Racconti nella Rete 2009 “L’isola delle bambole gonfiabili” di Monica Martinelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009
“Seconda stella a destra
questo è il cammino
e poi dritto fino al mattino,
non ti puoi sbagliare perchè
quella è l’isola che non c’è…”
Edoardo Bennato
“L’isola che non c’è”
– Coraggio, apra bene l’occhio altrimenti non riusciamo a metterle le gocce. Perfetto così, adesso anche l’altro. Ritorni fra una ventina di minuti che nel frattempo le pupille si dilatano e possiamo vedere il fondo dell’occhio.
Usava il pluralia maiestatis il primario oculista di una nota clinica romana, ma in realtà era solo lui a visitare. E chissà come mai con me era molto comprensivo e gentile. Forse perché sono una paziente molto ‘paziente’, oppure perché mi mancano 20 diottrie all’occhio sinistro e 18 a quello destro. Proprio una vista d’aquila la mia!
Sono miope da quasi trent’anni e ho a che fare con oculisti e ottici da quando ne avevo sette, ma nessuno è riuscito a risolvere o migliorare il mio problema, come io non ho ancora capito la differenza tra gradi e diottrie… Insomma, se 10 decimi rappresenta la soglia di perfezione del visus, -20 è molto ben al di sotto di questa perfezione!
Ma ormai mi ci sono abituata. Convivere con l’ipovedenza quando diventa uno stato, e non solo una patologia, è un po’ come convivere con un uomo per il quale non si prova più nessuna attrazione, ma a cui ci si affeziona. Diventa il tuo specchio, il tuo riflesso, e non se ne può fare a meno.
Nel corso degli anni la mia vista è andata sempre più diminuendo: da bambina cominciai con 2-3 diottrie (?) in meno, e poi durante l’adolescenza, avendo sempre letto e studiato tanto, ho consumato gli occhi, così la miopia è notevolmente aumentata.
Intorno ai 27 anni, dopo la laurea, raggiunse un picco di tutto rispetto… Gli svariati oculisti che consultai all’epoca, mi rassicurarono sul fatto che dai 35 in su la miopia si sarebbe bloccata, o quanto meno non sarebbe più cresciuta in maniera così esponenziale.
Invece, il suo aumento progressivo e continuo, ha smentito tutte le teorie dei “soloni” di turno. Alla fine mi sono rassegnata a portare gli occhiali (più che occhiali, fondi di bottiglia veri e propri…) Per le lenti a contatto, invece, avevo sviluppato un’allergia quasi totale!
Mi sentivo buffa e goffa. Forse anche perché gesticolavo troppo mentre parlavo. Pensavo di suscitare una certa ilarità dietro quelle lenti così spesse, e di apparire quasi ridicola. Chissà, magari come clown sarei stata strepitosa!
Di certo rimpicciolivano molto i miei occhi scuri, che apparivano come socchiusi (del resto il termine greco myops myopes, da cui deriva la parola miopia, significa proprio “colui che tende a chiudere gli occhi”). Gli occhiali hanno pure sagomato il mio naso di una fastidiosa gobbetta che mi ha regalato quel caratteristico profilo “greco”, del quale avrei fatto volentieri a meno… Al tempo stesso, però, mi procuravano un’aria vagamente intellettuale che contribuiva a darmi un certo fascino (o piuttosto un’aria da arcigna professoressa liceale di latino e greco!?). Però sapevo di piacere, di risultare piuttosto attraente, e dato che non sono né appariscente né prorompente, di non suscitare quell’invidia che è tipica delle donne bruttine e insoddisfatte nei confronti di quelle più belle e più giovani, specie se sono troppo eccentriche o emancipate.
Mi piacciono le sfide, e soprattutto vincerle. Certo, perdere molto meno… Ma si sa che spesso la vita è come una roulette: qualche volta si vince ma per lo più si perde! E mi piacciono le vittorie difficili, come ad esempio sapermi conquistare un uomo. Come nei confronti di quello che avevo creduto il mio grande amore, ahimè frutto soltanto di una sbandata adolescenziale, che come risultato mi aveva fatto crescere a dismisura miopia e borse sotto gli occhi – considerato l’intenso lavoro a cui avevo sottoposto i sacchi lacrimali…
La sera con i suoi contorni d’ombra mi sorprendeva nello smarrimento dell’abbandono. E le ombre si scioglievano nei pensieri che diventavano lugubri e sfocati, come quando mi toglievo gli occhiali e tutto si trasformava in una nebbiosa grande monade. Tutto diventava senza confini. Mi guardavo intorno e non capivo dove mi trovavo.
Per questo motivo preferivo il giorno, la luce del sole che mette bene a fuoco anche la cieca indifferenza degli altri. Ma sapevo tutto e non mi illudevo, neanche di essere amata, perché ingannarsi è facile. Specie con gli uomini, che fanno credere di poterti staccare uno spicchio di luna dal cielo per regalartelo prima di portarti a letto, ma dopo la scopata si e no che ricordano il tuo nome.
Bocconi amari ne ho ingoiati tanti, fino a provare prima nausea e poi disgusto. Come pure le cicatrici lasciate da unghie crudeli che hanno affondato nelle mie morbide carni. Cercavo qualcosa di diverso, qualcosa che mi facesse dimenticare e sentire importante…Dovevo trovare la sintonia giusta che facesse esprimere il meglio di me.
Un giorno, salita su un autobus, la mia attenzione fu magneticamente polarizzata da un cartello pubblicitario dove era scritto: “Scoprite l’isola dei Myopes! Un piccolo paradiso nel cuore del mar Egeo. Paesaggi mozzafiato e natura incontaminata… Prendetevi una pausa per allentare lo stress della quotidianità!”
Non sapevo che isola fosse e dove si trovasse, così telefonai al numero reclamizzato che avevo prontamente annotato su un foglietto. Quel posto mi incuriosiva anche perché non ne avevo mai sentito parlare, e non trovai alcun riferimento nemmeno cercandolo su Internet. Eppure evidentemente esisteva…
L’avventura era sempre stata per me una specie di adrenalina che mi dava la carica. Il telefono di cui avevo preso nota era di un’agenzia di viaggi che proponeva una di quelle offerte allettanti con pacchetto tutto-incluso. Mi dissero che si trattava di un posto tranquillo. L’isola non era rinomata perché era molto piccola, situata all’interno del gruppo delle Cicladi, ed oscurata dalla maggiore notorietà delle isole limitrofe di Mykonos (spiaggia turistica di moda specie tra gli anni ’80 e ’90) e di Naxos. Avrei fatto scalo a Mykonos con l’aereo e poi avrei preso l’aliscafo per Myopes.
Dopo parecchie perplessità e titubanze, decisi comunque di partire in ricognizione verso questa meta misteriosa… Pensai che nella peggiore delle ipotesi mi sarei ritrovata in “un’isola degli sconosciuti” a litigare e a mandare qualcuno in nomination… In questo caso me la sarei data a gambe levate!
La natura era davvero spettacolare nonché selvaggia. Mare che più azzurro non si può, con tramonti mozzafiato e albe limpide e dorate. Fui accolta molto cordialmente. Gli abitanti del luogo sono persone semplici e cortesi. Vivono di pesca (si mangiano zuppe di scampi memorabili), e la loro principale fonte di sostentamento non è rappresentata dal turismo, che là non è ancora sviluppato, ma dalla produzione di bambole gonfiabili (si, quelle un po’ particolari che normalmente si vendono nei sexy-shop!).
Cosa alquanto singolare – pensai.
Rimasi ancor più sorpresa quando scopersi che gli indigeni portano occhiali da vista con lenti molto spesse, e sin dalla più tenera età. Insomma, sono tutti incredibilmente miopi, quasi ciechi come talpe… Non ce n’era nessuno che non lo fosse: senza distinzione di sesso e di età. – Questa si che è un’autentica democrazia” – riflettei.
Per questo l’isola era stata soprannominata dei Myopes. E io ero la più miope di tutti! Finalmente mi sarei sentita a mio agio, ed avrei potuto fare la prima attrice in uno spettacolo di cui conoscevo il copione a memoria.
Almeno fintanto che uno degli abitanti, evidentemente più miope degli altri, per scarsa visibilità o fortuita malasorte – chissà – non decise di mettere fine alla mia permanenza sull’isola delle bambole gonfiabili nonché sul pianeta terra, investendomi con la sua macchina nuova di zecca (anch’essa gonfiabile)…
Almeno così mi sarò liberata una volta per tutte di quella insopportabile miopia!!
Apprezzo la scorrevolezza del testo e il tuo modo di scrivere. Mi piace la tua autoironia, e anche il messaggio che (almeno io) ho colto: occorre accettarsi per quello che siamo, con tutti i pregi e tutti i difetti. E stare sempre in guardia, perchè tutti i miopi sono uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri…! Andrea Ercolini
Quoto il commento di Andrea. Anche io avevo colto questo messaggio fra le righe. Mi piace molto l’originalità e il tuo stile. Ho letto il racconto tutto d’un fiato, trovandomi parecchie volte a sorridere. Mi è molto piaciuto.
Conosco una persona, miope come la protagonista. Chissà che non le possa consigliare di fare un giretto su Myopes. 😉
P.s: Ti ringrazio per aver letto e commentato positivamente il mio racconto.
Divertente, ironico e originale…davvero un racconto piacevole. Brava Monica!
Cara Monica, ti dico la verità, che mi sembra la cosa migliore. Del tuo racconto mi piace l’inizio e la fine, ovvero mi piace dove c’è azione; la parte centrale dove dici tante cose sensate mi sembra un po’ spenta, o comunque mi sembra un altro racconto. L’idea della miopia è molto buona, ma forse il personaggio avrebe potuto sfruttarla un po’ di più, come pure la trovata delle bambole gonfiabili (un po’ sprecata accenata solo così.. non trovi?). Scusa la franchezza, ma se mi si chiede un parere io non sono capace di mentire, nel bene e nel male. Grazie per avermi letto.
Raccontino ironico, avvincente e surreale ma al tempo stesso amaramente drammatico, così come è drammatica la vita. Anche se molto spesso la realtà supera la fantasia, un finale così uno non se l’aspetta ma, se solo esistesse un destino, almeno così come ci è stato da sempre raccontato, forse è questa la conclusione più logica della vicenda. In definitiva la protagonista avrà finalmente l’occasione, magari in modo un po’ prematuro, di vederci finalmente chiaro!
In ogni modo, complimenti all’autrice.
Grazie Ilaria per i tuoi suggerimenti e per la tua franchezza. Le critiche sono importantissime come stimolo per farci riflettere e migliorare, quindi ne terrò conto sicuramente.
Mi piaceva comunque dosare l’azione con “riflessioni psico-esistenziali” che rivelano la protagonista.
Ciao
Monica
Ciao Monica, innanzitutto grazie per i complimenti al mio racconto, devo dire di aver letto volentieri il tuo. Immagino che la miopia di cui hai parlato sia metafora di quella ben più grave e invalidante della miopia dell’intelletto, che ti impedisce di vedere il senso profondo della vita e ti mostra solo l’apparenza, un’apparenza sempre più superficiale, simbolo della ricerca di un vuoto estetismo. Il tocco d’ironia rende il racconto una piacevole lettura. Annamaria
Ciao Mirko,
ti ringrazio per il tuo commento.
Riguardo al destino non saprei, sul fatto di vederci più chiaro invece, ne dubito fortemente…
Comunque sono aperte tutte le possibilità!
Monica
Annamaria,
ti ringrazio per il commento e per l’interpretazione che hai dato al racconto.
C’è infatti anche questa componente di voler andare oltre l’apparenza superficiale delle cose e della realtà, ma principalmente rappresenta proprio una condizione di diversità, un impedimento che marca un’autoesclusione dalla vita.
ciao
Concordo con Andrea a Davide: assolutamente da leggere tra le righe. Mi è piaciuto!
Fiammetta, la miope