Racconti nella Rete 2009 “Memoria” di Manuela Caracciolo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009Esterno-notte-ripresa dall’alto.
Metropoli dalle luci accecanti -traffico-rumore di sirene in
lontananza
Interno-notte-zoom dettaglio
L’educato Toc Toc di una mano guantata alla porta della
camera 215 dell’Hotel Sheraton risuonò nella penombra
silenziosa della suite. Gli unici suoni erano il ticchettìo
ossessivo del grande orologio a muro nell’ingresso e il russare
sommesso e agitato di Henry, sdraiato scompostamente davanti alla
tv al plasma muto che illuminava il salotto con una luce violacea e
innaturale. Il sonno irregolare dell’ospite fu bruscamente inter-
rotto dalla voce stereotipata del cameriere:”Servizio in camera
signore”.Con estrema fatica Henry si sollevò seduto sulla pol-
trona e, con difficoltà, scacciate ultime tracce di sonnolenza
scuotendo la testa indolenzita. ”Avanti!”disse con
la bocca la bocca impastata dall’alcool. Entrò un ragazzo
in divisa rossa e bottoni dorati che spingeva un lungo
carrello con sopra vassoi nascosti da lucenti e grossi co-
perchi.”La cena che aveva ordinato,signore” annunciò con
un sorriso piuttosto viscido.Henry sporse al cameriere 20$
il quale, intascata la mancia con un gesto rapido, si
accomiatò. Henry fece qualche passo incerto verso l’immenso
bagno piastrellato di bianco.Alzò lo sguardo e vide un uo-
mo basso che lo fissava al di là del grande specchio.Il
suo viso sembrava stanco, qualche piccola ruga già compa-
riva sotto gli occhi azzurrissimi e spenti.La barba comin-
ciava a spuntare dalla pelle chiara e lentigginosa. I ca-
pelli neri e umidi cadevano lisci sulle spalle.”Come ti
sei ridotto?!Sei una rockstar, non un alcolizzato da quat-
tro soldi!”La voce del suo impresario, o delle sua coscienza,
risuonò nella sua testa come un tuono.Con espressio-
ne vuota osservò prima gli orecchini che portava, poi il
tatuaggio a forma di scorpione sul braccio sinistro e la
fossetta del mento, sormontata da una piccola cicatrice a
forma di virgola.“Non sembro un ubriacone!” biascicò a mez-
za voce uscendo dal bagno.Si diresse verso il grande carrello,
sollevò i coperchi, sbirciando
nei piatti di porcellana e li richiuse con una smorfia di
disgusto.“Come fanno gli Americani a mangiare questa roba?
Saranno anche i padroni del mondo ma della buona cucina ir-
landese non sanno assolutamente un cazzo!”
Accese la lampada in stile Liberty sul tavolino di cristal-
lo. Sul vetro macchie di vino e cenere, un massiccio bicchiere
da wiskey vuoto, sul suo bordo tracce di rossetto. Henry
lo prese e lo avvicinò alla bocca. Arrivò alle sue narici
un dolciastro profumo femminile e il forte odore dello
scotch.Fu colto da un senso di nausea e lo stomaco si
contrasse dolorosamente.
Non ricordava il nome della ragazza che ci aveva bevuto
E nemmeno ciò che era avvenuto dopo,troppo ubriaco per
rendersene conto.Ormai da 8 anni
conduceva quel tipo di vita. Quando era in turnè col gruppo,
per mesi viveva tra hotels di lusso e night club,tra un
concerto e l’altro dormiva 3 ore per notte. All’inizio tutto
sembrava grandioso:il palco, le feste, i sorrisi delle ragazze,
ma anche alla grandiosità ci si fa l’abitudine e
tutto aveva preso a svolgersi con una strana monotonia.
Guardò verso la tavola apparecchiata elegantemente e
quell’unico piatto vuoto aumentò il suo senso di isolamen-
to.Nella sua mente annebbiata comparvero immagini
lontane,una famiglia riunita attorno ad un vecchio tavolo
ligneo,un uomo dal viso stanco, una donna dagli occhi chiarissimi
e due vivaci ragazzini…e via via i particolari
tutti i particolari diventavano più nitidi. La consu-
mata tovaglia a fiorellini, le rozze posate, i profumi di
torba e di stufato, le risa composte della mamma, le chiacchiere
di suo padre. Henry sospirò, e si versò un po’ di
wiskey.Il suo sguardo corse per la stanza e si appoggiò
sul comodino dove c’erano un libro con la copertina in pelle
invecchiata e un fazzoletto sgualcito, con due iniziali
ricamate.Altri flash nel suo cervello, foto ingiallite…un
lume a petrolio, una madre che legge ad alta voce seduta
sul letto,stretta al suo bambino che con sguardo sognante
si lascia guidare in mondi fantastici con fate,orchi,
folletti.Henry prese il libro, osservando la foto sulla facciata,
lo scorcio di una città che conosceva bene,il nome
dell’autorein lettere dorate:James Joyce.Soffocò
una risata al pensiero di un cantante rock che si dedica
alla letteratura.Buttò il libro nel trolley straripante di
abiti stropicciati.Accese una sigaretta,uscì sul terrazzo.
Esterno-notte
Il vento caldo soffiava nella notte estiva.Le luci artici
ciali di New York splendevano.Le auto correvano, tutti
troppo occupati per lasciarsi prendere dalla malinconia.
Henry chiuse gli occhi.Rivide la sua verde terra, con le
sue praterie, il suo cielo sempre grigio e nuvoloso, l’unico
in grado di farlo sentire a casa.Rientrò ed esaminò il
fazzoletto.La consistenza leggera e ruvida della stoffa,
quelle iniziali.”Un regalo, un portafortuna”, le poche parole
che sua madre pronunciò prima di andarsene.
Una scossa nella memoria…il fazzoletto che quel bambino,così
piccolo e già così solo, troppe volte aveva usato per
asciugare il dolore dopo che mamma era morta.Un brivido
lungo la schiena, il pugno chiuso stretto intorno a quel
lembo bianco di memoria.“Da quanto tempo non piangevo più?”
fu il suo ultimo pensiero prima di veder nascere all’
orizzonte le rosate luci dell’alba…
Esterno-alba-dissolvenza
Carino.