Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “Wally” di Matteo Tella

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Paolo era quel che si dice un onesto lavoratore. Puntuale, obbediente, non aveva mai
creato problemi. Svolgeva i compiti che gli venivano assegnati come il più diligente
fra gli scolari, senza lamentarsi dei pur frequenti, nonché immotivati, cambiamenti.
Dal di fuori  Paolo poteva apparire semplicemente un impiegato modello, come ce ne
sono altri, sebbene non molti. Ma era molto più di questo; era l’antistress del suo
ufficio, la vecchia porta a cui tirare calci e pugni quando si è arrabbiati . E pensare
che Paolo era il dipendente con più anni di servizio alle spalle, ben trenta; e mai una
promozione, mai un premio, solo lavoro, lavoro e basta.
Il fatto era che quell’ufficio, per tutti coloro che ci lavoravano,  era soltanto una tappa
obbligata nella loro carriera. Chi non riusciva a migliorare la propria posizione entro
un anno al massimo, si licenziava, e, curriculum alla mano, si  cercava un posto
migliore di quello, impresa tutt’altro che ardua. Solo il Fuck Totum non saliva di
grado né se ne andava altrove. Fuck Totum era il simpatico nomignolo che i colleghi
avevano adottato per Paolo, canzonandolo per l’incredibile remissività con la quale si
sobbarcava ogni lavoro gli venisse affidato. Avevano inglesizzato il factotum latino
per significare il disprezzo che nutrivano per quell’omunCulo, ché questo, omunCulo,
era un altro dei suoi epiteti. I meno arguti lo chiamavano Letame.
I soprannomi del povero Paolo se li trasmettevano gli impiegati che si avvicendavano
fra loro, quasi si trattasse di una tradizione antichissima da perpetuare nei secoli. Lui
non diceva niente, ma a testa china faceva quello che doveva fare, e anche quello che
dovevano fare gli altri, senza profferire parola. Credere che se la prendesse per le
offese e per il continuo motteggiare sarebbe un errore. Paolo accettava tutto, come
una discarica abusiva o come una vecchia pornodiva. Non rispondeva mai alle
continue provocazioni.
Qualcuno, addirittura, se la prendeva  per la calma ostinata con la quale sopportava
insulti e ingiurie. Uno di costoro, esasperato dal comportamento di Paolo, dopo
averlo dileggiato per oltre un’ora senza ottenere risposta, gli lanciò con forza un
foglio di carta che aveva appallottolato. Il caso volle che il giorno prima Paolo,
ferendosi al sopracciglio destro, era stato costretto a mettere dei punti, in numero di
tre. L’ironia, poi, che mai si lascia sfuggire un’occasione, deviò la palla di carta
proprio sulla fresca cucitura. Allora un fiotto di sangue rosso ne uscì fuori, bagnando
il viso attonito di Paolo. Se non fossero intervenuti gli altri colleghi ad esortarlo
perché si recasse in ospedale, sarebbe rimasto in ufficio a finire il lavoro iniziato. Il
lanciatore, da parte sua, era shoccato, ammutolito, paralizzato. Non era poi tanto
preoccupato per la testa di Paolo, né sbigottito per la violenza della sua azione (non
provava rimorsi), ma era terrorizzato, questo si, che la cosa si venisse a sapere nelle
alte sfere; ma fu sufficiente un discorsetto di tutti gli impiegati, accompagnate dalle
brevissime scuse del feritore, per convincere Paolo a tacere. D’altra parte l’idea di
denunciare il fatto ai superiori non lo aveva nemmeno sfiorato: figurarsi, fosse stato
per lui non sarebbe neanche andato all’ospedale. L’episodio si aggiungeva alla lunga
sequela di soprusi ai quali Paolo aveva fatto il callo, come si dice.
I colleghi, dopo l’incidente della palla di carta, sospesero per una settimana i loro raid
contro Fuck Totum, limitandosi ad ignorarlo. Ma quando si accorsero che l’imbarazzo
per quello che era successo era solo loro, mentre invece Paolo dava l’impressione di
non ricordare nulla, allora ripresero a comportarsi come prima.
Un nuovo arrivato, come tutti i nuovi arrivati, si accodò al carrozzone con estrema
naturalezza, divertendosi anch’egli alle spalle dell’omunCulo. E’ così dappertutto, non
c’è da meravigliarsi; quando una persona vuole inserirsi in un contesto preesistente,
con le sue peculiarità e con le sue regole, deve accettarne i meccanismi e fare quello
che fanno gli altri, evitando di derogare ai suoi principi. Deve, in una parola,
adeguarsi. Così fece anche il nuovo arrivato in questione. Si trattava di un giovane,
ventitré anni appena, timido e rispettoso. Dovette forzare non poco la sua indole per
trattare Paolo come facevano gli altri. D’altra parte aveva bisogno di lavorare ed era
abbastanza sveglio da capire che se avesse fatto diversamente, lo avrebbero
emarginato e ostacolato con ogni mezzo. In fondo anche per Alessio, ché questo era il
nome del ventitreenne, quella era una sistemazione temporanea, un gradino, il più
infimo, della carriera avvenire.
Per sua fortuna, però, in quanto ultimo arrivato, non poteva spingersi troppo oltre nel
maltrattare Paolo, benché nessuno avrebbe protestato se un bel giorno, senza una
spiegazione, gli avesse, ad esempio, colorato il volto con un rossetto, cosa che fece
davvero un altro impiegato. Per tutti quanti quell’ufficio era come l’ultimo giorno di
scuola, quando, prima degli esami e della vita vera, dimenticati sotto il banco libri e
preoccupazioni, ci si lascia trasportare dall’atmosfera carnevalesca, da fine del
mondo, e, senza remore, sfrenati ci si lancia addosso gavettoni e cancellini, gessi e
persino sedie, fino all’ultimo, definitivo, cappottone allo sfigato di turno, allo scemo
della classe. Bene, Paolo era lo scemo dell’ufficio, e  Alessio era il bravo ragazzo che
partecipa controvoglia al cappottone generale.
Un giorno, in uno dei tanti momenti di pausa, l’impiegato più arrogante della
compagnia, tale Sino Abete, rivolse questa domanda al povero Paolo: “Ehi Letame,
ma come fai? Diccelo, su, qual’è il tuo segreto?”. “Segreto? A cosa si riferisce dottor
Abete (per Letame erano tutti dottori)?”. “E piantala Fuck! Hai capito bene. Com’è
che ti prendi tutta la merda che ti tiriamo contro? Si che ti chiami Letame, ma non è
normale, non è umano“. “Continuo a non capire. Loro sono sempre così gentili con
me. Direi, se mi fosse permesso, quasi affettuosi. Nessun segreto.”. “Aahah, ma
sentitelo! Tu non sei umano, Fuck. Sei un alieno, vieni da qualche pianeta del terzo
universo, sei un immigrato interstellare e per questo ti lasci calpestare senza
protestare. Hai paura che ti rispediamo su quel tuo pianeta del cazzo. Chissà come si
vive male là, eh Letame? Altro che Africa, Darfur e Calcutta!”. Lo scambio di battute
si protrasse per un’ora abbondante, fino al momento che tutti aspettavano ma che
nessuno si aspettava: il caro vecchio Fuck Totum perse la sua proverbiale calma.
Niente di eccessivo, sia ben chiaro, ma quando un uomo che ha sempre subito offese
ingiurie insulti con la pacifica rassegnazione dei monaci tibetani, alza anche solo un
poco, meno di un decibel, se possibile, la sua voce di vetro, coglie sempre di sorpresa
chi gli sta di fronte.
Il prepotente collega insisteva perché Letame rivelasse a tutti il suo segreto di
docilità, e fra un’ipotesi ed un’altra, se ne uscì così: “Dì un po’, Fuck, non è che di
notte vai in giro a violentare ed uccidere le donnine allegre? Sarai mica un serial
killer, di quelli che si divertono a squartare le donne? Sei un femminicida? Ahahah!”.
Ridendo senza freno si voltò verso i colleghi, in cerca di approvazione, ma sui loro
volti c’era un’espressione di stupore, molto simile a terrore.
Dietro di lui, infatti, l’ omunCulo si era alzato in piedi, e, con sguardo serio,
raggelante quasi, digrignava i denti, cercando, forse, le parole adatte. Un’angosciosa
attesa aleggiava sulle teste dei presenti.
Finalmente Paolo aprì la bocca per parlare: “Potrebbe anche darsi, dottor Abete. Ha
ragione, ognuno di noi ha bisogno della sua valvola di sfogo per sopravvivere. E le
confesso che se non avessi Wally non mi farei certo problemi a sgozzare donne di
malaffare. Per fortuna io ho Wally.”. Il volume della voce non era troppo alto; Paolo
non aveva gridato. A impressionare i colleghi fu la sicurezza con cui disse quelle
parole. Paolo, Letame, Fuck Totum, l’omunCulo, non era mai stato sicuro di niente.
Quando domandava qualcosa gli occhi erano sempre bassi e la voce si interrompeva
continuamente. Non pronunciava mai lunghe frasi, solo brevi interrogazioni, e solo
quando lo richiedeva il lavoro. Alle offese, come detto, non reagiva mai. E’ allora
comprensibile lo stupore che colse i colleghi a sentirlo parlare così. Stranamente
nessuno insistette sulla storia del segreto di Fuck Totum, e nessuno gli domandò chi o
cosa fosse Wally, come se temessero di scoprire qualcosa di terribile facendolo. Paolo
tornò sulle carte che aveva davanti e non fece più riferimento a Wally. La vita in
ufficio riprese come prima. Ma chi o cosa era Wally?
Un giorno Alessio, il nuovo arrivato, nauseato dalle continue ingiurie all’indirizzo di
Paolo, uscì fuori, con la scusa di una sigaretta. Aveva bisogno di respirare, di
guardare il sole e di ripetersi che presto avrebbe lasciato quel posto. Non ne poteva
più di vedere quel povero impiegato messo quotidianamente alla berlina, senza che
questi reagisse. A ben pensarci era proprio l’accondiscendenza di Paolo a irritarlo di
più; non riusciva a spiegarsi come un uomo potesse farsi trattare a quel modo senza
fiatare. Mentre rifletteva, fu avvicinato da Sino Abete, il collega che più di tutti
maltrattava l’omunCulo. Come leggendo i pensieri di Alessio, gli disse di non
preoccuparsi, che a Fuck “gli stava bene così”, perché apparteneva a quella categoria
di uomini senza personalità, quelli che “sono felici solo quando qualcuno li tratta
male”. Nei giorni successivi Alessio fu molto taciturno, più del solito, e, senza
volerlo, osservava con molta attenzione il comportamento di Paolo. Non era sicuro,
ma gli sembrava che Fuck davvero provasse piacere solo quando i colleghi lo
insultavano, e che invece soffrisse quando quelli lo lasciavano in pace. Con il passare
delle settimane l’omunCulo divenne l’ossessione di Alessio. Qualcosa di inspiegabile
in quell’uomo lo attraeva irresistibilmente. E si convinse che Paolo ne aveva
coscienza. E a dire il vero era così.
Un altro giorno dei tanti giorni di questa storia, Paolo e Alessio si ritrovarono soli in
ufficio. Una zanzara impertinente ricordava ad entrambi che era estate. “Perché non
mi tratti come gli altri tu?” “Prego?” “Non mi vuoi bene? Non apprezzi la mia
persona?” “Ma che dici? Cosa vuoi, lasciami lavorare.” “Dallo a me il tuo lavoro, lo
farò io al posto tuo.” “Sta’ zitto! Non mi serve il tuo aiuto, il mio lavoro lo faccio io,
lasciami in pace.” “Tu non sei come gli altri, sei superiore, vero?” “Vuoi stare zitto! A
me non interessa. Tra pochi mesi andrò via da qui, e allora nemmeno ricorderò la tua
faccia né i tuoi soprannomi ridicoli. Guarda che non mi fai pena, mi fai solo ribrezzo,
si. Ha ragione Abete, tu non sei umano.” “E chi dice il contrario? Vorrei che tu capissi
perché tutto ciò accade. E’ vero, sei diverso dagli altri tu, sei un po’ simile a me.” “Ma
che cazzo dici, bestia? Letame schifoso, non ti permettere!” “Sta’ tranquillo Alessio,
non lo dico a nessuno. E poi tra poco te ne andrai via da qui, non hai detto così?”
“Certo che l’ho detto! Vorrei veder!. Solo un omunCulo come te potrebbe restare qui
per tutto questo tempo.” “Esatto. E’ quello che dico anch’io, solo un omunCulo come
me può restare tutto il tempo necessario. Non preoccuparti, capirai presto. Senti
Alessio, dimentica quello che ci siamo detti, perdonami, mettici una pietra sopra, non
volevo farti arrabbiare. Per dimostrartelo voglio farti un regalo, voglio presentarti
Wally. Che ne dici?”.
Wally! Allora era una persona? O forse un cane? E dopo tutto, voleva saperlo? Certo
che lo voleva. Da quando lo aveva sentito, quel nome errava nei suoi pensieri
come…come…come questa maledettissima zanzara estiva. Tac! La piccola mano di
Paolo schiacciò l’insetto in modo significativo. “Bé si Fuck, mi farebbe piacere
conoscere Wally. E’ una persona?” “Oh Alessio, non sai che piacere mi hai dato.
Wally è una donna, la mia donna. E’ bella come una dea, ha occhi neri e grandi come
la notte. Ma non riuscirei a descrivertela, le parole non sono sufficienti, la vedrai tu
stesso, stasera va bene? Dopo il lavoro ce ne andiamo a casa mia e te la presento. Lei
è sempre a casa che aspetta me.”. Cosa stava accadendo? Come si era arrivati a quel
punto? Aveva sentito bene? Paolo Letame lo aveva invitato a casa sua, e, cosa ancora
più allarmante, lui aveva accettato? “Si, d’accordo Paolo, verrò con te”. Si, aveva
accettato.
A fine giornata, nel tardo pomeriggio, Paolo rinnovò l’invito ad Alessio, il quale,
senza pensarci un attimo, confermò la sua volontà di conoscere Wally. Fuck non
aveva un’auto, così i due impiegati raggiunsero la fermata degli autobus più vicina.
Salirono sul 12/, la linea che raggiungeva i quartieri più periferici, quelli meno sicuri
e più sporchi. Si accomodarono in fondo, su due sedili sgangherati, le cui fodere
sembravano essere state mangiucchiate e poi sputate da ratti di città, o, più
probabilmente, dilaniati dai coltelli di chissà chi.
Dai finestrini opachi Alessio osservava il progressivo degradarsi del paesaggio
urbano, via via che l’autobus si allontanava dal centro. Sembrava un’altra città, un
altro paese. “Noi scendiamo all’ultima fermata, in piazza 24 dicembre.” disse Paolo,
guardando anch’egli fuori. Piazza 24 dicembre, il centro dell’emarginazione, il
quartiere con la più alta densità criminale. Di certo il più povero. Un’ombra di paura
oscurò il volto di Alessio. Pian piano diminuivano i lampioni ed era sempre più
difficile distinguere strade e palazzi. La paura di Alessio aveva toccato il suo apice,
quando il led rosso del pullman, accompagnato da una stridente sirena, tutto tremante
avvisò i passeggeri che erano arrivati a destinazione. Paolo si alzò per primo, e,
dandogli un colpetto sulla gamba destra, esortò Alessio a seguirlo e a scendere con
lui.
La desolazione era assoluta. In giro non c’era nessuno, o, almeno, la luce malcerta dei
pochi corpi illuminanti impediva una perfetta visione della piazza, che, per quanto ne
sapesse Alessio, poteva anche essere percorsa da bande armate in guerra fra loro. I
due colleghi la attraversarono longitudinalmente, Paolo davanti e sicuro, Alessio
dietro e guardingo. Scesero una scala che portava ad una strada sottostante la piazza,
laddove si trovavano i palazzi più vecchi. Quello di Paolo forse era il peggiore di
tutti: la vernice giallognola era caduta da un pezzo, le pareti esterne erano piene di
buchi, e il selciato sconnesso era ricoperto da un tappeto di preservativi e siringhe.
Scansando con le scarpe i residui di amori malati, Paolo e Alessio si fecero strada
fino al portone. “E’ sempre aperto, non preoccuparti.” L’atrio dal sudicio pavimento
era ingombro di ferri rotti, come il magazzino di un robivecchi, e passarci in mezzo
senza cadere fu un’impresa per Alessio.
L’appartamento di Paolo stava all’ultimo piano, al sesto. La porta bianca di vernice
fresca sembrava di carta, tanto era sottile. Dal mazzo di chiavi Paolo scelse la più
grande.
Dietro la porta stava il soggiorno che ci si aspettava di trovare: totalmente vuoto, ad
esclusione di una rachitica sedia di vimini. La cucina era un vano troppo angusto per
potervi avere un pasto, e in più non c’era nemmeno un tavolo. Alessio si immaginò le
solitarie cene di Paolo, seduto su quell’unica sedia traballante in mezzo al salotto, nel
più totale silenzio; non c’erano televisori né radio. Forse sarà tutto in quell’altra
camera, pensò.
“Wally, tesoro, sono a casa. C’è un amico con me, fa’ con calma.”. Si ricordò solo
allora di Wally, la misteriosa donna di Paolo. Dalla stanza da letto, dove sicuramente
si trovava, però, non proveniva nemmeno un rumore, come se non ci fosse nessuno.
“Mi scuserai Alessio, ma non posso offrirti niente. Non ricevo mai nessuno, e anche
diversamente non comprerei comunque nulla. Io non devo giustificarmi per
comportamenti antisociali che sarebbero imbarazzanti per qualcun altro, ma non per
me. Io sono Fuck Totum, Letame.” Un sorriso convinto brillava negli occhi di Paolo,
una sicurezza raggelante, come in ufficio, quando per la prima e unica volta fece il
nome di Wally. “Sai, Wally ed io la pensiamo uguale. Non c’è necessità di apparire
quello che non si è.”. “Non capisco”. Furono le prime parole di Alessio da quando
avevano lasciato l’ufficio; fino a quel momento aveva vissuto come in un sogno,
anestetizzato dagli eventi. “Cercherò di essere chiaro; d’altra parte, non appena vedrai
Wally, non avrai bisogno di spiegazioni. Se io mi sforzassi di essere socievole,
gentile, sarei ridicolo. Ognuno deve agire secondo il suo ruolo, e sul mio ruolo non ci
si può sbagliare.” “E’ per questo che vivi qui, nei sobborghi, in questa casa spoglia?”
“Caspita Alessio! Sei più sveglio di quello che credevo. Hai saltato dei passaggi
arrivando al punto senza il mio aiuto.” “Non so quale sia il tuo stipendio, ma
scommetto che potresti permetterti qualcosa di meglio di questo.” “E’ proprio qui sta
il mio orgoglio: potrei ma non lo faccio. Sono fedele al mio destino. Al mio ruolo.”
“Ma di che accidenti parli?”.
Gli strani discorsi di Paolo lo stavano irritando a tal segno, che Alessio si sentiva
esplodere. “Zitto! Wally è pronta.” “Ma che stai dicendo? Non ho sentito niente.
Nessuno ha parlato. Smettila, di là non c’è nessuno. Wally te la sei inventata per farmi
venire qui, e non capisco perché. Ma adesso me ne vado.” “Fermo!”. Quale
cambiamento si era verificato nella voce e nell’espressione di Paolo! Era terribile.
Alessio non poté che tremare. Sembrava anche più alto adesso. I suoi occhi erano
fermi come due soli in fiamme. “Seguimi, ti voglio presentare Wally”. Docile come
un cagnolino Alessio obbedì e insieme varcarono la soglia della stanza da letto. Era
gelida, più gelida di tutta la casa, più gelida della notte gelida che chiamano morte.
Un giaciglio senza cuscini se ne stava rannicchiato in un angolo, mentre il centro
della camera era occupato da un cerchio rosso disegnato sul pavimento. Non c’era
nient’altro. “Non ti levi il cappello davanti ad una signora?” “Ma…ma io non vedo
nessuno.” “Come ti permetti verme? Non vedi la mia dea? Voltati demente!” Paolo
girò Alessio in modo che potesse guardare la parete alle sue spalle.
Alta fino al soffitto, immobile, guardava il centro del cerchio rosso a terra. I capelli
erano neri, lucenti, lunghi, con sfumature di blu marino; la fronte, candida e spaziosa,
sgombra da pensieri. E poi gli occhi, grandi, neri, incorniciati da ciglia sensuali come
la bocca semiaperta, nell’atteggiamento di una donna al colmo del piacere. Le labbra
socchiuse erano rosse e turgide. Non indossava nulla, era nuda. Il corpo slanciato era
niveo come il volto e la fronte. Il seno morbido e perfetto, il ventre lungo e piatto, i
fianchi curvi e le gambe toniche e senza fine. Terminavano in piccoli piedi
bianchissimi che erano la grazia piedificata. La vagina al centro era coperta da un
leggero manto di peli castano scuro, e le gambe aperte la mostravano generosa e
accogliente. Questa era Wally vista di fronte. Per vederla di dietro bastava far scorrere
gli occhi un poco a sinistra, sul medesimo muro; lì si potevano ammirare la schiena e
le giunoniche natiche della bella Wally.
“Hai visto? Oltre ad essere bellissima presenta il non trascurabile vantaggio della
visione simultanea di tutte le sue grazie. E poi non si muove mai da qui, è la fedeltà
personificata”. Paolo terminò con una risata isterica la breve descrizione delle qualità
di Wally. Alessio era esterrefatto, sbigottito, inerme. Non riusciva a stare dritto sulle
gambe, e lentamente scivolò, come liquefatto, ai piedi del muro dove era disegnata
Wally. “Toglie il fiato, eh? Vedi quel cerchio rosso? Bene, quando abbiamo voglia di
intimità io mi sdraio là dentro e guardando Wally sono felice”. Alessio guardò con
orrore il cerchio rosso per terra e poi Wally. “Credo che le piaci. Se pensi di poter
resistere al freddo che c’è qui dentro, potrei anche lasciarvi soli. La bassa temperatura
è necessaria alla sua bellezza; Wally non sopporta il caldo”. Una sensazione di
impotenza, di ineluttabilità, avvinghiò Alessio fin dentro le ossa. Non riusciva a
parlare né a muoversi; stava inginocchiato di fronte a Wally, incapace di staccare gli
occhi dai suoi.
“Allora, adesso hai capito perché sei uguale a me? Noi siamo nati per essere gli
ultimi, siamo i Tersite della terra. Svolgiamo un compito importantissimo nel
progresso dell’umanità; i migliori non ce la farebbero se non ci fossero quelli come
noi. Sai, ti ho riconosciuto subito; gli altri in ufficio non potevano, ma io si, perché ti
aspettavo da un po’. Attendevo da tempo colui che avrebbe preso il mio posto.
Finalmente sei arrivato. Puoi trasferirti qui anche domani. Porta solo gli abiti
necessari. Per un mese vivrai nel mio appartamento, il tempo di spiegarti tutto per
bene. Poi ti trasferirai in un altro appartamento, sempre qui nel quartiere. L’ho scelto
con grande cura. Vedrai, ti piacerà, è anche peggio di questo. Se vuoi ti aiuterò a
disegnare la tua donna, c’è una parete già pronta. La chiamerai come vorrai. Nel
frattempo, potrai approfittare della mia”.
E, insieme, Paolo ed  Alessio sollevarono gli occhi a guardare la dea silenziosa, la
sposa virtuosa, la donna fedele, la casta e perversa Wally, che dall’alto ricambiava il
loro sguardo.

 

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46 commenti »

  1. Francamente mi lascia iun po’ perplessa questo lungo racconto, dalla lunghissima premessa, che sfocia nella psiche di una mente malata. Sembra uno di quei soggetti di “Criminal minds”, anche se finora il tizio pare mansueto. E il povero Alessio lo asseconderà nella sua pazzia? Sembra di sì. Auguri per il concorso.

  2. Grazie per aver letto il mio racconto e per gli auguri. Mi sfugge però il riferimento che fai, “Criminal Minds”: confesso di non sapere cosa sia. Comunque spero non si tratti di qualcosa di troppo negativo. Ma davvero la premessa è lunghissima? Credevo non ce ne fosse una. In realtà inizio con il descrivere l’ambiente di lavoro del protagonista per meglio caratterizzarlo. Credi sia troppo lungo come racconto? E pensare che io lo considero corto, una short tale, non più di quattro pagine… Forse sono cambiati i parametri, sarà bene che mi informi. Più che pazzia, però, si tratta della sinistra consapevolezza di un pazzo…Ancora grazie per gli auguri, che ricambio sinceramente.

  3. “Criminal minds” è una serie TV che imperversa da anni su Sky. Un team di super specialisti e psicologi del comportamento umano, stana il maniaco di turno, prima che costui uccida l’ennesima vittima. Le situazioni proposte agli incauti telespettatori sono le più inconsuete ed è perciò, dopo aver conoscoiuto Wally ( indubbiamente originale), che ho pensato al telefilm. Nulla di negativo. Piuttosto, riflettendo ancora sul tuo racconto, noto che gli aguzzini del povero Fantozzi la fanno franca, manca un pur breve accenno di condanna del loro disdicevole comportamento che sfocia in un vero e proprio reato di mobbing. Ma qual è in definitiva il messaggio finale: più la vittima è maltrattata, maggiore è il godimento che essa riceve tra le pareti ( è il caso di dirlo) domestiche? L’inizio, per me, è un po’ lungo perché ripetitivo.

  4. Grazie per le informazioni sulla serie tv. Purtroppo, o per fortuna, non ho mai voluto un abbonamento Sky. Il protagonista del mio racconto non è, comunque, un maniaco; più azzeccato, mi sembra, il riferimento a Fantozzi, anche perché da qualche parte ho letto che uno dei riferimenti di Paolo Villaggio scrittore è Gogol, autore che amo leggere e rileggere e che, credo, mi abbia influenzato mentre scrivevo Wally. E’ ovvio che evito qualsiasi confronto. Qual è il messaggio finale? Forse la morale della favola sta nella consapevolezza di Paolo, nella lucida accettazione del suo ruolo di ultimo degli ultimi. Forse non si tratta di un uomo, ma di un simbolo: rappresenta tutti gli ultimi della terra. Per questo, en passant, cito il nome di Tersite. O forse rappresenta la continuità del gioco dei ruoli, che si perpetua nell’eternità, nonostante rivoluzioni e rovesciamenti. La ruota della Fortuna gira, ma sempre nello stesso senso. Sono però convinto che il messaggio, se mai ce ne fosse uno, muti in base al lettore di turno e sia indipendente da quello dello scrittore, sempre che ne avesse uno in mente mentre scriveva. Per quanto riguarda l’inizio, volevo che fosse chiaro l’ambiente, il contesto lavorativo. Chiaro e surreale ad un tempo. Comunque grazie per le tue considerazioni, credo ne sia uscito fuori un bel confronto. Devo dire che mi piace rispondere a domande e commenti come se fossi un vero scrittore.

  5. L’autore possiede una buona capacità di usare il mimetismo per dare al suo racconto lo stile più adeguato al contenuto. Simpatica affabulazione!

  6. anche in questo racconto matteo tella si dimostra un narratore originale dove ill grottesco assume dimensione quasi poetiche sia pure di un genere nuovo che, se mi si permette l’azzardo, definirei, in salsa belushiana, lirico dementziale. Non è facile inventarsi un genere, Tella ci prova e,comunque, c’è vicino. Preferisco gli stili, (intendendo per stile la disposizione tout court delle parole,) come il suo, semplice e intenso e avvincente, ma con contenuti che vanno fuoiri dal coro in un mondo appiattito da immagini che non riescono più a stupirci nemmeno nella loro tragica dimensione (itelegiornale docet). Allora, fa bene chi, come Tella,si serve della invenzione off limits per dipingere una dimensione spiazziante. Complimenti.

  7. Mamma mia! Grazie Saverio!! E’ stato con grande piacere e con orgoglio che ho letto il commento!! Non aggiungo nulla per non rovinare il momento. Grazie davvero!!

  8. Grazie per il commento Marco!! Confesso che ho avuto un grosso brivido a leggere il tuo nome: marco TELLA! Parentela o semplice omonimia? ahahah

  9. P.s.brivido perché marco tella era il nome di mio zio..

  10. Originalissimo, non sono riuscita a staccare gli occhi dallo schermo nemmeno un secondo, specie da quando viene nominata Wally 😉 dispiace giusto che l’unico un minimo rispettoso verso Paolo debba poi diventare un ultimo come lui!

  11. Grazie Cinzia!! Sono contento che risulti originale!! Si, finale amaro per il povero Alessio..grazie ancora!!

  12. Da Matteo a Matteo davvero bravo.. Poetico e scorrevole, magnetico e intrigante.. Bravo

  13. Grazie Matteo, sono contento ti sia piaciuto!!

  14. Mi ha ricordato un aforismo del grande scrittore pessimista Albert Camus: “C’è la bellezza e ci sono gli umiliati. Qualunque difficoltà presenti l’impresa, non vorrei mai essere infedele né ai secondi né alla prima.”. Bello, carico, complimenti!

  15. Grazie Valentina!! Anche tu hai citato uno fra i miei scrittori preferiti, e la frase che hai riportato, che, confesso, non conoscevo, è bellissima e profonda! Grazie ancora!!

  16. Bello, mi è piaciuto molto! Lo stile di scrittura è quello che preferisco, ironico e diretto. Ho tentennato un po’ a commentarti perché anche se la lettura mi è apparsa subito molto interessante, quando sono arrivato al finale, mi sono sentito leggermente spiazzato. Poi ci ho riflettuto su molto e sono giunto alla decisione che la fine è perfetta per il tipo di racconto, è esattamente come doveva essere. L’espressione “I Tersite della terra” è un tocco di classe. Complimenti!

  17. Grazie Alessandro!! Anche per averci riflettuto. Che il finale spiazzi mi piace. Grazie anche per aver apprezzato i Tersite della terra!! Grazie ancora!!

  18. Wow! Che talento! Scrivi, Matteo, scrivi! E regalaci altre pagine magnetiche. Non vorrei aggiungere altro ma non resisto alla tentazione di complimentarmi per la scelta del nome Wally… perfetto! Insieme ad altri azzeccatissimi appellativi mi fa sospettare una tua ottima conoscenza della lingua inglese. E riguardo Paolo… in cuor mio desideravo che lo assistesse una creatura ultraterrena, nella peggiore delle ipotesi magica (scusa per la mia deformazione mentale), ma in fondo speravo nella sorpresa. Non mi hai delusa! Bravo.

  19. Grazie Marcella!!! Non sai che piacere leggere il tuo commento!! Alla parola talento sono arrossito imbarazzato,davvero grazie!! E meno male che non hai resistito alla tentazione di commentare il nome Wally! Mi fa piacere che lo abbia apprezzato. Sulla mia conoscenza dell’inglese, si può sempre migliorare..però devo dire che mi piace la lingua per l’immediatezza, e poi forse anche per motivi affettivi..mia madre è docente di inglese. Che dire ancora..ah si, grazie anche per aver svelato il segreto del nome del cucciolo di dinosauro Aluc, protagonista del tuo racconto!! Adesso è ancora più tenero!! Di nuovo grazie!

  20. Complimenti Matteo,, un racconto che ho letto tutto d’un fiato, è uno dei generi che amo di più, l’inizio un po’ lunghino per me è necessario per delineare meglio il protagonista, la descrizione del viaggio fino alla casa di Paolo, poi, mi ha appassionato molto…..BRAVOOOOO!!!

  21. Grazieee Caterina!!! Sono contento ti piaci il genere, e anche il fatto che l’abbia letto d’un fiato mi fa piacere, è quello che speravo mentre scrivevo. Sull’inizio hai colto in pieno il mio intento, grazie anche per questo!!! MERCIIIIIIII!!!!

  22. Molto originale nel tema, nella scelta dei termini, con uno stile brioso.Forse, come già alcuni hanno osservato avrei tagliato un po’ la prima parte per entrare subito nel vivo. Bravo, auguri per il concorso.

  23. Grazie Francesca per le belle parole!! Sono contento che il racconto ti sembri originale, e soprattutto lo stile brioso. Per quanto riguarda l’inizio, avrei potuto tagliarlo un po’, però mi sembrava utile per incorniciare meglio la vicenda. Grazie ancora Francesca e auguri anche a te!!

  24. Rileggendo i commenti al mio racconto, per puro narcisismo:), mi sono accorto di un errore imperdonabile da parte mia..in una risposta ho scritto sono contento che ti piaci…volendo invece dire sono contento che ti PIACCIA..:(..approfitto per augurare a tutti voi buona fortuna per il concorso e ringraziarvi per le piacevoli letture dei vostri racconti. In bocca al lupo!!!

  25. Ciao Matteo, trovo il tuo racconto inquietante. Questo racconto stile ‘Stephen King’ mostra gli effetti della violenza ‘psichica e fisica’ sulle persone. Prima c’è la cattiveria continua dei colleghi nei confronti di Paolo e poi quella su Alessio derivata dall’allucinante visione di Paolo che vive in casa uno stato di follia, forse per riequilibrare lo stato di sottomissione che assume in ufficio. Infine davanti a Wally, icona dell’assurdità, Paolo avvia il giovane Alessio al ruolo di reietto, identico al suo.
    Sembra che la bontà e il rispetto per le persone rendano deboli gli individui che subiscono le angherie dei violenti.
    Emanuele.

  26. Grazie mille Emanuele per il commento. L’ho trovato calzante, getta luce su ulteriori aspetti del mio racconto. Tante interpretazioni quanti lettori: credo sia questa la cosa più bella di scrivere e farsi leggere. Devo dire che la tua analisi mi piace molto! Grazie ancora!!

  27. Leggendo il tuo racconto capisco perchè hai apprezzato il mio. E’ una interessantissima analisi di tipo sociologico, l’alienazione in cui alcune persone si trovano a vivere, una fuga da un mondo in cui non sono accettati. Ci sono bambini che si creano l’amico immaginario, ci sono adulti che si creano mondi paralleli o wally. La costante è un mondo che non vuole capire tutte le sue infinite forme. Bravissimo.

  28. Grazie Matteo!! Hai usato la parola esatta, allucinazione. Si, effettivamente ho trovato punti di contatto fra il tuo racconto e il mio, credo che la partenza per entrambi sia stata l’osservazione della realtà, successivamente rielaborata. Grazie ancora!!

  29. Ciao Matteo, ho riletto il racconto ancora un paio di volte per prendere contatto con le emozioni che mi trasmette il testo. Ho trovato belle espressioni (l’ultima: “lentamente scivolò come liquefatto”); congrue sono le descrizioni dell’ambiente di lavoro (con le personalità dei vari colleghi) e della geografia urbana. Ho provato inquietudine, penso, perchè vedo prevalere l’isolamento dell’individuo (è un certo tipo di solitudine porta alienazione) mentre l’uomo buono non ha la forza o la voglia di incidere sulla realtà.
    Complimenti per l’uso della penna e della tastiera.
    Ciao.

  30. Ciao Emanuele, grazie per aver riletto e ricommentato il racconto, per aver sottolineato le espressioni che più ti hanno colpito e per i complimenti!! Alienazione è un’altra parola chiave. Grazie mille!! Ciao

  31. E’ molto inquietante, ricco di suspence… Mi è piaciuta la descrizione del viaggio verso la casa di Paolo, che mostra il passaggio dalla società, luogo dove gli altri hanno il controllo su Paolo, all’appartamento del protagonista che è impregnato della sua follia, e dove è lui ad avere il controllo sul mondo..
    Bravo!

  32. Grazie Ilenia per aver letto e commentato! E soprattutto per la tua interpretazione del viaggio a casa di Paolo, acuta e profonda. Effettivamente volevo descrivere il passaggio da un ambiente normale ad uno totalmente straniato e allucinato. Mi fa davvero piacere che lo hai sottolineato, grazie ancora Ilenia!!

  33. Caro Matteo, non so cosa dire. Non posso negare che sia un racconto scritto male, anzi. Non posso dire che non mi piaccia, ma faccio fatica ad ammettere che mi abbia lasciato scosso da grande soddisfazione. E’ uno di quei racconti che ti vien voglia di far leggere a qualcuno, attendendo il suo commento per vedere se ti aiuta a prendere una decisione definitiva. L’impressione è che tutto sia stato ad arte esacerbato di proposito. Il personaggio inquieta ed è uno di quelli che speri di non incontrare mai. Lo ambienti nello squallore e il lettore trova ciò assolutamente scontato, fai solo finta di fargli perdere quella pazienza che ognuno si aspetta perda, alla fine lo sveli un insospettabile e cervellotico giudicatore d’animi. Porti il lettore a pensare che lui non sarebbe mai riuscito a riconoscere un ‘alter ego’ con tanta precisione e per questo lo spiazzi, un pò come sta capitando a me. Piacere di averti letto comunque, con la voglia di vedere se scrivi solo così o si tratta di un esperimento. Con stima, Brunello

  34. Ciao Brunello, grazie per aver letto e commentato..beh..ma è chiaro che è stato tutto esacerbato ad arte. Comunque..se l’esagerazione è il difetto principale del racconto non me ne preoccupo affatto..se fosse scritto male, quello si che sarebbe un problema, ma Tu mi garantisci che non è così. Nella mia concezione di scrittura l’esagerazione, lo sconfinare in terre allucinate e diverse, e forse improbabili, non è un problema. Esacerbare di proposito, come dici Tu, è un modo, uno stile, per focalizzare l’attenzione su una situazione ingigantendola, cercando la dismisura, il paradosso, per trovare, infine, la realtà. Non devo dirlo io, ma una novella, un racconto non è la narrazione scarna di un dato reale, ma è una rielaborazione ad arte, che può essere realistica, magica, fantastica, vitalistica e chi più ne ha più ne metta. Come dici lo squallore in cui vive il protagonista è scontato, ma trattandosi di un racconto breve avevo bisogno di essere conciso, e poi lo squallore lo cerca lui stesso, cosa, credo, non così scontata. Cervellotico però proprio non è. Faccio solo finta di fargli perdere la pazienza..credo non si tratti di finzione, è che il personaggio, per come l’ho pensato e caratterizzato, non può arrabbiarsi; lui è consapevole del suo ruolo, è convinto di appartenere ad una razza precisa, quella degli ultimi, degli emarginati. Come sia approdato a questa convinzione assurda non è dato sapere, ma nel corso del racconto mi sembra di essere riuscito a farlo agire coerentemente con il suo modo di vedere il mondo, con la sua Weltanschauung, per usare una parola forse fuori luogo in questo contesto. Per concludere, sulla questione dell’alter ego: credo sia l’esito naturale, perché Paolo, credendo di appartenere ad un gruppo di uomini con un compito preciso, non pensa di essere solo, l’unico ad assolvere ai compiti di cui sopra. Il finale è un po’ il prolungamento della sua mente allucinata, e spiazzare era uno dei miei intenti con questo finale, quindi sono contento che abbia spiazzato anche Te. Il colpo di scena, l’effetto, l’originalità, per me sono fondamentali in un racconto breve come questo. Perdonami la lungaggine Brunello, ma mi piace scambiare opinioni sulla scrittura e spiegare, laddove posso, il motivo di una mia scelta narrativa, diciamo così. Passami la battuta, non resisto, e Ti dico che scrivo anche peggio di così..:) Tentazione troppo forte..ciao Brunello, grazie ancora per il tuo tempo e per la dettagliata analisi

  35. P.S. ho dato per scontato che volessi scrivere “non posso AFFERMARE che sia un racconto scritto male, anzi.” invece di “non posso NEGARE che sia un racconto scritto male, anzi.”, spero di non aver peccato di superbia 🙂

  36. Hai ragione, sarebbe stato più giusto “affermare”, ma non occorre superbia per afferrare il senso di ciò che spontaneamente hai compreso. In verità mi è scappato un “male” in luogo di un “bene”. Brunello

  37. Mi ero ripromessa di leggere il tuo racconto ed eccomi qui.Che dire?Inizialmente si prova pietà e rabbia , avrei voluto urlare ai colleghi stupidi, poi la prospettiva cambia improvvisamente e ci trova in casa di un pazzo psicopatico.Bello amo i racconti non scontati e in continua evoluzione.Solo due domande, mi perdonerai, amo il genere giallo e l’ ispettore che c’è in me fuoriesce:non mi è chiaro perchè a Wally piaccia essere un reietto, è pazzo o c’è una spiegazione più introspettiva?E perchè il povero Alessio è la vittima predestinata?Chi è diverso dagli altri viene condannato?Grazie in bocca al lupo

  38. Ciao Francesca, grazie per aver letto e commentato!! Dunque, per quanto riguarda le tue domande da ispettrice 🙂 ..non ti so dire bene se a lui piaccia essere un reietto, se è un pazzo e basta..secondo me qualcosa in passato può aver spezzato il suo equilibrio..o forse è sempre stato maltrattato, fin da bambino, a scuola, in famiglia..certo, prova un certo piacere ad essere schernito e dileggiato, e sta male quando lo lasciano in pace..in lui domina la consapevolezza di essere uno degli ultimi della terra..di fronte alla realtà è senza spiegazioni..la osserva, non la capisce, e allora elabora una filosofia degli ultimi..ci sono le persone e ci sono i ruoli..quello che il destino ha stabilito dovesse essere il suo, è il più spiacevole fra tutti i ruoli possibili..ma lo assolve con solerzia e oserei dire con capacità..effettivamente deve essere pazzo a ragionare così..posso dire che mi interessava molto l’effetto finale, e alcuni tratti del protagonista li ho sviluppati in funzione dell’epilogo..Alessio invece si ritrova coinvolto in questa follia perché non dimostra la necessaria crudeltà..non si adegua fino in fondo agli altri e questo Paolo lo nota..per cui lo interpreta come una minaccia che potrebbe rovesciare le relazioni precostituite..allora decide di metterlo a parte del suo segreto, come per spaventarlo..questa è una spiegazione, ma non è di certo l’unica..credo che non ce ne sia mai una soltanto..che poi quella dell’autore debba essere la spiegazione esatta, è tutto da dimostrare..non è detto..magari chi legge va oltre quello che era l’intento dello scrittore e scopre verità più profonde..questa clausola la pongo un po’ perché ci credo davvero, e un po’ per tutelarmi nel caso le mie risposte siano poco soddisfacenti..diciamo un po’ da parac..o 🙂 ti ringrazio tanto Francesca per aver apprezzato il mio racconto e per avermi permesso di approfondire ulteriormente, al più presto cercherò di recuperare e di leggere il tuo lavoro..ciao Francesca, in bocca al lupo anche a te!!

  39. Fantastico!!!Geniale!!!!! Questo racconto è una parabola marcusiana sui mali della società capitalista moderna basata sulla repressione, quest’ultima generata dalla sostituzione del “principio di piacere” con quello che Marcuse definisce “principio di prestazione”, ossia ciò che “si deve fare” a causa del proprio ruolo nella società e che quest’ultima si aspetta dall’individuo; la repressione attuata attraverso questo principio è strettamente connessa alla stratificazione sociale e alla divisione del lavoro, generando quelle forme di nevrosi e di alienazione che caratterizzano le società moderne. Nel suo racconto il Tella descrive questo meccanismo con eccezionale originalità ed efficacia, riuscendo inoltre a catturare fino in fondo l’attenzione e la curiosità del lettore grazie all’accuratezza delle descrizioni,all’immediatezza e alla genuinità dei dialoghi e all’imprevedibilità delle situazioni, promuovendo così, per certi aspetti, anche un accostamento cinematografico a due film per me eccezionali come “Arancia Meccanica” di Kubrick e il (purtroppo) meno noto “Fango Bollente” di Vittorio Salerno,depurati ovviamente dalla componente violenta: in ogni caso la mia è solo una personale interpretazione volta a sottolineare il talento del Tella e pertanto spero venga apprezzata dal “nostro” bravissimo e preparatissimo scrittore.Racconto spettacolare complimenti!!!

  40. Mille grazie Executive Order 11110!! Che parole!! Un commento ricco direi! Non so se il mio racconto lo meriti, ma voglio credere di si, perché è un commento che mi piace troppo! Un’analisi profonda, e, se posso dire, multidisciplinare, multimediale, multipla e molteplice! Dimostri una conoscenza approfondita di Marcuse, e ci sta dentro alla grande il concetto di nevrosi generato dalle società moderne, di cui il mio Paolo potrebbe essere un esempio. Grazie per le belle parole relative al mio stile, sono davvero contento quando riesco a catturare fino in fondo l’attenzione e la curiosità di chi legge. E poi…Arancia Meccanica!! Beh, quello è davvero tra i miei film preferiti, non posso dire se è il mio preferito, perché essendo un grande appassionato di cinema mi risulta impossibile indicarne uno solo: subito dopo me ne viene in mente un altro e mi dispiace non averlo menzionato per primo. Però è tra i primi dieci senza dubbio. Di quel film mi piace tutto, dalla fotografia alla scelta delle musiche, dalla recitazione alle scenografie, dall’ambientazione all’uso della lingua, e potrei continuare all’infinito. Ma la vera chicca del commento è certamente “Fango bollente”! Pensavo di essere uno dei pochi, assieme ad alcuni amici appassionati come me, ad averlo visto. Non è stato facile trovarlo, e la spinta a cercarlo è stato il commento di un nostro amico che lo vide per caso: lo giudicò l’Arancia Meccanica italiano. Fino ad allora non ne avevo nemmeno sentito parlare. Come dire, tutto torna? Incredibile!! La tua interpretazione personale spero diventi al più presto universale 🙂 Grazie ancora di cuore, in particolare per parole quali originalità, efficacia, immediatezza, genuinità, imprevedibilità, e talento, ma anche le altre, e soprattutto per l’articolo davanti al mio cognome, il Tella, del Tella!! Come il Manzoni!! Come vedi il tuo commento ha esaltato il mio ego, forse u po’ troppo, però è bello a volte esaltarsi 🙂 Grazie per avermelo permesso Executive Order 11110(interessante nick name ed enigmatico)!!

  41. Ciao Matteo,
    Sono entrato per caso in questo sito ed ho letto un po’ di racconti, più di tutti, per lo meno tra quelli che ho scelto di leggere, mi ha colpito il tuo. Una potenza sconcertante nella mente di uno psicotico, così definirei rispettivamente Wally e Paolo. E ciò che mi ha più inquietato è il ruolo affidato all’arte, arte vista a parer mio come il demoniaco che plagia l’uomo ogni giorno. Nessuna opposizione può il neofita Alessio, si adeguerà a quel flusso malefico. Altro aspetto su cui riflettere che rende il tuo racconto più concreto di quello che può apparire è la presunzione dell’uomo moderno di fermarsi alle apparenze senza avere ne la forza ne soprattutto la curiosità ( intesa nel senso più omerico del termine ) di squarciare il velo. I colleghi di Paolo non hanno mai lo spunto di scandagliare il suo strano mostrarsi, è più facile per tutti schernirlo e definirlo come psicotico. Una psicosi in effetti c’è ma non è quella che tutti credono di aver individuato, è un male molto più profondo. Ho apprezzato inoltre il tuo incedere scientifico e il taglio ironico che mi è sembrato davvero estraniante per me lettore. ma non mi dilungo troppo, piuttosto ti faccio i miei complimenti Matteo.

  42. Ciao Rocco, grazie mille anche a te!! Aggiungi un’ulteriore interpretazione del mio racconto e la trovo davvero acuta! Fino ad ora era rimasto un po’ in secondo piano il ruolo del disegno, dell’arte, come dici tu. La definizione che dai di Wally e di Paolo la faccio mia e mi riprometto di utilizzarla alla prima occasione! 🙂 Mi piace molto quello che dici sull’assenza di curiosità da parte dei colleghi di Paolo; sono felice che questo aspetto renda il tutto più concreto. Grazie molto anche, soprattutto, per l’ultima frase intorno al mio stile, all’incedere scientifico e al taglio ironico che estrania chi legge!! Di nuovo grazie Rocco!!

  43. Trasmette un’inquietudine profonda….
    Molto ben costruita l’ aspettativa nella narrazione, e comunque è a doppio senso: città, donna, lavoro sono evidentemente metafore. —
    Auguri per il tuo futuro narrativo!!

  44. Grazie Alice per aver letto e commentato questo racconto, e per la tua analisi. Ricambio gli auguri e ti rinnovo i complimenti per il racconto “Ballata di Agostino”!

  45. Ciao Matteo, bravo. Il racconto mi è piaciuto anche se trasmette inquietudine. L’ironia è ben gestita. Mi è piaciuta analisi di tipo sociologico: l’alienazione e la fuga da un mondo in cui non si è accettati. Tanti adulti, soprattutto oggi, si creano mondi paralleli o wally. Bravo.

  46. un caso di psicosi da manuale, con perdita dell’esame di realtà : Paolo si distacca da un mondo che non vale neppure il dolore di viverlo e crea Wally.
    Un’umanita’ disperata condannata all’infelicita’ sullo squallido sfondo di un ufficio popolato da bestie in carriera, i peggio disperati. Spero Alessio scappi e corra lontano dai colleghi, e da Paolo, ma non dimenticando il rispetto per la divinità minore Wally, in fondo Madonna consolatrice. Che dire? bravo Matteo. A proposito, mi ha ricordato Willy, il mio coniglio rosa gigante. E’ un caro amico :), vado a dargli un po’ di pappa 🙂

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