Premio Racconti nella Rete 2013 “Agnese” di Lucia Focarelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Seduta davanti alla porta- finestra, verso il sole. Giornata di inizio primavera, tiepida. “Sto come una lucertola”, pensa Agnese. Il sole le batte sulle ginocchia filtrando attraverso i rami dell’acero del giardino. Il giardino dei vicini, di Roberto e Lisa. “Noi non abbiamo alberi nel piccolo giardino proprio perché io non ho mai voluto che tenessero lontano il sole”, ricorda, “la primavera non ha bisogno di ombra e l’ estate dura così poco. L’inverno invece non finisce mai e il sole bisogna rubarlo tutto, quel poco che c’è.”
Ora è quasi tempo d’estate e il taglio di sole sulle ginocchia di Agnese, ha riflessi bianchi accecanti e ombre curiose. Le foglie. Le foglie dell’acero disegnano arabeschi e figure. Agnese le accarezza con gli occhi. Si sente strana. Oggi è il suo compleanno. Fra poco arriveranno amici e parenti. Sente il cuore stringersi. Un altro compleanno. La gola si chiude per un attimo, poi lo sguardo torna all’acero, al sole, alla siepe che divide i giardini . Se la ricorda quando era stata piantata, piccola con le foglie tenere del lauro. Poi l’aveva vista crescere nel tempo. Con la mente fa il giro del giardino, piccolo, una striscia intorno a tre lati della casa. Erba verdissima, la cura Giacomo, suo genero, e vasi di fiori lungo tutto il marciapiede e negli angoli. Ci sono primule, margherite e viole e più tardi, a maggio, fioriranno azalee e rose. E tornerà il miracolo delle peonie, i fiori preferiti di Agnese. E’ un giardino molto curato, come un ricamo, ma proprio piccolo, piccolo che non ci vanno quasi mai se non per averne cura. D’estate ci mettono un paio di ombrelloni e qualche sedia e stanno lì, loro tre, a far scorrere il tempo. Il tempo. Quanto tempo è passato da quando nella casa erano in tanti. Agnese non sa fare i conti velocemente, pensa soltanto: “Tanti, tanti anni” e questo le basta che già il pensiero è altrove.
Aveva cambiato solo due case nella sua vita. Quella dei suoi genitori e questa.
Ecco un altro pensiero legato al tempo, pensò. Il babbo e la mamma. E’ come se fossero morti ieri. Anzi ecco lì. La mamma che lava i panni e il babbo che è appena tornato dai campi e che la prende in braccio e poi la fa volare in alto. “Come è stata oggi la mia piccina?” e Agnese vola e atterra fra braccia forti. “Come è andata la scuola? Che voto hai preso?” e poi la stringe forte per quel dieci che è ormai un’abitudine, ma che in quella casa di contadini nessuno ha mai preso prima. Agnese rivive la gioia profonda e sente l’odore acuto del padre che sa di terra, di erba, di stalla.
“La mamma aveva un altro odore – pensa – odore di sapone di Marsiglia e della lavanda che metteva sempre nell’armadio grande dove stava la biancheria. La mamma sapeva anche di sugo o di fritto ed era un odore buono come il mangiare che faceva. “E quando era vendemmia tutto sapeva di uva, di mosto e il babbo e la mamma avevano lo stesso odore ed anche io e i miei fratelli” pensò e le venne da sorridere.
Sentì suonare le cinque, era quasi l’ora della festa. Lo sguardo si abbassò al tavolo d’angolo. Aveva evitato di guardarlo finora. Ecco il cuore batteva più forte o solo le sembrava. Ecco la foto. La più bella fra tutte. L’aveva fatta Gianni, un amico, proprio il giorno che lei e Andrea si erano conosciuti. Andrea le aveva messo un braccio sulle spalle, sotto i capelli, lei li aveva lunghissimi allora, così con indifferenza, tanto per la foto, ma a lei sembrava che il cuore le scoppiasse dentro e sentiva Andrea tremare, anzi non tremare, vibrare. Quella sensazione particolare che un corpo trasmette ad un altro corpo quando l’emozione è forte. A lei sembrava che la pelle le si staccasse da dosso. Sembrava restringersi e allargarsi. Chiuse gli occhi. Quel giorno erano andati a piedi alla collina. Era il lunedì di Pasqua. La merendina. Avevano portato cesti e zaini con tanto mangiare, troppo. E c’era Andrea. Lui non faceva che ridere, ma quando glielo avevano presentato, aveva smesso. Si era fatto serio. L’aveva guardata negli occhi intensamente mentre le stringeva la mano. “Piacere” e lei era diventata rossa senza sapere che cosa rispondere. Che figura! Dopo ne avevano riso, ma nel momento sarebbe scappata per la vergogna. Poi Andrea si era allontanato e aveva ricominciato a ridere e tutto era finito lì.
Le fece la corte tutto il giorno, ma solo con gli occhi. Si avvicinò e la toccò sulle spalle solo per quella foto.
Poi nei giorni seguenti Andrea era venuto spesso a casa con Gianni, o anche da solo, a trovare suo fratello, Alberto, ma si capì subito che era lì per lei, per Agnese. Dio mio. Il cuore le impazziva dentro quando lui entrava in casa e diceva soltanto “Ciao Agnese”. Scoprì di avere un nome musicale, un suono grave, però, di violoncello. La bella voce di Andrea. Pronunciava : “Agnese” come se dicesse altro e comunque come se quel nome che lei aveva da quando era nata fosse altro da quello stesso. Non l’aveva mai sentito prima cosi, era nuovo e solo per lui, per Andrea.
Quando si erano sposati non avevano un soldo e poi non ne avevano mai fatti, ma ora lei era ricca, di ricordi, ecco, proprio ricchissima di ricordi. Molti e belli, ma anche terribili come quando avevano perso il primo figlio. Dopo altri tre erano nati e a lei faceva male al cuore solo a pensarci a quel primo bambino morto durante il parto, ma gli altri le avevano un po’ fatto dimenticare quel dolore che per due anni le aveva fatto compagnia tutti i giorni. Prima era nato Michele, poi Sara e poi Giuseppe. Tre figli, una benedizione. Andrea se ne era andato quando Michele aveva ormai 20 anni e lei Agnese ne aveva 45. Troppo presto pensò, chè Andrea ne aveva solo 47. Maledetto male che se lo era portato via. E così anche lei aveva dovuto lavorare. Fuori casa. Quante fatiche. Si rivide andare a fare pulizie da quel signore e da quell’altro. Ne aveva sempre provato un po’ di vergogna e anche solo il ricordo la disturbò. Cambiò subito pensiero. Sentì una carezza di Andrea. Se la lasciò scivolare sulla guancia lentamente e le sembrò che un brivido le corresse lungo la schiena. Lasciò che la mano le restasse sul collo e vide Andrea sorridere. Sorrisero insieme e per un po’ ad Agnese sembrò di sentire la mano calda di Andrea poggiata sulla sua gamba. Quando riaprì gli occhi vide che era il sole che filtrava dall’acero che le dava quella sensazione di caldo. “Non andar via Andrea”, pensò.
L’acero fa passare troppo sole e Agnese se ne sta ad occhi chiusi. “Un po’ di malinconia”, pensò. Ma oggi sarebbero venuti tutti, i suoi figli. Ci sarebbe stata confusione, grida, auguri, dolci, baci.
Agnese rivide come tanti flash: battesimi, comunioni, matrimoni.
E il limone. “Il limone”, pensò. Agnese non lo vedeva. Era dall’altra parte del giardino. Il limone era il regalo più bello che le aveva lasciato Andrea. Ormai era un limone enorme. Quanti anni aveva? Agnese non riuscì a fare il conto. Glielo aveva regalato per un compleanno, ma quale? Agnese si sentì confusa e le dispiacque non ricordare. Ma ancora c’era, ancora faceva limoni, tanti, d’estate. Lei aveva sempre pensato che quei limoni erano come altri figli che Andrea le aveva lasciato. Gialli, sfacciati, belli, carnosi, succosi. Figli, anche quelli.
A un tratto le parve di sentire Andrea che rideva. Sentì un brivido lungo la schiena.
Andrea rideva e fischiettava sempre. La mattina quando usciva per andare al lavoro e la sera quando tornava. Prima si sentiva fischiettare e poi eccolo lì, sulla porta a dire “Sono tornato”. E la casa così era piena, lei si sentiva completa e poteva dire, parlare, lamentarsi e ridere perché Andrea rideva, era sempre allegro.
Le prese un grande struggimento, si sentì inquieta. Voleva alzarsi da sedere, voleva andare a vedere, voleva andare di là. Forse Andrea era tornato. Si dette di sciocca. Aprì gli occhi, o si aprirono da soli? Sull’acero le foglie si muovevano lentamente e le ombre cambiavano forma velocemente sulle mani posate sul grembo.
“ Mamma……. Mamma….. c’è il sindaco” Sara le stava battendo su una spalla, poi le si fece davanti. La guardò. Era ingrassata negli ultimi anni, si muoveva lenta, accusava sempre tanti dolori, aveva i capelli bianchi e sul volto tante rughe. “Sara…Sara” voleva urlare Agnese. Ma la voce non uscì.
“Ecco, Sindaco, questa è mamma”
Mentre parlava Sara le girò la sedia verso la parte interna della stanza. C’era un uomo lì in piedi con un mazzo di fiori in mano. Sembrava emozionato.
“Signora Agnese, sono qui a rappresentare il Consiglio Comunale e tutta la cittadinanza per farle gli auguri per il compimento del suo centesimo anno di età”
L’uomo aveva una fascia tricolore che gli attraversava la giacca. “Il Sindaco per i miei 100 anni” pensò Agnese “Ma quanti sono 100 anni?” Di nuovo, quando si trattava di numeri non riusciva a fare conti. Voleva comunque dire grazie, ma il grazie non uscì.
“Sindaco” stava dicendo Sara “avrà pazienza, mia madre non sente e forse vede soltanto un po’. Da molto tempo non dà segni di comprendere quello che le diciamo. Non parla. E’ come un vegetale. E’ tutta paralizzata. Pensi che non muove neanche la testa da sola. La dobbiamo accudire in tutto e per tutto. Se ne sta tutto il giorno in carrozzina. La spostiamo noi da una stanza all’altra. Poveretta ormai praticamente non è più con noi”
“No, Sara – gridò Agnese – non è così”. Ma la voce non uscì.
“Ecco vede Sindaco – continuò Sara – solo a volte le scende qualche lacrima. Ecco guardi, anche adesso, sembra che pianga, invece è soltanto il fatto che non ha più controllo e quindi le lacrime escono da sole, così ogni tanto.”
Bel racconto, che commuove alla fine.