Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “Tanto c’è tempo” di Daniela Trentin

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

La vedi dal vetro. Potresti ritagliare quel profilo, inserirlo in ogni contesto spazio-temporale della tua vita e sarebbe sempre così: occhi neri che guardano dritti davanti a sé, un’espressione che cade dalle ciglia per finire nel vuoto, ma tu lo sai che nel vuoto lei non cade mai, del vuoto è vigile. I denti le mordicchiano il labbro inferiore, le dita picchiettano nervosamente sulle gambe,  si  sfila gli anelli, per poi rimetterli.

Ti sta aspettando. Di nuovo. Ti aspetta sempre, lei.

Ti aspettava quella volta, in prima media, quando dovevi consegnare la tua parte del lavoro di scienze sull’apparato epidermico, ma te ne sei dimenticato. Ti aspettava a 18 anni fuori dall’autoscuola, dopo aver preso la patente, per festeggiare. Ma tu  avevi perso il senso del tempo festeggiando con i tuoi amici e l’hai chiamata dopo. Ti aspettava all’aeroporto quando sei tornato dall’erasmus e ti sei scordato di telefonarle per dirle che ti fermavi una settimana in più, non  dovevi deludere la biondina del quarto piano.

Ti aspettava anche per fare il test.

Sei arrivato cinque minuti dopo, lei era  incinta e tu non hai saputo fare altro che domandarle di chi fosse il bambino.

Perché. Lei ti aspetta sempre. Ma tu. Tu non hai mai saputo arrivare.

Per questo lei sta con Mariano. Tu stai con Elena.

Ma tra l’aspettare e l’arrivare, siete sempre stati. Nel divano della casa dei suoi. Nel letto nella casa dei tuoi. Negli appartamenti universitari. Nelle stanze d’albergo a Berlino, Parigi, Stoccolma, Londra. Nelle auto di notte. Nelle fermate in autogrill. Nelle lavanderie.

 

“Ma perché dobbiamo sempre trovarci qui?”

“Che ha questo posto, non ti piace?”

“E’ una lavanderia, Clara”

“Quindi? Ti danno fastidio le cose pulite, Tommaso?”

 

Domani Clara si sposa. Domani Clara si sposa con Mariano.

Non è un matrimonio riparatore, è solo un matrimonio anticipato.

Mariano non sa che in questi cinque lunghi anni di fidanzamento tu hai sempre scopato con Clara.

Anzi. Tu scopi con Clara da sempre.

È un processo automatico. Un meccanismo regolare. Tra l’inspirazione e l’espirazione ci sono le sue mani su di te, la tua lingua sulla sua pelle, le sue gambe che ti accolgono ogni volta che (non)arrivi.

 

“Pulizia significa sposare una persona avendo nell’utero il figlio di qualcun altro?”

“Ma vaffanculo, Tommaso.”

 

Sai di essere una merda. Sai di non averle detto nulla per farla desistere. Tanto meno per farla stare con te. o per tentarci veramente. Hai sperato da subito quello che è stato: ti ha proposto di fare finta di nulla. Di lasciare a Mariano il compito di diventare padre e di essere ciò che sei sempre stato: quello che non arriva mai.

La sera in cui avete progettato il vostro piano per gli anni a venire, hai stappato una bottiglia di vino. Le hai fatto bere il suo ultimo bicchiere, fumare la sua ultima sigaretta, avete fatto l’amore e l’hai riaccompagnata a casa dicendole di evitarti l’invito al matrimonio, ché tanto, saresti dovuto partire per le vacanze con Elena, in luglio.

Non era un problema evitare il matrimonio. Elena odia Clara. Mariano odia te. In questo modo, il felice e contenti poteva essere garantito almeno per una giornata.

“Mi sento come la tua tartaruga.”

“La mia tartaruga?”

“Sì, presente? Quell’animale che tieni nell’acquario in cucina, verde, con la corazza..”

“Perché?”

“Non è importante il perché. È importante che mi senta così.”

“Figuriamoci..”

 

Ti prende la mano. La tira a sé. Se la strofina sulla guancia. La bacia. Istintivamente il pollice le passa il contorno delle labbra.

 

“Sei sicura, Clara?”

“E tu, Tommaso?”

 

Sei seduto sul divano. La tartaruga di fronte a te nuota. Nuota e sbatte contro il vetro dell’acquario. Torna indietro. Nuota. Risbatte contro il vetro. La stai guardando da un’ora. Hai salutato Clara dicendole che la chiamerai dopo le vacanze. Sai che non vorresti farlo, ma che lo farai.

Sai che dovresti lasciarla vivere. Ma tu per vivere hai bisogno che lei non lo faccia.

Il pensiero ti fa rabbrividire. È davvero così? Sei davvero così?

La birra che stai bevendo è calda.

Elena ti sta chiamando. Non le rispondi.

Riguardi la tartaruga. Ti addormenti.

 

Le palpebre compiono uno sforzo spropositato per alzarsi. Rimani con gli occhi chiusi e pensi che i pesi nidificano tutti lì: sulle palpebre. Chiudono gli occhi e  la gente non riesce più a vedere.

Nel buio delle tue palpebre abbassate ritorni a quello che ti ha detto Clara sul suo sentirsi tartaruga. L’immagine verde che sbatte contro il vetro. Il verde contro il vetro. La speranza contro di te.

Immagini Clara, l’abito bianco, il bouquet di margherite.

Immagini Mariano vestito di grigio, raggiante, sicuro come tu non sai mai essere.

Immagini le scale della chiesa. Lei che percorre la navata. Lui che la guarda. Il velo che si alza. Il bacio. Il riso. Le mani che applaudono. Una mano che non è tua che le accarezza la pancia.

La nausea ti sale dal naso, scende nella gola e vomiti.

Il traffico è un casino. Le auto sono una sfilata di valigie, di viaggi, di partenze.

Tu avresti solo voglia di arrivare.

Per una volta. Arrivare.

Premi il piede sull’acceleratore. Non sai bene cosa dirai, quello che conta è esserci.

Per una volta. Esserci.

Lasci l’auto in divieto di sosta. Alzi lo sguardo. Fuori dalla chiesa non c’è nessuno.

Fuori dalla chiesa non c’è nessuno, tranne una persona. In abito bianco. Che ti sta guardando.

Clara è lì. Sulle scale. Non ci sono risi. Non ci sono sorrisi. Non ci sono applausi.

Tu sei di fronte a lei. La guardi.

Sorridi.

Sorride.

Non ti accorgi che quello che viene dopo è solo il rumore dei freni che stridono sull’asfalto.

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