Premio Racconti nella Rete 2013 “Linea di non ritorno” di Alessandra Giannitelli
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Aprì la borsa e controllò di averlo preso. Era lì, tra l’agenda e le dispense di un vecchio esame, stavolta non l’aveva dimenticato. L’aspettava da due anni quel momento, il giorno in cui si sarebbero finalmente rincontrate grazie a quel libro prestato; tra quelle pagine l’odore di una brezza estiva ormai troppo lontana, il rumore di bicchieri tra i tavolini del piccolo bar, troppe parole affrettate e nessuna certezza. Il tempo quel giorno si era come cristallizzato, agosto stava per presentarsi con le sue giornate morte ed il suo silenzio insostenibile mentre un venticello leggero preannunciava strani cambiamenti. Ricordi di estati passate, imminenti vacanze tra amici, esami da preparare per settembre. Parole, prospetti, illusioni.. Poi il silenzio. Sporadici contatti, imbarazzanti tentativi di riavvicinamento, fallimenti.
“Prossima fermata: Repubblica/Teatro dell’Opera”. L’indimenticabile Piazza Esedra, la confusione di un pomeriggio d’autunno, così era cominciata la loro amicizia, tra un caffè e una raccolta di poesie. Si erano incontrate quasi per caso davanti alla bancarella di libri usati. Si erano sorprese a sfogliare due copie dello stesso libro e avevano scoperto di avere molte altre cose in comune: stessi corridoi universitari, stessi programmi d’esame, tanti gli interessi che riempivano i loro pomeriggi, primi tra tutti i libri. “Le sorelle G.” le avevano soprannominate in facoltà, per l’abitudine di fare sempre tutto insieme e per le iniziali dei loro nomi, Giorgia e Giulia. Su quei gradini avevano imparato a conoscersi, a parlare di sé nelle lunghe giornate universitarie di quell’autunno di nove anni prima, tra appunti e ripassi, nostalgie e progetti futuri.
“Barberini/Fontana di Trevi”. Due ragazze in shorts e infradito salirono distrattamente, intente a consultare una cartina stropicciata nel loro italiano americanizzato. Nei loro occhi rivide la complicità giocosa dei primi anni fuori casa, la curiosità e l’inesperienza dei loro vent’anni, i treni presi al volo e le porte chiuse in faccia all’ultimo secondo, tutto stemperato nella spensieratezza di una risata e di un gelato al Mc. All’epoca Roma era ancora un mistero per loro, un po’ turiste, un po’ figlie adottive di quella grande realtà così diversa dalle loro vite di ex liceali appena svezzate.
Tra i vicoli attorno alla Fontana di Trevi si erano addirittura perse alla ricerca di una libreria, poi magicamente comparsa alle loro spalle. Quell’ultimo pomeriggio insieme non avevano saputo resistere e di fronte all’emblema della Roma barocca avevano preso a testimone Oceano sul suo carro a forma di conchiglia per sancire il loro patto d’amicizia secondo la tradizione romana: si erano scambiate l’acqua della fontana e avevano rotto il bicchiere, promettendosi di non dimenticarsi mai l’una dell’altra, neanche fossero stati due innamorati.
“Spagna”. Un suonatore ambulante si fece spazio tra la folla seguito dalla sua bambina e non appena la metro riprese la corsa iniziò a suonare una melodia malinconica che sembrava assecondare i suoi pensieri nostalgici.
Ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti, un pomeriggio d’estate come tanti, l’incontro con colui che avrebbe presto deviato il percorso della loro amicizia e che le avrebbe allontanate per sempre, uno studente di lingue prossimo alla tesi su Keats che aveva catturato la loro attenzione tra le stanze della “Keats and Shelley Memorial House”, ultima dimora del poeta londinese: la ricca biblioteca incentrata sul Romanticismo, l’underground period iniziato nel ’41 per i contrasti con la Germania, le peripezie di parte degli volumi tra Roma e Montecassino, la ripresa delle attività all’arrivo degli Alleati. Giulia era rimasta incantata dai suoi modi decisi e dai suoi aneddoti letterari e in poche settimane se ne era innamorata. Un rapporto asfittico sin dall’inizio, gelosie, paranoie, scenate senza senso e infine quell’ultimo viaggio che le aveva definitivamente separate, lui in partenza per Londra per lavoro e lei che, pur tra freni e rimuginii, aveva deciso di seguirlo. L’aveva compresa, sostenuta, giustificata fino all’ultimo, ma questa scelta impulsiva di voltare le spalle a tutti da un giorno all’altro no, proprio non era riuscita a mandarla giù. Lei si era mostrata dispiaciuta, non aveva perso occasione per sottolineare l’importanza del loro rapporto d’amicizia, ma non era riuscita a fare niente di concreto per mettere in pratica tutte quelle belle parole.
“Flaminio/Piazza del Popolo”. La sua fermata. Riuscì a malapena a sentirla annunciare, assorta tra le note della fisarmonica e i suoi ricordi. Scese di fretta non appena si aprirono le porte, percorse al volo la banchina e il corridoio verso l’uscita, mentre il notiziario metro preannunciava un nuovo sciopero per l’indomani. Uscì su Piazzale Flaminio e si fermò a cercarla tra i passanti: flotte di turisti, venditori ambulanti, liceali in gita scolastica, ma di lei neanche l’ombra. Controllò il cellulare, nessun messaggio né chiamate perse. Compose il suo numero ma si ritrovò a parlare con la segreteria e decise di incamminarsi verso viale Washington.
Un colpo di vento le scompigliò i capelli e solo allora sembrò prendere coscienza di un’altra estate che lentamente lasciava il passo alle prime giornate autunnali che insieme al sole spazzano via ogni illusione. Si fermò davanti ad un portone a vetri dalle grandi maniglie dorate: di ritorno dall’Inghilterra si erano stabiliti in quel palazzo, anche se lui era sempre fuori Roma per lavoro ed il più delle volte dovevano accontentarsi dei fine settimana per trascorrere qualche ora insieme. Cercò i loro nomi sul citofono, indugiò a lungo e alla fine non riuscì a premere quel semplice bottone. Prese il libro dalla borsa, trovò la loro buca della posta e ve lo lasciò sopra, in evidenza, con un post-it sul quale scrisse semplicemente “Sorelle G. – 22 settembre 2012”.
Ancora una ventata di cambiamenti, ancora un ritrarsi di fronte all’ennesima – l’ultima – occasione per recuperare il loro rapporto. Che il libro fosse solo uno strano messaggio in codice l’aveva capito sin dall’inizio, che non le serviva realmente ma era solo un modo per ricordarle di quel pezzo di vita in comune. Era scritto in quello strano sms sbrigativo di una settimana prima, nascosto tra le righe di quelle poche frasi asciutte e incisive, eppure aveva creduto potesse essere un pretesto per incontrarla e da lì tentare un riavvicinamento più serio di quello che c’era stato negli ultimi mesi.
Si era sbagliata di nuovo ma stavolta non aveva più scusanti, nessun pretesto poteva più alimentare le sue speranze, avrebbe dovuto abituarsi alla triste constatazione di non avere più nulla in comune con quell’amica alla quale mai avrebbe immaginato di dover rinunciare. Non c’era più ragione per condividere quell’ultimo brandello del loro passato, quelle pagine di lettere d’autore e racconti di vita. Nel breve percorso verso la fermata metro si sorprese a commuoversi ripensando a tanto tempo trascorso insieme, a come improvvisamente tutto era finito, quasi non fosse mai esistito, a come l’epilogo di quella giornata fosse in realtà cominciato quella mattina di fine luglio di due anni prima. Si erano lasciate andare come due semplici comparse facilmente rimpiazzabili ed ora della loro interpretazione rimaneva a malapena una vecchia e malandata pellicola che non aveva più nulla da spartire con la realtà delle loro vite presenti. In quel momento anche i ricordi le sembrarono sfocati e aleatori, come una vecchia melodia ormai dimenticata. Le venne da domandarsi il senso di tanti anni e di tante emozioni ora che si comportavano come due sconosciute e che non riuscivano più nemmeno a parlarsi. Tra estranei si incontra almeno lo spazio di un ciao, di un sorriso sincero, di una possibilità. Tra loro niente di tutto ciò. Solo un distacco troppo vicino all’indifferenza perché potesse farsene una ragione.
Sulla banchina della metro del ritorno anche la sua vita sembrava attraversare un tunnel che dal passato la stava scaraventando in un presente troppo aspro, simile all’astrattismo del mosaico nell’atrio della stazione. Eccolo lì il suo passato, tanti piccoli frammenti come tessere assemblate alla rinfusa che non sapeva più rimettere al loro posto.
E’ vero..quante storie così. La vita ci viene davvero incontro disordinatamente e l’amore per primo riesce a rimettere tutto in discussione, anche una bella amicizia.
Brava, chissà quante persone si riconoscono in questa storia. Fortunato chi riesce ad avere almeno un’amicizia che rimanga tale e non si trasformi in ricordo.
Grazie Silvia, mi fa piacere che tu abbia apprezzato il mio racconto e che la consideri una storia in cui molti possono riconoscersi. E’ una delle cose più belle per chi scrive