Racconti nella Rete 2009 “Marino “il poeta” ” di Andrea Ercolini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009
Per uno sfratto che il padrone di casa ci aveva notificato ormai da vari mesi, io e la mia famiglia, babbo, mamma, nonna paterna e fratello, fummo costretti a lasciare la bella casa alla Riviera, dove vivevamo larghi e in mezzo al verde, e a trasferirci momentaneamente in un piccolo appartamento a sud della ferrovia, posto all’angolo fra la via Cividale e la via Isonzo, nel cuore di Montecatini.
I due quartieri non distavano che poche centinaia di metri, ma questo era vero solo all’apparenza: in realtà si trattava di due mondi diversi e separati, e la strada ferrata, tagliando in due la città, pareva averne definitivamente fissato i confini.
Avevo meno di dieci anni quando, fra il 1980 e il 1982, mi ritrovai a transitare per quel dimesso rione, dove le case erano tutte scalcinate e le facce perlopiù poco raccomandabili.
Comunque sia, benché nuovo della zona e recante ancora le sembianze di bambino bravo e giudizioso, arrivai ben presto a stringere rapporti di complice amicizia con i mocciosi miei coetanei, e una scazzottata vincente mi portò in dote una certa autorità. Mi muovevo con disinvoltura in quello strano mondo di ragazzini di strada e di adulti perdigiorno, di intrallazzatori vari, di pensionati in attesa del fiasco e della briscola, financo di prostitute e di matti veri e propri, come Mario, con i pantaloni alla “zuava” tutti i santi giorni, o quell’altro bassino e calvo, fissato col duce e la pensione, che chiamavano “Maino”.
Fra questa umanità si distingueva, anche per il bel rapporto che aveva con i ragazzini come noi, un personaggio buffo e serio al tempo stesso, solo al mondo ma amico di tutti, di nome Marino e comunemente indicato come “il poeta”. Certo era solamente un soprannome, ma quello giusto per un tipo come lui. Marino non aveva mai scritto poesie, o almeno non era campato di libri e di scrittura, o forse sì, vista l’esistenza tribolata, però occorre riconoscere che il termine “poeta”- qui nella sua accezione meno nobile- rendeva bene l’idea…Ricordo come, in strada o al mercato, lo salutassero per il nome di battesimo, con un misto di simpatia e di commiserazione che all’epoca potevo solo intuire, sembrandomi Marino un tipo assai al disopra della comune mediocrità delle persone.
In realtà la sua vita era stata un perenne avvilupparsi attorno alla tranquilla linea della normalità, a volte impercettibilmente sopra, e questo infatti mi aveva colpito, alle volte inesorabilmente sotto, come avrei ben compreso qualche tempo dopo.
In fondo sarebbe bastato guardarlo negli occhi quando parlava con qualcuno per comprendere come Marino occupasse in questo mondo una dimensione diversa e parallela, sospesa fra un “di qua”, fatto di vita povera ma dignitosa, comportamenti civili, parole buone e di buon senso, e un “di là”, che proprio da quegli occhi partiva, da quello sguardo assente e perso nel vuoto di occhi grigi e inespressivi, e poteva arrivare, e arrivava anche, molto molto in là, non lontano e anzi vicino, e vicino fin quasi a sentirne il respiro, ai Mario, ai Maino, ai Cimabue, ai Gionni Nebbia.
Alto e di corporatura robusta, sulla sessantina, aveva un brutto naso adunco che conferiva al volto una curiosa espressione di gufo saggio e diurno. Infatti usciva raramente di sera, mentre il giorno scorrazzava in sella al motorino “quarantotto” rosso e bianco, che metteva in moto con rabbiose pedalate. Mi par di vederlo mentre prende la rincorsa, sale al volo sul motore e sparisce in una nuvola di fumo nero, con gli occhiali da sole sul naso e i capelli incolti e bianchi scompigliati dal vento.
“Il poeta” abitava in una piccola casa a non più di cinquanta metri dalla nostra, posta a metà della leggera discesa di via Isonzo. All’interno, non si sa come, era riuscito a portarvi un vero biliardo da bar, enorme e consunto, che da solo occupava quasi tutto il soggiorno riducendo in pratica l’intera casa ad un corridoio terminante in una minuscola cucina. Per mancanza di spazio il biliardo era stato appoggiato per due dei quattro lati alle pareti della stanza e quindi risultava impossibile sia girargli intorno che soprattutto manovrare le apposite stecche di legno per colpire le biglie. Non potendo quindi giocare di stecca, ci sfidavamo a “boccette”, lanciando le bocce con le mani, e lui giocava e rideva con noi ragazzi e ci istruiva sul come segnare i punti. Altre volte piazzava la seggiola sul marciapiede davanti casa e ci osservava mentre giocavamo al pallone; scuoteva spesso la testa e faceva battute del tipo “Cecco a cinquant’anni sarà un calciatore vecchio!”.
Un giorno di pieno sole, nel primo pomeriggio, stavo seduto da solo sul malmesso marciapiede della strada a dar fuoco alla carta di giornale con la mia piccola lente d’ingrandimento. Mi divertivo ad annerire i contorni delle pagine che si consumavano poco a poco come in una lenta agonia. Alessio di Ugo il carbonaio, un compagno di giochi, mi raggiunse sul marciapiede con la sua lente e il suo giornale.Quel giorno però l’intenzione che aveva non era quella di giocare. Eravamo tutti e due amici di Marino, ma “il poeta”- e la cosa mi inorgogliva- aveva certo più simpatia per me. Forse fu per questo che mi rivelò quel tragico segreto. Per rabbia e per invidia. In modo perfido, come a volte sanno esserlo i bambini. Alessio disse:- <Tu vai sempre da Marino…ma non sai chi è Marino, che cosa ha fatto in passato…>. Fui colto di sorpresa. Avrei voluto rispondere che lo sapevo, che sapevo già tutto, e che non mi importava niente. Ma non sapevo e mi stavo agitando. Chiesi:-<E cosa dovrei sapere? Cosa?>. La voce mi usciva alta e nervosa. <Una volta Marino era sposato. Poi un giorno impazzì e ammazzò la moglie. Con un coltello da cucina. Ma non nella casa dove abita adesso. In un’altra casa, da un’altra parte>.
Rimasi immobile per qualche secondo. Non dissi niente e me ne andai in casa. Ancora, avrei voluto poter dire, anzi gridare che non era vero nulla e che mi stava prendendo in giro. Ma ero confuso e forse presentivo qualcosa. Il giorno dopo andai a trovare Marino. Bussai alla persiana verde della sua porta e chiesi di entrare per giocare un po’ al biliardo, come sempre. Dopo aver posizionato le palle colorate sul panno verde, dopo il primo punto, feci d’improvviso:- <Marino, mi hanno detto che tu tanto tempo fa hai ammazzato la moglie…>. Il povero Marino, chinato sopra il biliardo e intento a studiare il tiro successivo, si girò lentamente e per una volta mi guardò fisso con i suoi occhi grigi. Poi disse:- <Chi ti ha detto queste cose? Quelli che ti hanno detto queste cose sono persone cattive…persone cattive, hai capito? Persone cattive!>. C’era delusione e disperazione in quelle parole, ed io mi sentii il più cattivo di tutti; con una scusa allora uscii fuori in strada e in silenzio, mortificato, me ne andai.
Di lì a breve avrei salutato la vecchia casa di via Isonzo e tutti gli amici: con la famiglia mi trasferivo in un’altra casa, più grande e comoda, in un quartiere residenziale della città.
Anni dopo seppi che Marino “il poeta” si era impiccato ad una trave del soffitto, a metà fra la stanza del biliardo e la piccola cucina. Immediatamente mi raffigurai la scena, la sua sagoma che penzolava in quella casa per me familiare, e mi sovvenne con forza la sua faccia di quel giorno, ed i suoi occhi stralunati, irritati e leggermente umidi.
Ciao Andrea, innanzitutto grazie per il lusinghiero commento al mio racconto. Ho letto il tuo con molta attenzione e profondo interesse e devo farti i miei complimenti, hai saputo parlare dell’emarginazione e della crudeltà della vita in modo semplice e chiaro. Poche incisive parole per descrivere la disperazione ma anche la “diversità” che spesso ci spaventa e che, in realtà può essere una grande risorsa o nascondere un grande talento. Bravo. In bocca al lupo. Annamaria
ciao Andrea,il racconto mi è piaciuto,la descrizione dell’ambiente è ricca di particolari e la figura del poeta molto ben descritta.Hai parlato degli aspetti tristi della vita con poesia,ciò dimostra che uno sguardo sensibile sa trovarne anche laddove esiste ombra.Inoltrre nella vita nulla è tutto bianco o tutto nero e leggendo la storia ce ne rendiamo partecipi.Bravo,se vuoi leggermi e lasciarmi un pensiero mi farà piacere.
Ciao Andrea,
ti ringrazio per il tuo commento. Il messaggio è quello che hai inteso tu, ed anche quello di cercare un’identità nella “diversità”, cercando di raccontare il tutto con una certa ironia…
Complimenti per il tuo racconto! Anche tu descrivi dei diversi, degli emarginati, e lo fai con molta sensibilità e delicatezza. Il finale è decisamente amaro e toccante.
Ciao
Monica
Bene Andrea, ho letto solo ora il tuo commento perchè impegnata altrove e in vario modo! Il flusso dell’emozioni, per essere più efficace e creare quello sprofondamento nell’animo altrui , trova un eccellente supporto nella prosa lirica: a volte le emozioni quelle dure e spietate, le illusioni e le delusioni al pari delle pugnalate alle spalle hanno una carica così violenta su mente e cuore, da diventare colla in cui tutto resta invischiato… questo stile consente proprio di agire come colla vischiosa!
Lo stesso non è per Dia-logo: dietro le quinte di un racconto, lo stile che adotto è contemporaneo teatrale perchè il dialogo surreale, botta e risposta, tra autrice e personaggio inventato, restituiscano i ritmi necessari e insiti nei dialoghi reali.
Crepi il lupo e grazie!
In bocca al lupo anche a te
Paola
molto delicata questa storia. Racconta, anche senza tante parole, il dramma profondo il dramma profondo di Marino, la sua delusione, la disperazione finale. E l’emozione arriva tutta! Mi è piaciuto molto.
Mi piacerebbe un tuo commento sul mio racconto, se avrai voglia di leggerlo.
In bocca al lupo
Elisabetta