Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Racconti nella Rete 2009 “Marinella e la crema di conservanti e ricordi” di Patrizia Rinaldi

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009

 

Di notte mi alzo e mangio dolci. Mentre dormo ancora, apro lo sportello in alto a sinistra dove conservo merende e biscotti. Il  sapore è anticipato dall’odore: un impasto di buste di plastiche e vaniglia, fette al malto, cioccolata e cannella, nocciole.

Ingoio veloce. Non mangio dolci per compensare chissà quale dolore, assenza o altre noie. Lo faccio e basta, perché così è. Ma la notte scorsa, mentre mandavo giù l’ultima merendina di Giovanni, mi ha svegliato un pensiero.

 

Ho chiuso la porta della camera dei miei figli. Scalza e in pigiama ho raccolto i piedi nella poltrona larga che sta di fronte alla finestra senza tende. La notte era bella con le luci e il blu nero, ma mi sono sentita lo stesso un’imbecille: non è da me perdere sonno che mi serve per il giorno dopo. Mi sono chiesta il perché di quel risveglio, ma come se lo chiedono le persone che non hanno tempo da perdere.

 Una colpa sottile si era presa la briga di amalgamare l’ultimo morso della merendina e l’abito a fiori di nonna Gugù.

   Nonna Gugù che torna di notte nella crema di conservanti, dopo dieci anni che è morta, non mi somiglia. Non le somigliavo quando era viva, figuriamoci se può essere come me un riflusso fuori orario.

   Ero quella che voleva i pranzi la domenica con il vecchio padre che si addormenta davanti al televisore. Mi vestivo con i colori intonati e non portavo trucco. Raccoglievo i ricci biondi in una coda austera, come me, e invece niente da fare, mi erano toccati gli eccessi: il topless di mia madre al mare che pescava con la fiocina , le sorelle che giravano all’alba senza la paura del ritorno.

   Ma tutto era sobrio se paragonato a nonna Gugù. Una mattina scese per le scale dello stabilimento Ai Faraglioni con un costume che sfoggiava la bandiera americana e la paglia in testa. Finsi di non conoscerla.

   Il tabaccaio del centro mi diceva di ricordare alla signora di venire a ritirare le nazionali senza filtro che lei prenotava a stecche.

         Marinella e che t’aggia dice, chérie, a me piacciono solo queste – Sputava un pelo di tabacco – Queste cigarettes americane non sono per me. Filtrano, cosa avranno da filtrare le sceme? Dove hai comprato queste scarpette aimables? Carine assai. Dove le hai accattate, chérie? –

         Ma nonna, hanno il cinturino alla caviglia! –

         Embè, chérie, che dobbiamo fare? Sei troppo arrêt, bloccata, ferma rigida. Chérie, tu sei una mazza di scopa! Balai.

   La odiavo con l’odio adolescente.

   Nonna Gugù non buttava niente. Aveva una stanza della casa grande piena di panni, di oggetti mezzi rotti: scarpe, borse, occhiali, strumenti musicali, cappelli e tutto il resto. Chiamavamo la stanza Resina, come il mercato antico di Ercolano.

   Quando facevamo il cambio di stagione, lei arrivava come un carrello nella miniera:

  Eccomi qua, chérie e chérie, cosa c’è di bello. Oh, quante buste. Ne apro qualcuna? Lo so, non vi aggrada: vi sta qua, – sbatteva le dita a mazzetto sul cuore  – ma voi date via cose utilissime. Che meraviglia questo spadino rotto, sono sicura che un domani me lo chiederete. e capirete, se intanto vi sono venute nu poco di cervella, che le cose non si sprecano. Santo cielo, la vita è così breve, ne gettate una parte e si accorcia. Porto via tutto, mi serve un tassì Al telefono dite grande, mi raccomando, una voiture  grande, queste macchine non hanno spazio. Tante utilitarie piccole con il portabagagli a forma di boite, di scatola. Moteur inutilizzato. Au revoir, ma chérie.

 

Il tassì si riempiva di spazzatura. Lei sedeva davanti con la borsetta e la nazionale spenta tra le labbra:

  – Coraggio, petite felicité, portiamo il bottino a casa! –

 

Nonna Gugù amava parlare di teatro:

   Quando c’era il teatro era una corsa per finire lo spettacolo. Dopo. Dopo sì che cominciava la festa. Gli artisti sono pieni di dolori, tengono la testa fasciata dall’emicrania, l’artrosi e solo i giovani corrono e saltano sulle assi. I vecchi, no. I vecchi lo sanno, chérie: se ti sprechi non arrivi a fine tournée, sei finito prima di maggio. I saltimbanchi si sbattono, gli attori grossi abbozzano. Con la testa fanno così – muoveva appena il collo – e voilà, vis-à-vis il passato. Naturalmente una verticale, una capriola o una spaccata non fanno il solletico neanche all’altro ieri. Cosa stavo dicendo, chérie, tu mi rimbambisci con quelle tue gambette. Statte  nu poco quieta. Che salute, sei un poussin feroce! Quando finiva il teatro, i dolori si ammazzavano a tavola. Gli Attori mangiavano solo la sera dopo l’applaudissement. Prima tenevano lo stomaco emozionato, perché pure il più insisto si agita un po’ prima dei rumori dietro la tenda. Chi ce sta? Chi non ce sta? La bella Lionora è venuta a vedere se sono tanto bravo, habile, come le ho detto nello scuro? E poi se un attore ubriaco, ma solo un peu,  ti corteggia là sì ca ce sta lo spettacolo. Quello ci crede overo. Se è bravo entra nella parte ed è pure capace di fare cantare i fiori. Sei piccola, non puoi capire, ma che ti credi? Se no chi me lo faceva fare ad andare girando per tutta Europa? –

 

   Sento Giovanni che apre la porta della sala:

         Mamma, perché sei in piedi. E’ giorno?-

         No, vai a dormire. –

         Mi dai l’acqua? –

  

Vado a prendere l’acqua, mio figlio resta in piedi, reggendosi alla maniglia. Beve e torna a letto. Accendo una sigaretta: il primo tiro è ruvido, non  fumo di notte. Giovanni ha di mio gli occhi e tutto il resto. Con una gonna blu sarebbe me alla sua età.

   Lo dico, fumando: mi dispiace. Hai capito, Gugù? Mi dispiace. Sono tornata a Resina, la stanza confusa, dove mi facevi scrivere sui muri. Gisella è cretina, Marinella ama Nicola, che non la pensa proprio. Anna puzza di puzza di cipolle.

   Ho voluto rivedere la stanza prima che fosse venduta, ci sono stata ieri con il piccolo Giuseppe che invece di mio non ha niente, neanche i ricordi. Non glieli so spiegare.

 

 Ma tu parli di nuovo e mi trascini per via Palizzi a trovare un’ amica:

         Ma ti veste tua madre accussì? Che solitude! Quale désastre. Rompi i sassi con queste scarpe da soldato. Questa signora che conoscerai fa la scrittrice, ma non è la sciacquetta che si tiene l’editore, no. Lei conosce la fame prima e  la fama dopo. Ti sembro antica? Certe volte, lo sai, me lo dico da sola: vieille,  vecchigna. Quando torniamo ci fermiamo a bere la cioccolata calda a piazza Bellini, perché la cioccolata squaglia gli anni e ti alliscia il décolleté. Ora questa signora non vuole vivere più. Mi ha detto che lei lo può fare, perché ha sempre deciso di vivre, ha i segreti, non si è fatta sputare addosso i giorni come semi di melone. Ma tu ce li hai i segreti e a chi li dici? Marinella, tu non lo sai, ma sei l’unica che mi somiglia… –

 

La rivelazione mi ferì. Per essere diversa da Gugù, e dal resto degli scombini, sposai un ragazzo che aggiustasse la fotografia. Suocero fermo con il regalo degli orari, suocera mammona caprona, con le vacanze e le torte. Potevo bucarmi le orecchie, ora sì che la disubbidienza aveva un posto assegnato!

   Cominciai a ingrassare con pranzetti di ore: parmigiane e sartù, sformati di tagliolini e caprese, involtini di pesce spada e gattò. Il marito tornava:

         C’è un odore di mangiare che ha invaso l’ascensore. Mi è passata la fame. Dopo esco. –

    Andava a giocare, beato, con gli stessi calci nell’acqua del ventre.

   Ora sono magra, solo il seno non ha voluto saperne. Da un po’ non lo chiudo più nel golfino di castità. Ho preso in affitto un locale piccolo dietro il mare. Ci ho messo un telaio e faccio stoffe. A Gugù piacerebbero:

         Uuuuh, Marine’, chérie, ma comme so’ belle ste pezze! Me ne vuoi fare due pure a me? Tieni un bel rosso, rosso triato e il bordeaux è na meraviglia, lumineux, pare sangue vivo. A Natale ci facciamo nu cape, un mantello con gli stessi colori dei turbanti e ce ne andiamo a San Gregorio in mezzo al presepio. I turisti con le scarpe da quattro soldi  ci chiameranno e uno ci domanderà: ma siete i Re Magi? Noi lo guarderemo storto: Jamais, caro ciuccio, nuje simme Reggine e levate a nante! Ti piace, Marinella? –

 

Parlo da sola con il blu nero fino a che non si stinge e viene mattina.

  Giovanni guarda le tazze:

         Che fine ha fatto l’ultima merendina mia? –

         Non c’è più. E’ venuta la nonna e  se l’è mangiata. –

  

In macchina accendo la radio e canto insieme a lei, i miei figli protestano. Non sono stanca. Ho tolto tutti i cerchietti degli orecchini senza posarli con cura nel portagioie sul comò. Li ho lasciati cadere: dlìn dlìn sulle piastrelle del bagno. Inchiodo davanti a un uomo alto che  ha già fatto più di un passo sulle strisce. Fa un sorriso largo, poi si volta e mi fa un inchino col braccio che gira esagerato intorno alla testa. Ci guardiamo, poi mollo il volante e applaudo.

   Abbasso lentamente il finestrino e muovo solo le labbra senza voce:

         E sì, parlo con te, chérie. –

 

 

 

 

 

 

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