Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “Le parole del vento” di Matteo Scarrone (sezione racconti per bambini)

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

(racconto per bambini)

Nella foresta più profonda, dove la natura soltanto risuona, in una mattinata di neve fresca mentre tutto tace e le tane si risvegliano, il primo sole scaldava la neve appena caduta. Un lupo grigio con addosso ancora il calore della sua tana dove, fino a poco prima era stretto attorno ai suoi cuccioli, con il muso toccava i primi raggi di sole, chiudendo appena gli occhi. La foresta lo vide, lo riconobbe, e non ne ebbe paura. Il lupo con indosso il suo pelo dell’inverno aveva mangiato a sazietà, e solo la calma precedeva, quel giorno, i suoi passi. Cominciarono a danzare attorno a lui i piccoli uccelli della foresta appena svegli dalla notte. Mentre si rintanavano quelli che, durante la notte, avevano dato vita al buio. Come i piccoli topolini ed i grandi gufi, che, dopo aver scampato il pericolo, o dopo essersi fatti un’abbuffata, in ogni caso, ora andavano a riposare. Solo la volpe quella mattina era ancora fuori dalla sua tana scavata nella terra. Il lupo la vide inquieta, titubante, con il muso al vento. Tutta la foresta sa che le rocce conoscono quello che è accaduto molto tempo prima sulla terra, poiché loro c’erano. Gli alberi sanno come sta la terra, con le loro radici profonde. Gli uccelli vedono cosa accade nel cielo. Ma solo il vento conosce ciò che è ancora lontano tanto da non saperne neanche l’esistenza, e che lui stesso porterà con se. Con la sua voce muta parla con le parole degli altri poiché, quando tutto fu creato, Vento era così potente da schernire gli altri elementi quando li spostava con se. Allora venne deciso di levargli qualcosa per renderlo più umile, così gli tolsero le parole. Ma Vento, folle, non cambiò mai. Capace di aiutare tutti e nessuno. Se da una parte con se portava acqua, dall’altra lasciava la siccità. Se una volta portava dolce brezza con il polline per i prati di primavera, un’altra volta portava con se tempesta e fulmini che creavano sconquasso e frastuono. Tutti ascoltavano Vento, stando attenti ai suoi segni, ascoltando la voce di ciò che avrebbe portato con se al suo passaggio. Con il soffiare di quel vento, quella mattina, alle orecchie di Volpe era arrivato qualcosa che, solo adesso che era fuori dalla sua tana, anche Lupo arrivò a percepire. Sembrava essere un lamento, un lontano grido. Lupo e Volpe, come tutta la foresta, sapevano che Vento, con la sua forza, portava dispetto e rumori. I fruscii continui e forti che arrivavano dal valico fra le rocce appuntite nella valle a nord, quello sordo e secco fra i rami degli alberi sulle colline. Quello violento e tagliente fra le fronde di foglie degli alberi stanchi di Vento che giocava con loro. Ma Gufo stesso, bianco come la neve, prima di entrare nell’albero cavo per riposare, rimase a fissare un punto in lontananza, contro Vento che portava quel lamento. Nemmeno lui lo seppe riconoscere, e senza guardare Volpe e Lupo entrò dentro la sua tana nell’albero. Quella volta quell’urlo era diverso, ed era così violento e carico d’odio che Volpe, all’ennesima frustata di Vento, si rintanò, lanciando un’ultima occhiata a Lupo, come a consigliargli di fare la stessa cosa. Ma Lupo e Volpe erano diversi. Come sono diversi Corvo e Aquila. Volpe e Lupo avevano tutti e due il pelo e le zanne, erano forti e veloci, proprio come Corvo e Aquila hanno piume e artigli, sanno volare e vedere bene da lontano Ma tutta la foresta sapeva che nessuno, a parte Vento, sfida Lupo ed Aquila. Lupo si girò impaurito verso la tana dove i suoi cuccioli tranquilli ed ignari dormivano ancora. Si sporse appena, fece pochi passi affondando nella neve, si fidò di tutto quello che lo rendeva il migliore della foresta. Così abbassò il muso per odorare, ma il freddo e la neve non sapevano di nulla di spaventoso come quel grido. Alzò il muso ad osservare le raffiche di vento, ma gli alberi della foresta gli impedivano di vedere in lontananza, e comunque non c’era nulla in più di tutte le altre mattine. L’unica cosa che impregnava l’aria era quell’urlo intermittente, a volte soffocato, a volte semplice e cattivo nella sua naturalezza. Era disperato, e Lupo guardò Vento spostare tutto al suo passaggio, alzando anche piccoli cumuli di neve nelle sue sferzate. Quando Lupo decise di allontanarsi e cercare la fonte di quel rumore, fece un passo in avanti. Il rumore della neve schiacciata sotto la sua zampa fu un richiamo: fece fare capolino a Gufo, fuori dall’incavo del suo tronco. Perfino un piccolo roditore uscì dal suo piccolo nido fra le fronde, e così lo imitò anche  Volpe. Nessuno era attento ad altro, se non a Lupo. Gufo gli disse di convincere Vento a smettere, che quel grido gli faceva rizzare le penne dalla paura. Volpe, senza coraggio, gli disse di rimanere e badare ai suoi cuccioli, e che Vento prima o poi avrebbe smesso da solo con i suoi scherzi crudeli. Anche Topo gli disse di andare, come aveva fatto Gufo. Topo gli disse di andare proprio perché quell’urlo nel vento gli faceva più paura di Gufo stesso. Lupo non diede retta a nessuno e a tutti. Si incamminò con le sue grosse falcate alla ricerca della fonte. Gli alberi lo osservavano e lo custodivano, lo proteggevano dalla neve che continuava a cadere, ma non riuscivano a fargli da scudo contro Vento, che si faceva strada fra i tronchi, arrivando a Lupo violento, impetuoso, ad alzargli il pelo per colpirlo meglio. Lupo ascoltò quel suono così a lungo che l’inquietudine gli entrò nel cuore. Un lamento disperato di qualcuno che chiede aiuto. Ma Vento, invece di smettere, glielo fece sentire sempre più forte, portandolo sempre più lontano. La foresta avvertì Lupo, che si era allontanato molto da casa sua, che aveva smesso di nevicare, e perfino le radici lo avvertivano che lì la terra non era più come prima. Il suo naso gli portava odori così acri ed aspri in alcuni momenti da farlo starnutire. Ma Lupo non aveva paura di nulla. Nella sua vita aveva abbattuto centinaia di prede per dare da mangiare ai suoi cuccioli. Era stato ferito decine di volte. Aveva combattuto perfino un orso che era finito nel suo territorio. Lupo non aveva paura neanche di Vento, per questo continuò, nonostante gli alberi gli dicessero di fermarsi. Lupo cercò così a lungo, che quel rumore divenne un’ossessione. L’angoscia di quel rumore, portato dalla follia di Vento, divenne per Lupo un peso sul suo cuore. Voleva a tutti i costi scoprire chi poteva lamentarsi così tanto. Solo Vento poteva essere così crudele, ma Lupo sapeva che Vento non aveva voce, e quindi quel lamento doveva appartenere per forza a qualcuno. Quando ebbe oltrepassato la foresta e le sue fronde leggere spostate da Vento, cariche di neve, arrivò alle montagne appuntite. Riconobbe anche delle grida diverse, ma lui sapeva che appartenevano a Vento fra quelle rocce. Non si era mai allontanato dal valico, poiché oltre, il suo olfatto ed il suo udito sentivano solo quello che Vento gli diceva di sentire. Non poteva fidarsi di nessun altro. La foresta non esisteva più lì. Aquila aveva detto a Lupo, tempo prima, che qualcosa aveva distrutto alberi e rocce, animali e terra oltre il valico. Lei lo aveva visto, e non avrebbe voluto più tornarci. Lo aveva messo in guardia, gli aveva detto che quel qualcosa si era costruito una tana che neanche Vento poteva oltrepassare. Ma Lupo non si poté fermare, perché era più coraggioso di Aquila. Dovette continuare, ora che il suo cuore sapeva di dover andare avanti e scoprire da dove provenisse quel grido così straziante. Arrivò ad una montagna di pietre rosse, lontane da tutto, da foresta ed animali, in mezzo ad un enorme spiazzo di terra bruciata, il cui odore copriva ogni cosa. Qui una nuova specie aveva fatto il suo nido. Lupo non volle crederci: conosceva già il nido dell’uomo, era quello il motivo per cui, anni prima, aveva lasciato il suo branco, per rintanarsi nel profondo della foresta, dove nessuno sarebbe giunto a renderlo schiavo. E per nessun motivo si sarebbe avvicinato all’animale più pericoloso, l’animale che foresta, lupi ed aquile temono. Se non fosse stato per quel pianto. Quando Lupo fece altri passi a testa bassa, oltre la tana di mattoni, vide la sorgente di quel richiamo infernale: inorridì. Gli si rizzarono i peli sulla schiena, il cuore pianse nel suo petto, le zampe volevano solo tornare a calpestare morbida neve, il suo naso voleva andare a respirare aria fresca, pulita, non bruciato e morte. Vento smise di agitarsi e tutto si fermò. Uomini con uomini si erano uccisi. Erano in molti a terra stesi, senza vita. Solo uno di questi piangeva il suo branco perduto. Tenendo un infante con un braccio stretto al petto, e nell’altro una femmina della sua razza senza vita, piangeva tutte le sue lacrime. Tirava a Vento tutte le sue maledizioni. Uomo non si accorse di Lupo che era rimasto impietrito ad osservarlo. Egli non sapeva se ad uccidere i suoi simili era stato Uomo, Vento, o qualcuno peggiore di Uomo stesso, poiché non c’è fine al male. Sapeva solo che non voleva più ascoltare quel pianto, divenuto per lui un’ossessione. Esisteva solo quello da quando lo aveva udito, ed aveva abbandonato tutto per inseguirlo. Ma ora che l’aveva trovato voleva fuggire. Fece appena in tempo a girarsi senza fare rumore, che Uomo si accorse di lui. Gli occhi di Uomo e Lupo si incontrarono, rimasero in contatto per un istante e, proprio in quell’istante, Uomo smise di urlare. Affannato e allo stremo delle forze, forse interpretando la venuta di Lupo come una minaccia, affidò la sua rabbia a Vento. Gli disse qualcosa che Lupo non comprese. Non ne comprese di certo il senso, ma ne sentì l’odio pieno. Uomo, in un gesto di follia, prese una fiaccola, strappandola dalle mani di un morto vicino a lui. Minacciò di nuovo Lupo, e subito dopo fece quello che Lupo non si sarebbe mai aspettato: diede fuoco ad ogni cosa. Le vesti e le carni vennero mangiate dal fuoco in pochissimo tempo, impregnando l’aria d’angoscia e di umori malsani. Lupo era l’animale più veloce della foresta, come Aquila lo era dei cieli, ma Vento d’improvviso ricominciò a far sentire la sua furia, vivo di follia nuova. Il fuoco fu così improvviso che anche l’uomo vivo venne arso con tutto ciò che lo circondava, e le fiamme mangiarono carne e terra, divampando e distruggendo. Fuoco si palesò distruttivo e folle insieme a Vento che lo agitava e montava come montano le onde del mare. Divorò tutto quello che lo circondava. Correva veloce, correva più di Lupo. Questi rimase a guardare senza fiato, non molto lontano dalle rocce, uniche a poter contrastare Vento e Fuoco. I due, presi dalla follia, muti e fragorosi entrambi, mischiavano le loro voci e le loro intenzioni. Quando Lupo tornò ad udire la calma, vide che neppure il potere della foresta era servito per combattere la follia della distruzione di Fuoco e Vento. Trovò tutto bruciato. A terra solo i segni del combattimento, i cadaveri di chi era rimasto, e dei vincitori neanche l’ombra. Vento era scomparso, e di Fuoco era rimasto il fumo. Il cuore di Lupo era così distrutto che non sapeva più neanche il suo nome, non sapeva dove andare. L’ira di Uomo aveva distrutto tutto attorno a sé, e quando Lupo istintivamente si fermò davanti ad una tana, vide che aveva distrutto anche la sua. In preda alla disperazione, cominciò un pianto ed un lamento così forti, che anche Vento riprese a soffiare, folle di gioia, poiché aveva di nuovo una voce da portare. Da portare lontano da lì.

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1 commento »

  1. Strano racconto sulle ali del vento, che sembra quasi gioire dell’orrore che gli dà voce.

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