altro. Metti un annuncio su internet, chessò: cercasi protagonista alto e bello per racconto scontato. Sarai sommerso di risposte, fidati.”

Questo soggetto meritava una regolata e Antonio lo sapeva.

“Ora basta,” disse, “non si è mai visto un personaggio sfottere il proprio autore. Ti ricordo, caro mio, che tu non esisti, che ti ho creato io, e come ti ho creato ti posso distruggere; hai capito bene chiacchierone?”

“E chi ha creato te?” ribatté Roberto. “Non hai mai pensato di essere a tua volta il protagonista di una storia? E se qualcuno ti avesse scritto?”

“Ma che dici? Io so di esistere, perciò esisto.”

“Anch’io, però tu hai appena detto il contrario.”

La sicurezza di Antonio vacillò. Per non darlo a vedere cercò di nascondere le sue ansie dietro una punta di sarcasmo.

“Quindi per te c’è qualcuno lassù che finisce le mie frasi con un disse?” disse Antonio.

“Perché no?” fece Roberto. “E ti dirò di più, forse, in questo momento, qualcuno sta leggendo tutto.”

“Tu bevi troppo,” tagliò corto Antonio, “secondo te esistono persone che sprecano il loro tempo per i nostri discorsi?”

“Beh sai… magari sono poveri scrittori come te. Oppure sono sognatori a tempo perso. Che poi, adesso che ci penso, è quasi la stessa cosa.”

“Se è così facciamo una prova.”

Antonio spinse indietro la sedia, guardò in alto, verso il soffitto della camera e gridò: “Ehi Narratore! Il mio amico qui dice che tu esisti, che stai scrivendo la mia storia e le mie azioni; è così? Se è così potresti darmi un segno? Qualcosa di banale, non ti sforzare troppo, magari fammi vincere alla lotteria o conoscere la donna dei miei sogni; d’accordo?”

Silenzio. Nella camera di Antonio non volò una mosca.

“Visto che avevo ragione io?” scrisse al suo personaggio.

“Forse il Narratore della tua storia è in terza persona,” rispose Roberto.

“Ma piantala,” troncò lo scrittore, che poi aggiunse laconico: “sopra di me c’è solo Dio.”

“E ma Dio chi l’ha scritto?”

“Basta! La vuoi smettere con questi dilemmi metafisici? Tu ed io esistiamo allo stesso modo, punto. Ho capito l’antifona. Ora lasciami scrivere la mia dannata storia. Anzi: la tua dannata storia. Vedrai come mi diverto a disseminarla di ostacoli. Assassini e tasse sempre più alte. E la tua cara protagonista formosa non la vedi manco di striscio. Dopo seicento pagine forse ti sarà concesso parlarle. E ho detto forse.”

“Bell’amico che sei,” fece Roberto. “È proprio vero che non ci sono più gli scrittori di una volta.”

Antonio era inferocito, stressato. Decise di ignorare la stoccata del suo personaggio e tirare dritto nel suo intento. Si passò una mano nei capelli e riattaccò a scrivere il racconto.

“Era notte e…”

“Comunque se fossi in te cambierei l’intero soggetto.”

Il ragazzo era esasperato. Scaraventò una sequela di pugni da dodici tonnellate sulla scrivania. Colpi secchi che risuonarono per tutto il condominio.

“Di cosa doveri parlare allora?” fece adirato.

“Di ciò che ti sta a cuore,” rispose Roberto, “dimmi la cosa che più di ogni altra infiamma il tuo interesse.”

“La devo proprio scrivere?”

“Aspetta. Facciamo la seconda cosa che più di ogni altra infiamma il tuo interesse.”

Antonio ci pensò su e scrisse: “Credo che sia il fatto che nell’era di internet, in cui sono tutti interconnessi, in cui basta un niente per comunicare, esista ancora la solitudine. Ed è una solitudine atipica, più profonda, più sofferta.”

“Ecco perché sei qui a perder tempo con un personaggio inventato invece di goderti questa bella giornata di sole,” fece notare Roberto.

D’istinto il ragazzo abbassò lo sguardo. Posò gli occhi sul suo cellulare. Era lì, a un niente. Bastava allungare la mano e il mondo l’avrebbe raggiunto. Eppure dentro di lui brulicava un’irritante inquietudine. C’era un muro, filo spinato sulla cima. Quel muro lo teneva isolato, protetto. Quel muro l’aveva eretto lui, nel corso degli anni, per evitare di essere ferito. Si era accorto, troppo tardi, che al di fuori di quel muro aveva lasciato anche la felicità.

Roberto parve avvertire nel silenzio il disagio del suo scrittore, e in modo quasi paterno, una parola dopo l’altra, scrisse: “Antonio, ma chi sei veramente? Lo sai?”

Antonio si spinse in avanti, stranamente leggero, stranamente in pace.

“La vuoi sentire una storia?” chiese. “È la storia di una barca che non ha mai lasciato il porto in cui è stata costruita. Passava la sua vita a sguazzare nelle calme acque di sempre, sotto lo sguardo altezzoso delle altre navi, che al contrario, temerarie, avevano fatto il passo, erano salpate all’avventura, consce dei pericoli del mare aperto, ma fiduciose di trovare un tesoro, sepolto chissà dove, su un’isola deserta. Anche questa barca sapeva che là fuori c’era un mondo da vedere, eppure scelse di non muoversi, ancorata alla banchina, dove le onde erano più lievi. La gente del posto la evitava. Non si può andare a pescare con una barca che non vuole salpare. Così stette là, a cullarsi nei cicli delle maree che andavano e venivano, regolari, prevedibili. Guardava all’imboccatura del porto, la sera. Le onde spumavano sugli scogli, il vento soffiava teso. L’orizzonte si spalancava all’infinito sotto la sconfinata cupola di un cielo stellato. E lei sognava. Sognava mondi, persone. Visse così, un’intera vita. Senza viverla. Il suo legno marcì. L’acqua la penetrò. E lei affondò comunque, a pochi metri di profondità. Dimenticata.”

“E poi?” domandò Roberto.

“E poi niente,” fece lento Antonio, “e poi un bel niente.”

Si voltò verso la finestra aperta. Uno splendido sole dorava i tetti della città. In lontananza la striscia blu del mare lampeggiava di bagliori sotto la sconfinata cupola di un cielo terso. Respirò l’aria come se quella fosse la prima volta.

“È ora di tuffarsi,” scrisse al suo personaggio.

“Dalla finestra? No aspetta Antò non lo fare amico! Non lo fare!”

Antonio prese la ricorsa e puntò dritto alla finestra. Arrivò a un passo, e si fermò. Con gesto fluido chiuse le ante.

Tornò alla scrivania con un mezzo risolino: “Dicevo in senso figurato, Robè.” E dopo essersi intascato il telefono aggiunse con calma stoica: “Credo che per me sia giunta l’ora della svolta, Narratore o non Narratore.”

“Dove vai?” chiese Roberto.

“In mare aperto,” disse Antonio con gli occhi fissi, duri. Poi fece per spegnere il computer.

Alla domanda: “Salvare con nome?”, Roberto rispose con un: “Non facciamo cazzate, ok?”

Antonio fu mosso da un moto di pietà. E lo salvò.

Prima di chiudere la pagina Roberto ebbe il tempo di scrivergli: “Buona fortuna amico,” e fu proprio allora che Antonio s’immaginò il suo personaggio; anzi, lo vide: il viso raggiante di bontà, un sorriso sincero, gli occhi socchiusi che ridevano anch’essi.

Quel volto cordiale disse ancora: “Vai Antò, tuffati. Tuffati.”

Antonio ricambiò il sorriso. Lasciò la camera e andò lì, alla porta, nel punto esatto dove fantasia e realtà si addensavano in un confine impercettibile. Guardò la luce fuori, il caldo, il vento. Guardò l’ombra dentro, la frescura, la calma.

Antonio Speranza fece un lungo respiro. Alzò lo sguardo al cielo: “Ciao,” disse.

Poi varcò la soglia. E andò a scrivere la sua storia.

 

 

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10 commenti »

  1. Un modo particolare e ben indirizzato nel narrare i dilemmi di un giovane scrittore. La lettura di questo racconto ci presenta una chiave ironica che va a sondare con originalità i dubbi del giovane scrittore Antonio Speranza. Egli sembra un personaggio in cerca d’autore quasi quanto il protagonista della storia che si appresta a scrivere. A volte gli scrittori tendono a chiudersi nella solitudine che può diventare un’abitudine. Questo bel racconto è come se esortasse gli scrittori a rendere temporanea la suddetta abitudine.

  2. Fin dal titolo mi aveva attratto prima della pubblicazione e non mi ero sbagliata! Originale, credo un po’ tutti noi “scrittori” ci rispecchiamo almeno in parte nel protagonista 😉 molto carino anche il personaggio!

  3. Racconto che si legge con vero piacere.

  4. Grazie Roberto per le belle parole e la bella analisi. Ho apprezzato molto.

    Sono d’accordo con te Cinzia e grazie per avermi accordato fiducia già dal titolo. 😉

    E un vero grazie anche a te Giovanna, sono lieto che ti sia piaciuto.

  5. Bello, fresco ed originale, mi rispecchio in alcuni lati del protagonista, complimenti Alessandro 🙂 Se ti va mi piacerebbe un tuo parere su i miei racconti 🙂 eccoli:

    http://www.raccontinellarete.it/?p=14533

    http://www.raccontinellarete.it/?p=14530

  6. Bello!! Mi piace lo stile ironico, divertente e divertito. E poi la storia che si ripete come in uno specchio, con l’autore che forse è anche personaggio di un altro autore più grande di lui (magari in terza persona, bello questo inciso!). Una duplicazione che si ripeterebbe all’infinito, se Antonio non avesse l’improvvisa e felice intuizione di uscire dalla stanza. La parola solitudine mi è venuta in mente un attimo prima che ne parlasse Antonio (simpatico il nome A.Speranza!), e questa è una qualità importante in una narrazione per me, fare in modo che una parola, un concetto affiorino sulle labbra di chi legge quasi simultaneamente con il corso degli eventi descritti. Quel quasi per me è fondamentale. Lo stesso vale per i film. Complimenti!

  7. Che bel racconto; simpatico, divertente e scorrevolissimo. Bravo!
    Arrivata alla fine, mi è venuto in mente un cartone animato degli anni ’70 /’80 (preistoria forse per te?) “La linea” di Osvaldo Cavandoli. Un personaggio frizzante e divertente che cammina su una linea, di cui è fatto il personaggio stesso, disegnata dal suo autore (una mano che disegna) al quale si rivolge con un “Grammelot” per creare la situazione o risolvere i suoi problemi.(lui però aveva un accento milanese) Alla fine il personaggio disegnato “spariva” e il disegnatore concludeva con la scritta della parola FINE.
    Il tuo racconto è ancora più divertente perchè lascia spazio alla fantasia, e i personaggi il lettore se li immagina come vuole, aiutato dal buon ritmo della discussione dato dallo stile incalzante del dialogo. Complimenti!

  8. Grazie Domenico per aver letto e commentato! Ho ricambiato con piacere il commento sul tuo racconto. 😉

  9. Beh grazie Matteo, grazie. Ti ringrazio per due motivi: il primo è per le belle parole e per aver sottolineato l’inciso, e il secondo è molto ma molto più sentito perché mi hai aperto gli occhi su un particolare a cui non avevo mai pensato, cioè a quella quasi contemporaneità che lega il concetto (e il protagonista) al lettore. Per un istante, quasi all’unisono, lettore e storia sembrano entrare in contatto. Mi piace questa tua osservazione, mi piace davvero tanto! Grazie ancora!

  10. Grazie di cuore Silvia, per me è importante la “scorrevolezza” del testo. Sì diciamo che ‘70/’80 per me non è proprio preistoria ma… ci manca poco ecco. Sono del 90! Però credo di essere un vent’enne atipico, (mi piace crederlo, almeno). Dico questo perché ho una sorta d’interesse morboso e malinconico per il passato, per i periodi che non ho mai vissuto. Ogni tanto mi ritrovo sul divano a vedermi un film muto degli anni venti per il puro piacere del cinema e per aver testimonianza diretta della storia. Lo stesso avviene per i libri. Quindi ti ringrazio per avermi fatto conoscere “La linea”, cartone animato che, (ammetto la mia palese ignoranza), non conoscevo affatto. E grazie per i complimenti!

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