Premio Racconti nella Rete 2013 “Una madre per l’estate” di Elisabetta Felletti
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013L’aereo era in ritardo. Milena da più di due ore passeggiava nervosamente. Era in attesa di un dono dalla Russia: una bambina da accudire per due mesi.
L’emozione era forte: passava dalla commozione che le inumidiva gli occhi, all’ansia per un’esperienza mai fatta. Aveva cercato di immaginare come sarebbe stata: nelle sue fantasie la vedeva bionda, con gli occhi chiari. Fu annunciato l’arrivo del volo, il cuore le batteva forte, tra poco l’avrebbe incontrata. I bambini scendevano a frotte dall’aereo. Anja arrivò con l’accompagnatrice, da un ingresso laterale: sorridente, il cappellino calato sulla fronte, bruna, il nasino alla francese e gli occhi scuri molto vivi. Era sua, per tutto il soggiorno estivo.
Milena odiava l’estate, la considerava una stagione inutile, la città si svuotava e lei si sentiva ancora più sola. Alle soglie della cinquantina, dimostrava meno della sua età: il corpo snello, frutto di anni di esercizi aerobici in palestra e di una rigorosa dieta vegetariana, capelli castani lunghi sulle spalle, naso affilato, occhi scuri penetranti, non aveva una ruga sul viso, sembrava ancora “una ragazza”. Era un tipo solitario: pochi amici, tanto cinema, conduceva una vita ritirata. L’orologio biologico della fecondità, pochi mesi prima, si era fermato. Aveva creduto di essere preparata a questa trasformazione, invece la menopausa l’aveva investita come un vento impetuoso, dandole una dolorosa certezza: non aveva più tempo per esser madre, una possibilità ormai persa. Se l’era giocata così, senza quasi accorgersene. Costretta a guardarsi dentro, stava nascendo in lei la consapevolezza di aver forse smarrito il senso della sua esistenza.
Era un bilancio negativo, appesantito da sensi di colpa per non aver avuto il coraggio di essere moglie e madre, in nome di una libertà che, ormai, aveva il sapore della solitudine. Un sogno ricorrente la svegliava di soprassalto: era incinta, ma non sapeva chi fosse il padre. Madida di sudore, con il cuore che le batteva all’impazzata, restava a lungo sveglia. Viveva una crisi profonda e inaspettata.
Per strada, osservava le donne in compagnia dei figli, invidiando la complicità e l’intesa tra loro. Un pomeriggio, mentre con nostalgia guardava le foto dei suoi nipoti lontani, era esploso dentro di lei il desiderio di sentirsi mamma, anche solo per un po’.
Il rappresentante dell’associazione cui si era rivolta, un omino magro con buffi occhiali rotondi un po’ demodé, le spiegò i termini di quell’affido estivo: avrebbe ospitato una bimba di Cernobyl che aveva bisogno di sole e mare.
Questi i suoi pensieri, mentre guidava verso casa. Si era imbarcata in un’avventura che, al tempo stesso, la entusiasmava e la preoccupava. Non era mai stata responsabile per nessun altro, tranne che per il padre, quando si era ammalato.
Con tenerezza guardò la bambina, assopita sul sedile dell’auto. In prossimità del mare si svegliò. Non lo aveva mai visto prima: gioiosa, cercava di sporgersi dal finestrino per guardare meglio, nonostante il buio.
All’inizio comunicavano a gesti. Milena si era attrezzata con un vocabolarietto di russo, che teneva sempre in borsa. La piccola, dopo pochi giorni, cominciò a esprimersi in italiano. La sera, seduta sul suo lettino, Milena aspettava che si addormentasse, poi crollava anche lei in un sonno profondo.
I suoi schemi e ritmi di vita erano stati stravolti. Al mattino, Anja entrava nella sua stanza con irruenza e mille pressanti richieste. La viziava, sempre pronta a esaudire ogni suo desiderio. Le aveva comprato un costume bianco a fiori rossi, un copricostume abbinato e un cappello a falde larghe, con un grande fiocco.
Anja amava il mare. Appena sveglia, non vedeva l’ora di andare allo stabilimento balneare “Poseidon”. Ogni mattina, bagnini e famigliole aspettavano il loro arrivo.
Milena era entrata, a pieno titolo, nel “giro delle mamme”. Questa nuova identità le piaceva. Tante le domande sotto l’ombrellone. Finalmente, aveva voce in capitolo: gli orari della nanna, le monellerie, i cibi preferiti dalla bambina. Si stava aprendo davanti a lei un mondo, che aveva un suo fascino, dal quale era sempre stata esclusa.
Distesa pigramente sul lettino, controllava la bimba che giocava sulla riva. Non sapeva nuotare, le insegnò a stare a galla. La teneva stretta tra le braccia facendole battere le gambe: erano momenti intensi. I giorni, scanditi da ritmi ormai consueti, passavano in armonia. Mancavano solo due settimane alla fine della vacanza.
Un pomeriggio telefonò l’operatore dell’associazione per chiederle di ospitare anche un bambino di sette anni. Milena s’inorgoglì, gongolando tra sé e sé, interpretava la richiesta come un’attestazione di merito.
Yuri la conquistò sin dalla prima sera. Erano rimasti svegli fino a notte fonda, intenti a guardare le foto che, come dal cappello del prestigiatore, il bambino aveva tirato fuori dal suo zainetto. Davanti agli occhi di Milena, come fotogrammi di un film, presero corpo desolati paesaggi campestri e immagini di uomini e donne sorridenti. Nella sua lingua indicava, di volta in volta, luoghi e nomi. Con orgoglio le aveva svelato il suo mondo. Si erano compresi senza bisogno di parole. Quella notte era nato un legame magico, fatto di sguardi empatici e abbracci.
I bambini si erano subito trovati in sintonia. Al mattino presto, la cucina odorava di wurstel e patate fritte. Risuonavano le risate dei piccoli, seduti a far colazione. Quanto rumore nella sua casa, dopo anni di silenzio, interrotto unicamente dalle note di Mozart, unico rimedio per i momenti di noia!
Era la quiete prima della tempesta: l’arrivo di Yuri incrinò l’equilibrio di quel mondo ovattato.
Milena si sentì esclusa dalla loro complicità. I due bambini parlottavano fitto fitto nella loro lingua, poi ridevano, guardandola con aria ironica. Se chiedeva spiegazioni, non otteneva alcuna risposta.
Yuri era bello: occhi azzurri di ghiaccio, capelli biondi, frangetta corta sulla fronte, un’aria maliziosa lasciava intravedere il suo carattere. Non aveva nessuna consapevolezza della pericolosità dei suoi comportamenti. Saliva, veloce come uno scoiattolo, sulla scala poggiata a un angolo del balcone. Liberandosi con un brusco strattone dalla mano della donna, attraversava le strade incurante delle auto che sfrecciavano ad alta velocità. S’inerpicava su muretti altissimi, sfidandola con aria beffarda. Ostinatamente, non intendeva imparare neanche una parola d’italiano. Comunicavano in inglese. Milena era stata costretta ad attingere a vecchie reminiscenze scolastiche. La prima volta in cui andarono alle giostre, Yuri si manifestò in tutta la sua patologia. Salito su una macchinina rossa, al momento di scendere si rifiutò, urlando come un forsennato. Milena era sconvolta, quel bambino era ingestibile! Rientrati a casa, si calmò solo quando la donna lo strinse tra le braccia. Sentiva il suo cuore battere forte. Accarezzando i suoi capelli dolcemente, gli sussurrava che era al sicuro. Chissà quali traversie aveva vissuto, si chiese, prima di arrivare all’orfanotrofio che lo ospitava.
Il giorno in cui Yuri si rivolse a Milena chiamandola “mamma”, la donna, per l’emozione, vacillò. Si era affezionata a quel bimbo che era, al tempo stesso, fonte di gioia e di molteplici timori.
Milena era preoccupata, non tanto per se stessa, quanto per Anja; aveva timore che Yuri, in un momento di rabbia, avrebbe potuto farle del male. Non accadde. Non aggredì mai né lei, né la bambina; in compenso tutti quelli che rientravano nel suo raggio d’azione, se tentavano di fargli cambiare idea, ricevevano calci e pugni.
La situazione era divenuta insostenibile: il bambino andava guardato a vista.
Milena evitava di uscire. Trascorrevano lunghi pomeriggi assolati chiusi in casa. La bambina, sulla scia del compagno ribelle, gelosa delle attenzioni rivolte al ragazzo, non la ascoltava più. Anja, con aria imbronciata, non trovava nulla da fare.
La donna si sentiva in gabbia, isolata dal mondo, sequestrata da un bambino di sette anni.
Yuri era malato. In lacrime, chiamò il volontario.
Il bimbo, non appena vide l’omino dagli occhiali rotondi, in ginocchio si attaccò alla gonna di Milena. Piangendo la implorava di non mandarlo via. Le sue lacrime la commossero.
La tregua, com’era prevedibile, durò poco.
Aggressivo durante il giorno, la notte tornava un bimbo piccolo; si addormentava solo con la mano della donna ma, come Dott. Jekyll e mister Hyde, al mattino avrebbe ritrovato tutta la sua potenza.
Milena, dopo giorni tormentati, prese l’unica decisione possibile: doveva rinunciare a Yuri.
Questa volta il bambino, che aveva compreso tutto, non oppose resistenza. In silenzio raccolse le sue cose e, con lo zaino in spalla, seguì l’operatore.
Di lì a poco, anche per Anja arrivò il momento di andar via.
Milena pianse per giorni. Si colpevolizzava per non esser stata capace di occuparsi del bambino. Forse le era mancata la pazienza o l’autorevolezza necessaria. Aveva fallito. La sua inesperienza le era stata fatale.
Ebbe notizie di Yuri: sarebbe ritornato in patria con il primo volo.
Milena consegnò alle accompagnatrici un regalo per lui: una macchinina telecomandata che il piccolo aveva ammirato in un negozio di giocattoli.
All’orario previsto per la partenza, dietro i vetri della sala d’attesa dell’aeroporto, guardò l’aereo che si allontanava.
Qualcosa era cambiato in lei. I bambini avevano scalfito la sua corazza difensiva, era più vulnerabile. Quella percezione di vuoto interiore che da sempre la accompagnava, aveva lasciato il posto a una sorta di pienezza. Tante emozioni si erano avvicendate in quei giorni: si sentiva viva.
Nessun rimpianto. Era stata un’estate indimenticabile.
Bello. È un racconto che suscita emozioni contrastanti. L’ho letto con apprensione e con sentimenti diversi per ogni personaggio.
Non ho parole per descrivere le emozioni che ho provato.Bellissimo e colmo di significato.
Ringrazio le persone che hanno lasciato un commento. Credo che abbiano inteso il senso del racconto nella sua essenza. Grazie