Premio Racconti nella Rete 2013 “Notte surreale” di Ilenia Goffredo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Daniela schiacciava forte il pedale della sua utilitaria percorrendo velocemente la piana Lucchese. Aveva da poco lasciato casa di Roberto per il loro ultimo incontro da amanti, e si sentiva svuotata. In verità, a stancarla in quei due anni di relazione, era stato il fatto di aver creduto ad ogni promessa di lui, e di essersi resa conto improvvisamente che la realtà era ben diversa: Roberto aveva due figli, e il mutuo della casa acceso con la moglie dieci anni prima. Ma non erano solo queste due motivazioni a lasciar presupporre che i progetti di vita insieme sarebbero stati irrealizzabili: mancava l’amore da parte di lui. Quella sera, approfittando del fatto che Mariarita passava il week end nella loro casa di Viareggio coi bambini, lui aveva invitato Daniela a casa sua per dirle che non era disposto a lasciare la sua famiglia, e che continuare la loro relazione era irragionevole.
Daniela, trentuno anni e un matrimonio fallito alle spalle – durato solo otto mesi – era attraente e sexy, ma piena di irrisoluzioni sentimentali da placare, dovute al fatto che suo padre se n’era andato quando lei aveva solo tredici anni. Trasferitosi in Kenya in seguito ad uno dei suoi viaggi di lavoro, aveva abbandonato lei e la madre, per intraprendere una nuova attività a Nairobi, e successivamente, aveva sposato una donna Keniota. Daniela, dall’età di tredici anni, non aveva mai più visto suo padre, ma qualche anno dopo, attraverso una lontana parente con la quale lui era ancora in contatto, aveva avuto modo di vedere delle foto di lui insieme alla sua nuova “sposa”. Quelle immagini – accompagnate da continui e dolorosi flashback – le tornavano sempre alla mente. In una, c’era solo lei in primo piano, una donna di colore abbigliata in maniera semplice, le labbra grandi, come tipicamente grandi sono le labbra delle donne di etnia africana. Da piccola Daniela si era sempre domandata come fosse potuto accadere che lui si fosse innamorato di un’altra donna. Ma soprattutto, nella sua mente fragile di ragazzina, l’abbandono da parte di suo padre, non era stato mai accettato.
Cresciuta con del rancore nei confronti del genere maschile, non a caso forse, aveva avuto solo relazioni distruttive, e anche quella con Roberto non faceva eccezione.
A conclusione di quella serata con lui, c’era stata la rottura definitiva. Lui era rimasto in silenzio, e si era messo a guardare fuori dalla finestra, scostando di poco la tenda del salone – il cui affaccio dava sul lato destro del Duomo di Lucca illuminato e poco distante – e con lo sguardo rivolto verso l’esterno, aveva pronunciato calmo delle parole che erano risuonate come degli echi dolorosi e realistici nella testa di lei: “Cosa ti aspetti che faccia?”
Daniela non aveva risposto: Era arrivata in un secondo, alla consapevole conclusione di chi ormai sa che una storia è al capolinea, e qualsiasi tentativo di ripresa, è ormai vano. Finirla dipendeva solo da lei. Non era più tempo di negarsi una gioia, o di credere che Roberto potesse diventare il suo uomo.
Lui non aveva aggiunto altro. L’aveva solo osservata mentre se ne andava. Camminava a testa bassa attraversando San Martino, completamente deserta nella notte fredda e poco illuminata. Soffriva. La sua figura si perse attraverso le tre arcate della facciata, dalla più stretta alla più ampia, cosicché anche la sua esile persona, gli sembrò dapprima grande, e poi più piccola rispetto allo sfondo, per una questione di illusione ottica. Esattamente come quando si erano conosciuti: all’inizio era “grande” e sicura di sé. Ora invece, con la navata più ampia che faceva da sfondo, era tornata lo scricciolo di sempre.
Pochi istanti dopo, guidava veloce, piangendo nel buio della campagna verso casa sua, in una notte nera, coi capelli ancora “spettinati dalla passione”. L’ultima. Erano le undici di sera di un martedì freddo, e lungo la strada, vide un autobus da turismo che si allontanava. Rallentò e si accodò dietro all’autobus aspettando che questo aumentasse la velocità, per poi superarlo. Ad un tratto, una figura scura passò dalla parte posteriore dell’autobus, correndo per tagliare la minuscola carreggiata, e gettandosi letteralmente sotto le ruote della sua auto. Era qualcuno spuntato dal nulla, che aveva attraversato la strada buia senza nemmeno guardare. Daniela aveva frenato di colpo, ma inutilmente. Il corpo di quella che nell’impatto le era sembrata una donna di colore, si era schiantato come un calabrone in volo sul parabrezza di lei, e rotolando sulla parte anteriore del veicolo, si era accasciata ai piedi del parafango. In preda al panico, Daniela spense il motore, balzando fuori dall’auto come un demone. Faceva freddo e la strada era illuminata solo dalla flebile luce rossa di un lampione. Il corpo della donna era voltato su un fianco, inerme, e le dava le spalle; Senza sapere bene cosa fare, osservò per dieci secondi la testa di treccine. Guardò le luci posteriori dell’autobus ormai in lontananza. Percorreva la sua strada dritto, coi lunghi fari che illuminavano la campagna. Gridò “aiuto”, ma sulla strada non c’era più nessuno, e nessuna macchina passava più.
Tremante, si avvicinò al corpo della donna, che giaceva sull’asfalto sofferente. Non parlava, emetteva solo dei lamenti. Si guardò ancora intorno, e urlò di nuovo “Aiuto!” due o tre volte. Niente. Nessuna auto. Solo buio, freddo, nebbia, e più avanti, tre lampioni che illuminavano male.
“Dio, che faccio ora?”. Prese il telefono dalla tasca e compose il numero per chiamare un’ambulanza. “Mandate subito un’ambulanza al chilometro diciotto della Strada Provinciale ventitre…ho investito una donna e sta molto male…”. L’operatore dall’altro capo fece qualche domanda di routine.
Daniela riagganciò e corse verso la macchina a cercare dei fazzolettini nella sua borsa. Poi tornò dalla donna che si lamentava sommessamente, e iniziò a pulirle il viso con un Kleenex. All’improvviso trasalì. Gettò via la salvietta insanguinata che teneva in mano, e riconobbe nel volto della donna, lo stesso viso della foto che aveva visto a tredici anni. Era incredibile e assurdo: la donna che aveva investito, era la nuova compagna Keniota di suo padre, che da piccola aveva visto in fotografia. Non era una persona che le somigliava, era proprio lei.
“Non è possibile…” mormorò cercando di studiare meglio quel volto. La donna mosse la testa e la girò verso di lei. A quel punto ne ebbe la certezza: Non si stava sbagliando, e non era nemmeno vittima di pensieri poco lucidi: aveva chiaro nella mente quel volto, anche se erano passati molti anni. Ancora spaventata per l’impatto dell’incidente, ora sentiva le gambe tremarle per quella consapevolezza. Dall’età di tredici anni, aveva perfettamente stampato nella sua mente, il viso della donna che le aveva portato via suo padre. Non c’erano dubbi: era lei.
In lontananza udì una sirena e vide dei fari allungarsi lungo la cunetta; iniziò a sbracciarsi per farsi vedere, e qualche secondo dopo, l’ambulanza si fermò accanto a loro. Un paramedico e due infermieri scesero con una lettiga. Il paramedico, con una piccola torcia da tasca, illuminò gli occhi della povera Keniota, ed esclamò:
“E’ viva, ma dobbiamo portarla via subito, sta perdendo molto sangue… La portiamo al Nuovo Ospedale. Lei come sta?”
“Io sto bene, ma vengo al Pronto Soccorso con la mia auto! Voglio sapere se è in pericolo…”.
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“Hanno appena portato una donna di colore qui da voi con un’ambulanza. Può dirmi come sta?”
L’operatrice allo sportello la guardò sgranando gli occhi, come se cercasse di ricordare se era stata registrata una donna rispondente alla descrizione fornita da Daniela, poi si avvicinò al microfono dello sportello, e le disse:
“E’ sicura che l’abbiano portata in questo ospedale?”
“Questo è il Nuovo Ospedale vero?” fece Daniela avvicinandosi ancora di più al vetro dello sportello che la separava dall’operatrice.
“Si certo. Ma lei è sicura che l’ambulanza l’abbia portata proprio qui?”
“Ne sono più che sicura! Ho parlato col paramedico che l’ha assistita… ” non poté finire la frase che riconobbe dietro l’operatrice la figura del paramedico col quale aveva parlato solo pochi minuti prima “Eccolo! Si ricorda di me?” gli urlò sperando che il microfono funzionasse da così lontano.
Quello si avvicinò al vetro, la guardò e disse: “Veramente no signorina. Dove ci siamo conosciuti?”
“Eravamo sulla Provinciale ventitre un quarto d’ora fa. Lei è venuto insieme ad altri due infermieri a prelevare la donna che ho investito! Voglio sapere se è viva…” Daniela sentì le lacrime salirle agli occhi. Era una notte surreale quella.
“Signorina, forse lei non si sente molto bene. Io ho iniziato il turno un’ora fa, e non sono ancora mai uscito per nessun intervento. Vuole accomodarsi, le misuriamo la pressione?”.
L’operatrice aggiunse preoccupata “Non abbiamo ricoverato nessuna donna di colore da oggi pomeriggio…”
Daniela indietreggiò ammutolita e si passò una mano sulla fronte. Sentiva che le gambe stavano per cederle. Non riusciva più a parlare.
“Signorina, si sente bene?” urlò il paramedico da dietro il vetro.
“Sto bene” rispose lei guardandosi intorno. “Non ho bisogno di niente…”
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La mattina successiva, il risveglio nel suo letto non era stato del tutto traumatico, ma non le sembrarono reali nemmeno le mura di casa sua. Per un momento volle fare mente locale, cercando di capire dove si trovasse. Desiderò non essersi mai svegliata, e per qualche secondo, la accarezzò l’idea di farla finita.
Barcollando attraverso il corridoio antistante l’ingresso, trovò una busta sotto la porta d’entrata, e arrestò il passo, cercando di riflettere con la mente ancora annebbiata, su come era potuto accadere che il postino fosse arrivato fino alla porta della sua villetta. Ripensò alla donna di colore che aveva investito la sera prima, e della quale non aveva saputo più niente, e un brivido le attraversò la schiena, scuotendola. Raccolse la busta: non c’era un mittente, ma nella parte posteriore, era attaccato un francobollo raffigurante la bandiera del Kenya, e il timbro postale appena più in basso diceva “Nairobi”. A quel punto, davvero ebbe paura.
Aprì la busta strappandola da un lato. Un foglio ingiallito e stropicciato dal lungo viaggio, fu tra le sue mani: suo padre con quella lettera le comunicava che stava tornando a Lucca in seguito alla morte della sua compagna Keniota, avvenuta sei mesi prima in un incidente. Daniela sentì la momentanea sensazione di un arresto nel petto. Respirò profondamente ma non riusciva, e col foglio scritto a mano ancora tra le dita, prese a guardare le mura della cucina, come a voler stabilire che la sua vita era reale, così come la casa in cui viveva, e gli anni di vita che erano passati.
SECONDO ME E’ BELLISSIMO.
ATTUALE MA ANCHE FANTASTICO.
TI LASCIA IMMAGINARE IL LORO INCONTRO, FRA PADRE E FIGLIA..
LAVORO SENZA DUBBIO BEN FATTO!
COMPLIMENTI 🙂
È una bella storia anche se fatico un po’ a giustificare gli agganci tra reale e irreale, ma forse è proprio questa la chiave che dà un certo fascino al racconto. Mi fa sorridere il modo in cui viene lasciata dall’amante… non la guarda in faccia! Purtroppo c’è molta realtà in questo.
Grazie Silvia e grazie Chiara. 🙂
Silvia, non avevo mai scritto un racconto surreale prima d’ora ed è stata “una prova” anche per me. Ho voluto giocare proprio sull’alternanza dei due elementi (reale e surreale) proponendo una storia che lasci il lettore con un punto di domanda in testa, proprio come quello della protagonista.
Il finale della storia non deve fornire una risposta, ma appunto, far rimanere nel dubbio. 🙂
Come hai giustamente osservato tu, l’unico elemento reale che fa sorridere (soprattutto noi donne) è lo scarso coraggio di Roberto nel lasciare Daniela… attualissimo, purtroppo… 🙂
…bello questo racconto…adatto anche ad un corto a parer mio! Complimenti… il subconscio fa proprio di queste sorprese “a volte”. 😉
grazie Eleonora! 🙂 in effetti era nato come “corto”, ma da scrittrice in erba, soffro sempre parecchio “la gabbia” delle battute e del numero dei caratteri. Così è diventato un racconto. La versione originale contava ben 18.000 caratteri. Ho dovuto lavorarci parecchio sopra per portarlo a 9100.
Bel racconto. La descrizione della Lucca notturna affascina, e mi piace che il lettore si chieda, insieme a Daniela, se è tutto succeso davvero o se ha le traveggole. Brava!
grazie Sara! 🙂 a quanto pare l’esperimento “surrealità” è riuscito! 😉
Concordo con Eleonora Marchiori sul fatto che questo racconto sarebbe un bel Corto. Bella la vicenda che prende una piega inaspettata. Avevo anche sperato in un nuovo amore col dottore gentile.Tuttavia, ad essere sincera, ho trovato la parte sull’adolescenza di Paola e il suo rapporto col padre poco coinvolgente, per come è narrata. A me piace quando il narratore “shows but doesn’t tell”, cioè mi piace scoprire per gradi, attraverso una prospettiva interna al personaggio, i frammenti del suo passato e non assemblati e raccontati direttamente dal narratore. Inoltre trovo strano che il padre fuggiasco abbia rapporti con una lontana parente e non con sua figlia: è un vero mostro! Comunque bella l’idea! Auguri per il concorso.
GRAZIE PER L’EMOZIONE!!! ANDREA.