Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “L‘amore è un cane che viene dall’inferno” 1) di Gabriella Ferrari Curi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Renata l’ho notata in III elementare, alla scuola A. Stoppani, che poi da noi é l’unica. Di solito le bambine non m’interessavano un granché, delle pappemolli incapaci. Stavano sempre a ridere e a parlottare tra di loro e se gli lanciavi addosso, che so, una lucertola morta, strillavano come galline. Quando ci ho fatto caso la prima volta, era seduta due banchi davanti a me. Aveva alzato la mano per rispondere alla maestra Sensini. Da dove ero vedevo solo i suoi capelli, marroni, corti e leggermente ricci sulla nuca. D’un tratto si voltò. Aveva gli occhi color delle castagne, tondi e con le ciglia corte e folte come spazzolini. Non era bella. Appena appena graziosa. Mi sorrise. Le mancava un dente davanti. Provai ugualmente una strana felicità. Quel giorno alla fine della scuola la seguii. Mano nella mano con la sua compagna di banco Loredana, andò in fretta a casa. Abitava poco distante, un centinaio di metri. Una casa modesta. Anche la mia lo era, un edificio grigio in un piccolo paese, che si era sviluppato senza grazia né ordine attorno a una strada di scorrimento. Una frazione senza nome. Non c’erano palazzi, ma solo abitazioni di tre, quattro piani. La mia casa era dall’altra parte. Quando Renata e Loredana entrarono nel portoncino di vetro spesso, tornai indietro.  Babbo mi accolse con un potente ceffone. “Sei in ritardo. Dove sei stato?” mi domandò con la sua voce fonda. Dentro c’era già un sacco di vino, anche se era solo fine mattinata. Era incazzato nero perché di solito cucinavo io. A lui non andava neanche di mettere su l’acqua per la pasta, così come non gli andava di lavorare. Gli piaceva solo stare seduto su una sedia col suo fiasco davanti. Mamma era morta da qualche anno.

Da quel giorno non potei fare a meno di seguire Renata dopo la scuola e a prendere un ceffone da babbo quando tornavo a casa.

Renata mi sembrava a posto, con il grembiulino bianco e le scarpe pulite. I suoi ci tenevano a lei, si vedeva da come veniva in classe, la cartella in ordine, i compiti fatti e la merenda dentro il cestino. Il mio contrario. Ci parlammo veramente, io e lei, solo alla fine delle elementari. Eravamo nell’atrio della scuola davanti ai tabelloni. Entrambi promossi. Mi feci coraggio e le chiesi: “Adesso che farai? “ ”Andrò alle medie a Merate” “Ci sarò anch’io, ” la informai sicuro di me. Non avrei potuto starle lontano. A casa babbo non era proprio della stessa idea. Me lo disse con qualche sganassone supplementare a quelli che mi appioppava di solito. Non c’erano soldi. Era meglio che muovessi il culo per guadagnarmi il pane invece che stare sui libri come un signorino. Promisi che dopo  la scuola nel pomeriggio avrei lavorato al Bar Sport. Ero già andato a parlare con Attilio, il proprietario. Così m’iscrissi anch’io alle medie. Il primo giorno di scuola presi posto nel banco dietro di lei. Vicino le stava Loredana. Ma la professoressa d’italiano ordinò: ”I maschi da una parte e le femmine dall’altra.” Mi mise due file dietro. Nell’estate non l’avevo mai vista, anche se ero capitato spesso nella pausa pranzo dalle parti di casa sua, per spiare nel suo cortile. Seppi che era stata mandata dagli zii a Cesenatico, a respirare l’aria buona. Non mi misi il cuore in pace.

Nei tre anni delle medie cercai ogni giorno di sedermi sul pullman vicino a lei, sperando che quell’impicciona della sua amica Loredana ogni tanto la lasciasse sola.  Riuscii a parlarle alla fine della terza media quando nell’atrio le chiesi: “E adesso?“ ”Vado alle magistrali.” Io non potei continuare la scuola, ma appena avevo l’occasione andavo all’uscita dell’Istituto Cattaneo per guardarla da lontano. La spiavo senza farmi vedere. Lavorai duro in quegli anni. Mettevo via i soldi di nascosto da babbo, perché volevo farle un bel regalo, magari un anello, che è per sempre. La persi di nuovo di vista. Ci incontrammo alcuni anni dopo una domenica di primavera davanti alla chiesa. Si era fatta una ragazza graziosa. Aveva i capelli più lunghi e gli occhi un po’ truccati. Non era molto alta. Mi sembrò proprio il mio tipo, anche se non avevo molto chiaro in mente chi era il mio tipo.  Di solito quando volevo una donna sceglievo una puttana all’inizio della superstrada. Non m’interessava che tipo era.

In quegli anni da operaio semplice ero diventato specializzato. Guadagnavo bene e avevo messo da parte un bel gruzzolo. Babbo finalmente era morto. Sotto un camion, una delle rare volte che era uscito da casa.

Dopo quella mattina in chiesa la vidi quello stesso pomeriggio in gelateria. Non fu un incontro casuale, perché avevo sentito che si dava appuntamento lì, con la solita Loredana e altri amici. Attaccai bottone. “Qui fanno il gelato migliore d’Italia.” Mi guardò stupita. Avevo esagerato per farmi notare. Le feci un sorriso e le strizzai l’occhio. Lei mi scrutò: “Tu sei Morelli. Abbiamo frequentato le elementari e le medie insieme.“  “Mi hai riconosciuto!” “Certo! non sono passati molti anni. Cosa fai adesso?” “Lavoro. Alla Panforex.”  “Oh, anche mio zio Gino lavora lì.”  Ne fui contento. Mi sembrò di essere entrato in famiglia e lei era già mia.

Cominciammo a chiacchierare. Da quel giorno feci di tutto per incontrarla. La aspettavo davanti alla scuola del nostro paese, dove faceva delle supplenze, andavo in gelateria, capitavo per caso nell’unica pizzeria del posto quando era lì con i suoi amici.  Un sabato le chiesi di uscire per andare al cinema a Merate. “Tu ed io da soli?  I miei genitori non mi daranno il permesso. Verrà Loredana con noi.“ Mi sembrò una scusa,  ma non me ne preoccupai. Avevo i miei piani. Quel giorno feci lo splendido. Pagai il biglietto a tutte e due e poi le portai alla Pasticceria Ravasi, la migliore, e offrii dolci a volontà e coca cola.  La settimana dopo mi presentai all’uscita della scuola con un mazzo di fiori. Ne fu sorpresa e anche colpita. Intensificai gli sforzi perché notasse quanto tenevo a lei. Non arrivavo mai a mani vuote. Cioccolatini, dolcetti, perfino un libro che andai a scovare alla libreria di Imbersago. Poi un foulard di seta vera. Un paio di orecchini. “Come li ho visti ho pensato a te.” Renata per gli orecchini e anche per il foulard aveva protestato. “Non puoi farmi così tanti regali. Siamo amici. Non occorre altro.”  Ma io sapevo quello che facevo. Mi ero iscritto a una scuola serale a Monza. Volevo diventare impiegato e fare carriera. Ottenni il diploma di ragioneria. Quattro anni in uno. Mi massacrai sui libri. Ne valse la pena. A Renata non dissi niente. Avevo ormai tutte le carte in regola per chiederle di fidanzarmi con lei che era la figlia di un impiegato del Comune. Non mi sembrò entusiasta della proposta.  “Ci conosciamo poco e poi io sono troppo giovane. Voglio godermi la vita.” La risposta, soprattutto l’ultima frase, non mi piacque per niente.  Frenai un moto d’ira. “Ho intenzioni serie. Voglio sposarti. Stare sempre con te.”

Tanto feci che un giorno andai a casa dei genitori. Al padre, da uomo a uomo, dissi delle mie intenzioni. “Ho un diploma, una buona posizione e farò carriera. Sono una persona tranquilla. Non uno di quei ragazzi d’oggi che fanno tardi la sera e passano la notte in discoteca. Che una volta ci sono capitato anch’io al Millennium dove va anche Renata con i suoi amici. Ne ho viste di tutti i colori. Che certo lei non lo sa. Droga, ragazze sfrontate, che si fanno mettere le mani addosso e anche peggio, senza nessun ritegno. Mi scusi la parola: un puttanaio, che io a mia figlia non farei mai frequentare.”  Fui convincente. Nel giro di alcuni mesi ci sposammo. Avevamo ventidue anni.

Fin dai primi giorni fu un idillio. Le facevo un sacco di regali, adesso che potevo. Avevo affittato un piccolo appartamento a Merate, sopra un negozio di casalinghi. Le avevo lasciato scegliere i mobili che desiderava.  La accompagnavo io. Non volevo sua madre tra i piedi. Di sera stavamo sempre in casa. Non mi stancavo mai di lei. Avevo esplorato il suo corpo in ogni modo. L’avevo baciato, carezzato, graffiato, succhiato, leccato, morso per ogni dove, centimetro per centimetro, e poi ogni cavità, ogni piega, in un incontro continuo di gomiti, ginocchia, denti.  Sono sicuro che a lei piaceva. Teneva gli occhi spalancati. Lacrime certamente di felicità scorrevano silenziose sulle sue guance. Dalla sua bocca uscivano dei gemiti sommessi. Ma io la riempivo, quella bocca, perché i vicini non sentissero. Anche se di sera di vicini non ne avevamo. Anzi avevo fatto mettere le sbarre dovunque, e finestre con vetri fissi e blindati “… con tutti i malviventi che ci sono.” Le avevo proibito di continuare con l’insegnamento: “…preferisco che te ne stia in casa, come una vera signora.“ ”Mi annoio.” ”Queste sono idee che ti mettono in testa i tuoi genitori.  Un amore come il nostro non credo che l’abbiano mai provato. E anche quella appiccicosa della tua amica Loredana, non mi va.  Non ti basto? Non farmi arrabbiare.  Fuori ci sono troppi pericoli e tu sei un bene prezioso. Devo difenderti dal mondo. Voglio che quando torno, tu sia qui tutta per me. La spesa la faccio io. Così non devi trascinare borse che ti possono affaticare… “ Renata non protestava più. Anche quando parlava al telefono con i suoi genitori, e lo faceva alla sera perché avevamo solo il mio cellulare, diceva sommessa: “Sì, sì, tutto bene. Non preoccupatevi.“  Io la ascoltavo e approvavo. Aveva capito l’intensità del mio amore speciale e assoluto. Si era arresa silenziosa a una passione che mai avrebbe immaginato, al desiderio insaziabile che avevo del suo corpo, una fame continua. Avrei voluto penetrarle nella testa, nei pensieri come penetravo in lei. Per ore, senza mai stancarmi.

Questa mattina sono tornato prima. Mi sono licenziato. Ho pensato che ogni ora che sto in ufficio, è un’ora in meno che passo con Renata. Entro in casa. Sento rumore in camera. Vedo che sta preparando la valigia.”Cosa fai?” “Vado via.“  “Perché? Siamo felici. Ti porto un sacco di regali. Non devi fare nessuna fatica. Faccio tutto io. Non puoi andartene, sei mia, mi appartieni.”

”I miei genitori sono riusciti a mettersi in contatto con me. Hanno chiamato i carabinieri. Non puoi più tenermi prigioniera”. ”Noi ci amiamo,” le ho detto.  “Io non ti amo. Non ce la faccio più.” “Queste sono parole senza senso! Tu non te ne puoi andare, io non te lo permetto!” “Tra un po’ verranno a prendermi. Faranno buttare giù la porta, è finita.” “Cosa? Di qua non ti muovi, sei mia moglie!” “Tu sei un pazzo da manicomio” mi ha risposto. Urlando.

“Vaffanculo porca troia e stronza, guarda cosa mi fai… Mi hai fatto arrabbiare. Ecco cosa mi costringi a fare. E’ colpa tua, eravamo così felici…” Piango. Di rabbia. Di dolore.

Con il coltello che ho trovato in cucita, le sono penetrato dentro, sempre più in fondo in ogni posto che ho amato. Lei da principio ha dato un grande grido. E adesso tutto questo sangue…L’ho presa e l’ho adagiata sul letto. E’ molto sporca. Ma ormai é tutto finito.

Bussano alla porta, urlano, non capisco tutto questo scompiglio. Sono molto calmo, stanco come dopo una grande fatica. Guardo Renata sul letto. Così imbrattata e con gli occhi spalancati non sembra più lei. Apro la porta. Ci sono due carabinieri con le pistole in mano. Io alzo le mie per far vedere che non ho niente da nascondere. Mi guardano con orrore. Li capisco. La fine di un amore come il mio fa sempre una certa impressione.

1)     C. Bukowski.

 

 

 

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16 commenti »

  1. Un racconto lugubre e avvincente. La personalità del protagonista è ben sviluppata, la progressiva emersione dell’ossessione e della follia ben orchestrate. Tuttavia rimangono alcuni interrogativi. Sono domande soltanto, naturalmente. dalla violenza in famiglia alla follia. sarà sufficiente? E perchè Renata, così intelligente, e il padre, che non pare uno sprovveduto, accettano questo matrimonio così presto? E poi lei , che già lavorava e frequentava i coetanei anche in discoteca, lascia decidere al padre? Comunque una lettura interessante.

  2. Scusa, ho lasciato il mio commento nel tuo indirizzo di posta. gabriella

  3. Accettano il matrimonio così presto sia i genitori sia lei perchè lui è un assillante: e comunque all’inizio con tutte le cortesie e i regali sembra una persona solo innamorata e a posto, affidabile e matura. E la sua ossessione inizialmente sembra solo determinazione a fare bene e a proteggere Renata che conosce fino da quando è bambina. Forse non ho ben evidenziato questo passaggio. Ti ringrazio del commento. gabriella

    lo riporto perchè è ben motivato. Ho letto recentemente un bell’articolo su uno studio psicologico riguardo alle coppie di innamorati: la caratteristica che ci colpisce prima è quella che rende insopportabile dopo. Qui l’estrema protezione e la cortesia assillante diventa possessività morbosa.
    Andrea

  4. E’ un classico, caro Andrea: quando un certo tipo di attrazione finisce di sentire insopportabile e irritanti certi piccoli dettagli della vita quotidiana insieme.
    Qui però parlo di una persona disturbata che inizia già quasi da bambino ad avere un’ossessione per Renata, che vede superiore a lui- addirittura la figlia di un impiegato comunale- mentre lui è un povero orfano sbandato, con un padre-padrone violento, anaffettivo e alcolizzato. Solitamente, come purtroppo si legge quasi ogni giorno sui giornali, la vittima non si accorge subito di quello che si cela sotto l’ eccessiva cortesia e protezione e quando si ribella viene picchiata o uccisa. Innescando però prima, a sua volta, un legame di dipendenza e acquiescenza dal suo ” padrone”. gabriella

  5. Racconto che mi è piaciuto molto. L’ossessione di lui si insinua piano nel racconto e nella vita di lei, anche se la si intuisce dal bellissimo titolo. Succede così: unioni inspiegabili, ragazze colte e carine che finiscono preda di amori morbosi o, come dicono in Tv, amori criminali. Brava, scrivi molto bene! Un applauso.

  6. ……amaso dice ciò che dice la teoria dell’incastro di coppia secondo l’impostazione più recente adottata in mediazione familiare…..!

    Si….affermano proprio così; la caratterista che più ci colpisce inizialmente pare diventare in seguito la caratteristica per cui diviene insostenibile la prosecuzione del legame che si è formato partendo da essa ….

    Sembra che noi individui si venga attratti da ciò che ci manca, chi ha leggerezza da chi ha profondità per esempio e viceversa etc….
    Credo personalmente che non sia sempre così o che comunque entrino in gioco una serie di altre variabili ed altri fattori e credo, questo è ancora un pensiero mio, che nulla possa incasellarsi in modo standard in un modello od ipotesi piuttosto che in un altro.
    Certamente, come il racconto ci narra e ci fa comprendere, ma come già per tutti è molto chiaro, al di la’ di quanto possa avvenire o di ogni specifico incastro, alla base è necessario il ritrovarsi di un paio di indispensabili ingredienti, fondamentale direi ,per la riuscita di una comunicazione, e che debbano far parte di ogni relazione o rapporto ad ogni livello si snodi e ad ogni titolo si realizzi, che sono……la LIBERTA’ ed il RISPETTO !!!
    La ragazza vive di mancato rispetto e di violata e privata libertà e nel momento in cui tenta di ripristinare un suo ordine afferente a suoi principi o codici, ecco che sopraggiunge l’abuso più grande …..che è il farle mancare la vita, a mano di una lama, che ferisce oltre a lei, tutti noi!
    Per tutte le vittime di una lama, un pensiero immensamente vicino e avvolgente come l’abbraccio più sentito e per tutti coloro che violano la vita così vigliaccamente…la peggiore delle indignazioni e delle pene!!!
    Un racconto molto crudo che evoca molta rabbia …..ed una riflessione su come da parte di ognuno e delle nostre istituzioni ci possa essere minore immobilità e più efficace intervento!
    Grazie all’autrice e complimenti…… perchè certe riflessioni, non sono mai troppe!

  7. Grazie, Giovanna. purtroppo la cronaca ogni giorno si fa testimone di amori -non amori che finiscono nella violenza. Li si dovrebbe condannare con maggior forza. Gabriella

  8. Anch’io la penso come te, Emanuela. Ma oltre alle riflessioni e ai giudizi di condanna ci dovrebbero essere delle leggi più severe. Gabriella

  9. Bello, molto bello, mi ha preso molto! Brava! Mi piacerebbe un giudizio da parte tua su i miei racconti, eccoli:

    http://www.raccontinellarete.it/?p=14533

    http://www.raccontinellarete.it/?p=14530

  10. Caro Domenico, grazie dei complimenti per il mio racconto.
    Ho letto con attenzione i tuoi due racconti. Per mio gusto ho preferito decisamente ” A canestro”.
    Il primo contiene alcune imprecisioni e poi nella parte centrale è da asciugare un po’ perché ripetitiva.
    “A canestro ” è un bel racconto, mi sembra meno costruito del primo, più ” sincero” in un certo senso, più vero. Belli i giudizi indiretti della madre su questo figlio spilungone che ha un guardaroba non più utilizzabile per i fratelli più piccoli. In complesso hai un buon ritmo e una certa ironia di fondo. Devi stare attento alle frasi cliché, tipo ” silenzio assordante ” che hai inserito in tutti due i racconti. Bravo! g

  11. Molto efficace lo stile, a tratti crudo. Mi piace molto perché nel rapido volgere di una frase si cambia impressione, per precipitare, infine, nel baratro di una violenza inaudita. Mentre leggevo immaginavo il viso del protagonista, la fronte bassa, il mento sporgente, le mascelle serrate in una stolida ostinazione. Secondo me hai descritto molto bene il suo ambiente, il contesto in cui è cresciuto. Secondo me, poi, decisiva per la formazione della sua personalità è stata la totale assenza di contatti umani profondi, e soprattutto con le donne. In pratica non le conosce, non sa cosa sono. L’unica relazione che ha con loro sono gli incontri a pagamento con le prostitute. Le vede solo come strumenti. L’ignoranza è madre di ogni violenza. Quello che crede sia amore è solo la volontà, stupida, di aderire ad un modello, e forse, non so, un modo per evitare di diventare come suo padre. Mi ha fatto pensare ad un robot incapace di provare sentimenti genuini che procede nel suo percorso prestabilito. Dall’altra parte Renata mi sembra sia una bambola ignara. Anche lei forse ignora qualcosa, ignora quanto possa essere pericolosa una relazione che non si basa su una reciproca, profonda conoscenza. L’amore è conoscenza. Credo che l’attenzione debba essere riservata soprattutto alla psicologia del protagonista maschile, sviluppata più compiutamente, scandagliata più a fondo rispetto a quella della vittima. Mi è piaciuto molto leggerlo, mi ha stimolato molte riflessioni e mi sono dilungato forse un po’ troppo nel commento. Però non tutti gli uomini sono come il protagonista della storia. E nemmeno la maggioranza.Ancora complimenti

  12. Matteo, hai detto una cosa tanto importante quanto apparentemente inosservata e discutibile: “l’amore è conoscenza”. Si potrebbe discutere a lungo su questo! Certo la passione può non esserlo, ma se l’amore segue la conoscenza o l’accompagna, sarà più profondo e non ci saranno le terribili sorprese che tanto spesso caratterizzano le tragedie della cronaca.

  13. Caro Matteo, il tuo commento è giusto. Io però ho descritto uno dei casi limite, di questa specie di uomini che uccidono le donne. Famiglia anaffettiva, mancanza di una figura materna, volontà di possesso che incomincia fin da bambino e che culmina con il delitto quando “il suo bene” gli si sottrae. Purtroppo nella triste escalation di fatti di sangue che compaiono ogni giorno nella cronaca i protagonisti vengono a volte da ambienti meno ” scontati”. E’ che oltre all’inasprirsi delle pene e l’aiuto a chi riesce a sottrarsi alla violenza familiare ( ma ormai il danno è fatto) ci vorrebbe un’educazione che comincia dalla scuola. Oltre all’educazione in genere che è ormai è quasi scomparsa, l’educazione nei riguardi delle bambine. Quante volte si sente i maschietti dire: ma quella è “solo” una femmina? Solo? Purtroppo spesso in famiglia hanno esempi disastrosi, forse non di violenza vera e propria ma di violenza morale. La moglie trattata un po’ come una stupida che capisce poco della vita. Ma su questo aspetto della sopraffazione maschile apriremmo un contenzioso infinito. Comunque ti ringrazio del tuo commento.

  14. Si, l’amore viene anche dalla conoscenza e al giorno d’oggi, forse sollecitati da film e tv si affrettano sentimenti importanti,che vanno maturati. Però spesso, oltre a situazioni scontate che si intuisce subito che andranno male, la violenza esplode inaspettata. Del resto il mio personaggio maschile visto da fuori è normale: ambizioso, serio, protettivo, generoso, innamorato. Renata sbaglia a innamorarsi romanticamente di questi aspetti del suo futuro marito. Se lui non fosse stato “malato” avrebbero potuto trascinare un matrimonio come tanti, vecchio e stanco fin dall’inizio. Sbaglia a non valutare la progressiva possessività : stai a casa , non vai a fare la spesa , non occorre avere un altro telefono, la tua amica è antipatica , tua madre e i tuoi genitori non intervengano, fino ai vetri blindati e alle inferriate alle finestre. Se si fosse messa in allarme prima, magari avrebbe potuto salvarsi. Dico magari, perché non sempre con la fuga da casa le vittime si salvano.
    Grazie del commento. Purtroppo questo è un argomento che si dovrebbe ricordare di continuo.

  15. Il commento precedente era per Amaso

  16. Cara Gabriella, il mio commento si riferiva esclusivamente al tuo racconto, che mi è piaciuto molto, sia per lo stile, che a momenti mi ricordava proprio Bukowski, sia per lo sviluppo. Non volevo aprire un contenzioso infinito. So che quello da te descritto è un caso limite. Le riflessioni scaturite dalla letture sono dettate proprio dalla attualità del tuo racconto. E’ questo a tuo merito. Credo che hai trattato un argomento difficile con grande profondità e anche con originalità, soprattutto nella scrittura. Proprio per l’escalation di fatti di sangue sono sempre più convinto che l’amore è conoscenza, e a questo proposito ringrazio molto Amaso per aver sottolineatoe commentato quel concetto. Ci vorrebbe un’educazione all’amore, che non è possesso, ma è, appunto, conoscenza. Nessuno o nessuna può dire di amare qualcuna o qualcuno se non ne conosce la personalità, i desideri, le paure, in una parola, l’animo. L’amore è un percorso lungo e non va scambiato con unioni comode, funzionali ad un progetto di vita che spesso è soltanto un copia e incolla di altri progetti. Bisogna sempre chiedersi cosa pensa e cosa vuole l’altra o l’altro e rendersi conto se ci sia un’effettiva corrispondenza e reale, e non solo una immaginata, sognata, magari perché pretesa. A volte mi sembra che non ci sia più interesse ad ascoltarsi a vedersi a toccarsi a conoscersi e, quindi, ad amarsi. L’impossibilità di accettare la fine di una relazione da parte di uomini, non pochi, che si trasformano in bestiali carnefici, secondo me dipende anche da questa smania di possesso, da questo desiderio di impersonare un ruolo, di aderire ad un modello. Naturalmente questa non è una giustificazione, anzi è una aggravante! Nessuno deve poter credere di possedere la fidanzata, la moglie, l’amante, o la figlia. Sono d’accordo con te sull’importanza dell’educazione. Stavolta credo di aver proprio esagerato con la lunghezza del post, anche perché ho tralasciato un po’il tuo racconto, le cui qualità stilistiche e narrative, ribadisco, ritengo molto elevate. Pardon per la prolissità del commento, e anche per il platonismo spinto 🙂 però, nonostante la mia giovane età, non volevo sembrare il solito maschio superficiale che riduce tutto a casi limiti quando si tratta di questi temi. P.S. l’ultima affermazione del mio precedente post, che non tutti gli uomini sono così, è una cosa che mi ripeto dopo ogni telegiornale, che, purtroppo, sembra smentire questa considerazione..

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