Premio Racconti nella Rete 2013 “La casa e il ritorno” di Maria Pia Pieri
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Era proprio come se la ricordava, squadrata e solida, a due piani, con tante finestre dalle persiane verdi e sopra l’altana, dove la madre stendeva il bucato quando pioveva e dove si potevano trovare vecchie mele, piccole e rosse, un po’ d’uva fragolina quasi secca e le noci ancora nere del loro mallo. I vecchi padroni erano morti e lui l’aveva comprata e aveva scritto che la restaurassero però senza togliere e aggiungere niente e il risultato appagava almeno una parte di lui. Costruita in alto, rispetto al paese, da lì si potevano vedere il paese, la vallata, le montagne in lontananza e soprattutto l’altra villa, più in basso.
Erano passati tanti anni, troppi, e sempre con il desiderio del ritorno nei luoghi in cui era nato ma non nella villa che gli stava davanti, dove un tempo poteva andare a giocare quando non c’erano i padroni, sotto gli occhi della madre che ne era la custode e la serva. Certe volte immaginava di essere lui il padrone. Allora chiamava i cani, di razza, e cominciava a passeggiare tutto dritto. “Impalato” gli diceva la madre, “Cosa fai? Vieni piuttosto ad aiutarmi.”
Lui era nato nella casa del contadino, quella sul dietro, con la cantina e la stalla a piano terra, la scala murata all’esterno, la cucina grande ma buia, la scala di legno con la botola e sopra, due camere, i letti con il saccone di sfoglie di granturco e i coltroni per il freddo. Si ricordava ancora il freddo, il tetto a tegole lasciava passare luce e freddo, umido e vento. Una casa che era andata in rovina e che aveva deciso che fosse abbattuta.
Aveva fatto fortuna e ora era tornato, solo. Il padre morto poco dopo la sua partenza; la madre perduta molto più tardi, senza averla rivista; la moglie morta da qualche anno, bellina, brava, americanizzata, nata da genitori anche loro immigrati. Due figli sistemati bene, uno che proseguiva la sua attività imprenditoriale –
gli faceva sempre venire voglia di ridere quando sentiva questa espressione, ma così era, visti i profitti – l’altro che aveva potuto studiare, college, università, scuola di legge e ora avvocato. Entrambi con poco interesse per i luoghi d’origine e i ricordi del padre. Tanto meno per il rancore che si portava dentro. Non aveva avuto figlie e le aveva desiderate, forse in quel caso avrebbe potuto prendere altre decisioni e rimanere lì dove aveva fatto fortuna, ma così era andata ed era tornato.
Entrò perché così doveva fare, non poteva restare all’esterno e poi voleva salire su all’altana e vedere l’altra villa, quella degli altri padroni, la villa più in basso, più piccola, meno imponente, dapprima amica, poi odiata.
Anche dietro alla villa piccola c’era una casa di contadini e lì era nata e cresceva Isolina, anche lei figlia unica, un caso insolito per quei tempi e luoghi, ma adatto a far nascere e crescere amicizie e amori. E così era stato tra lui e Isolina. Poi lui era dovuto partire soldato, di leva. Solo al suo ritorno si sarebbe ufficializzata la situazione col fidanzamento e il matrimonio. Isolina solare e dolce.
Ma qualcosa era accaduto, la solita storia. Anche il figlio dei padroni se ne era innamorato e, come si diceva allora, ne aveva approfittato e l’aveva sposata. Isolina aveva dato alla luce una figlia morta e subito dopo anche lei era si era spenta. Succedeva a tante puerpere . Lui non l’aveva più veduta. Non appena tornato dal servizio militare si era imbarcato per l’America. La madre era rimasta ad attendere il suo ritorno, ma lui non era tornato. Anche lei non aveva più veduto..
Vide la villa piccola, quasi leziosa in confronto a quella che ora era sua, comprata con tanti soldi, troppi per i suoi figli, non abbastanza per il suo orgoglio e rancore. Niente sembrava mutato. Udì rumori, voci, persone. Il padroncino dopo alcuni anni si era risposato, aveva avuto altri figli e lì viveva.
“Vendetta, tremenda vendetta”, le parole del Rigoletto gli risuonavano dentro e talvolta quasi inconsciamente gli affioravano sulle labbra. Da allora lo avevano accompagnato per buona parte della sua vita. Aiutante prima e poi panettiere in una famosa “bakery” a Chicago, aveva in seguito deciso di lasciare la grande città e sistemarsi in un luogo più piccolo, più simile al suo di partenza. Scelse la California, ma non San Francisco, di cui tutti parlavano, bensì Sacramento, nell’interno, nelle vallate lontano dal mare. Lì fare il pane all’Italiana si era dimostrata una scelta di successo a cui in seguito aveva aggiunto la produzione del vino. Dall’orto, avuto in eredità da un vecchio immigrato, era diventato la maggiore azienda vinicola della zona con distribuzione commerciale in metà degli Stati dell’Unione. Aveva dato lavoro a tanti connazionali e non, operai e dirigenti, gente che andava e veniva dall’America all’Italia per lui e che faceva prosperare i suoi affari. Ma lui non era mai tornato, fino a quando, morti i vecchi padroni e con i parenti che non avevano soldi per tenerla in vita, aveva potuto comprare la villa. Allora aveva lasciato nelle mani dei figli tutto ciò che in quaranta anni, aveva costruito ed era tornato.
In realtà non c’era in lui una vera voglia di vendetta, anche se le parole del Rigoletto gli risuonavano spesso sulla bocca, a mezza voce, piuttosto una voglia di rivendicazione, di riscatto, un desiderio di riconoscimento
Non aveva fatto grandi amicizie all’estero. Certo aveva partecipato agli incontri e ai festeggiamenti obbligatori con i compaesani e anche con le autorità locali, ma sempre un po’ di malavoglia, a bocca storta, per dovere e per questioni commerciali, di prestigio, mai per piacere o per convinzione. Era sempre stato un anarchico isolato che al bisogno sosteneva il partito democratico, non certo il repubblicano a differenza della maggioranza dei compaesani, fedeli in genere a dio e al dollaro e un po’, anzi parecchio razzisti.
Sapeva che in paese aspettavano il suo ritorno. I lavori alla casa erano stati seguiti con curiosità, ammirazione e pettegolezzi. All’inizio gli era sembrata una iniziativa che potesse restare anonima, quasi nascosta, ma non era stato possibile, e ora il sindaco e anche il pievano volevano incontrarlo e dargli il benvenuto e forse benedirlo. Lui che, partito dal paese, in chiesa non c’era più stato se non per le cerimonie ufficiali, battesimi, matrimoni e funerali, l’indomani sarebbe dovuto andare alla messa e incontrare tutti.
Così fece. La chiesa era piena per la celebrazione delle dieci, più del solito perché tutti si aspettavano la sua partecipazione e volevano vederlo. Anche se l’arrivo, nel pomeriggio tardi, era passato inosservato, le luci serali avevano informato della sua presenza.
Nella chiesa affollata le prime persone che vide, seduti nella prima panca, furono il padroncino, anche lui ormai con la testa imbiancata, la seconda moglie, ancora giovane con un ragazzo accanto. Sopraffatto da una serie di ricordi e di emozioni, non si accorse di ciò che accadeva all’altare e intorno a lui, finché non sentì il suo nome. Una donna penosamente claudicante si stava avvicinando con un gran sorriso e con la mano destra tesa mentre con l’altra si appoggiava ai banchi. “Non mi riconosci, sono Angela, la sorella di…. , avevo dieci anni quando sei partito soldato, allora camminavo bene…E’ stato un incidente in macchina con mio fratello.” Anche lei aveva sofferto a causa dello stesso uomo, fu l’unica cosa che riuscì a pensare.
I giorni passavano abbastanza indaffarati. Il giardino sul davanti era stato sistemato in precedenza, ma c’era da occuparsi del terreno dietro la casa, un orto abbandonato, alcune viti ridotte a scheletri, qualche albero di mele e pere, un ciliegio, un fico e più in alto i castagni. Tutti avevano bisogno di cure e di mani addestrate, lui poteva sorvegliare i lavori e in parte aiutare ma sotto la direzione di altri. Ritrovò il figlio di un amico del padre, Giulio, muratore come lavoro stabile e contadino nelle ore di riposo. Si affidò a lui.
Era buffo trovarsi a fare l’aiutante per chi era stato abituato da anni a dirigere e comandare ma la situazione aveva i suoi lati positivi perché grazie a Giulio venne a sapere tante cose del paese e dei suoi abitanti, ricchi e poveri. In particolare del vecchio padroncino ora non solo proprietario della tenuta ma anche di parecchi impianti industriali che era riuscito ad installare più a sud nella vallata.
E venne anche a conoscere i particolari dell’incidente che aveva reso Angela invalida non solo nel fisico. Non solo era stata a lungo in vari ospedali, subito più di una operazione e passato lunghi periodi di riabilitazione lontano da casa ma soprattutto era tornata diversa. Si diceva che l’incidente aveva avuto luogo per colpa del fratello che, dopo aver bevuto troppo a una festa, aveva insistito per guidare senza permettere a Angela di prendere il suo posto. Lui aveva avuto solo qualche lieve escoriazione mentre la sorella era stata sbalzata fuori dalla vettura e addirittura in un primo momento era stata creduta morta. Il risultato era evidente nel fisico ma anche lo spirito ne aveva subito le conseguenze perché Angela era diventata economicamente dipendente dal fratello. Giulio gli aveva detto che una delle poche volte in cui Angela aveva sorriso apertamente era quando in chiesa aveva lo salutato al suo ritorno.
Passò del tempo, rivide Angela in paese ma più spesso in qualche angolo di verde non lontano dalle due case, quando lui tornava da una delle sue camminate sui monti vicini e la trovava seduta all’ombra di qualche albero. Le parlò più di una volta, le raccontò della sua vita lontano, lei ascoltava in silenzio attenta ma senza mai accennare alla sua di vita. Anzi, se lui alludeva a qualcosa di personale, a ciò che le era accaduto, si irrigidiva, il viso le si oscurava, diventava quasi cattivo.
In distanza aveva rivisto anche il suo avversario con la famiglia. Era ormai estate e parecchio della vita di ogni giorno trascorreva all’aperto. Era tornato anche in chiesa, non per un vero bisogno religioso, ma piuttosto per una sorta di abitudine e di rispetto per le usanze del paese. Si era fermato anche ai due bar dove gli anziani trascorrevano ancora buona parte della giornata a giocare a carte. In un certo senso i giorni trascorrevano tranquilli, troppo tranquilli.
***
I giorni passavano e lui non si decideva a compiere alcun atto definitivo. Le forme di vendetta che aveva spesso immaginato, perfino sognato quando era lontano, sembravano ora presentarsi come assurde, impossibili da realizzare, troppo violente oppure inefficaci. Si sentiva impotente per decidere e mettere in atto la sua rivincita. L’attesa, troppo lunga, sembrava aver indebolito il vecchio desiderio ma forse c’era altro. La storia/vita di Angela aveva svegliato in lui un senso di tenerezza che non sentiva da anni, un sentimento nuovo, una voglia di protezione che confliggeva con pensieri sinistri. Quando questo diventava troppo forte si concedeva un breve viaggio a visitare le città di cui aveva sentito parlare ma che non aveva mai conosciuto direttamente. Conosceva più degli Stati Uniti che dell’Italia e ora poteva riparare, Gli piaceva particolarmente girare in macchina per la Toscana e l’Umbria, scoprire altre campagne e piccole città, ma le sue erano assenze fugaci e ritorni desiderati.
Finché un giorno sul finire dell’estate, di primo mattino, Angela lo chiamò al telefono, terrorizzata. Un rumore difficile da spiegare l’aveva svegliata e impaurita. Era scesa più velocemente possibile e nello studio aveva trovato il fratello morto, apparentemente suicida. La rivoltella in mano, la ferita nella tempia.
Rimase immobile per alcuni secondi, sconvolto, poi si riprese e si accorse che la sua mente sembrava andare in due direzioni: da una parte il pensiero di Angela, l’aveva sentita tremare come un animale ferito, dall’altra il senso confuso di qualcosa che lo riguardava da molto vicino ma che al momento non riusciva a mettere a fuoco.
Se ne uscì con una raffica di domande e per la prima volta, senza rendersene conto usò il tu: “Quando è successo, come te ne sei accorta, sì me lo hai detto, scusa…sei sola? E tua cognata? E la polizia, l’avete chiamata?”
“Ho chiamato subito mia cognata, era in città. Ha chiamato lei la polizia, dovrebbero arrivare tutti presto. Ero sola in casa, mi sono svegliata, mi è sembrato di sentire sbattere la porta e poi un colpo. Ho pensato al vento, ma dopo più nulla, allora mi sono alzata e sono scesa…”
“Vuoi che venga da te?” Lo chiese anche se si aspettava e sperava in una risposta negativa
“No, mi sembra che qualcuno stia arrivando, ti chiamo, …”
Mentre chiedeva e cercava di rincuorare Angela, altri pensieri si facevano strada: la sua vendetta ormai inutile, che non si sarebbe più compiuta, il perché di quella morte improvvisa, e poi quasi senza volere, “speriamo sia un suicidio, altrimenti potrei essere messo io sotto accusa”.
Per ironia della sorte era tornato a casa tardi la sera precedente, dopo uno dei suoi soliti giri alla scoperta della Toscana. Era arrivato stanco e non si era fermato in paese come talvolta faceva. Nessuno lo aveva visto Ma che importava. E Angela, gli aveva detto tutta la verità? Di questo dubbio si vergognò immediatamente. Per condividere il suo dolore Angela aveva chiamato lui che in poco tempo era diventato un amico.
Terminata la telefonata fu sopraffatto da sensazioni e sentimenti diversi. Si sentì svuotato, come se una parte di sé se ne fosse andata, e nello stesso tempo pieno di rabbia, come se qualcosa di suo gli fosse stato tolto. Riuscì a calmarsi e si ricordò di alcune voci che aveva sentito senza prestarvi particolare attenzione.
La crisi aveva già colpito molte aziende in Italia nelle grandi zone industriali, ma non aveva ancora interessato le piccole imprese della Toscana e lui non aveva lontanamente pensato che il suo vecchio rivale potesse esserne coinvolto. Apparentemente nella villa giù in basso la vita sembrava trascorrere nel modo consueto. Fino a pochi giorni prima aveva visto tutta la famiglia riunita all’aperto, il figlio maggiore, ora il dirigente dell’azienda, con moglie e bambino, il secondo in attesa di completare l’esame per avvocato, il più giovane, appena iscritto all’università. Aveva provato un senso di invidia ma l’aveva scacciato. Ora questo fatto nuovo e triste. Si rese conto di non aver fatto attenzione a ciò che stava accadendo intorno a lui e in tutta la nazione. Aveva vissuto da turista ricco, ripiegato sul suo problema, ignaro di quelli degli altri.
Passati i primi giorni, dopo le indagini del caso, fu chiaro il movente del suicidio. Approfittando dell’assenza della madre e dei fratelli Il figlio maggiore aveva fatto visita al padre, insieme al loro avvocato,. La situazione era precipitata, ogni apertura di credito era stata negata, l’azienda era vicina al tracollo.. Il figlio era disposto a lottare per evitare il fallimento, ma si sarebbe presentato un periodo difficile con richieste alla magistratura, incontri infiniti tra rilevazioni, documenti, carte e attese. Il figlio era forte, non così il padre.
Partecipò al funerale e tornò al cimitero dove era stato una sola volta dopo il suo ritorno per vedere le tombe dei genitori. Nella cappella di famiglia, vide la lapide di Isolina. Gli si inumidirono gli occhi, per una sorta di compassione per lei, per sé, per gli altri, tutti. Pensò in particolare al figlio più giovane, ora senza padre, al suo ingresso nella vita. Si rese conto che era una espressione retorica, ma così sentì. Decise che si sarebbe messo in contato con la famiglia e avrebbe offerto il suo aiuto, anche materiale. Sperò che Angela facesse da tramite perché fosse accolto e gli sembrò di vedere Isolina che approvava da lontano.
“Il vento fa il suo giro”, era un film che aveva visto durante l’estate e la storia di quella comunità chiusa a ogni diversità e innovazione l’aveva colpito negativamente, ora pensò che anche la sua vita stava facendo il suo giro ma in direzione opposta e sorrise.