Premio Racconti nella Rete 2013 “Il muro sul confine” di Luca Giuliano
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Ogni estate della sua infanzia l’aveva trascorsa in quel pugno di case sperduto tra i boschi dell’Appennino. Il Borgo. Puntualmente, il primo di Giugno suo padre si metteva al volante della Fiat 1100 grigia con sua madre a fianco e lei, figlia unica, seduta dietro. Di buon’ora si lasciavano alle spalle la città per arrivare, dopo chissà quanti chilometri, a quel bivio dove un cartello solitario indicava la deviazione per “Borgo”; lassù era nata sua madre e lassù ancora abitavano i nonni. Un’altra mezz’ora di strada, una strada in salita e tutta curve tra querce e castagni poi, all’improvviso, proprio quando sarebbe venuto spontaneo chiedersi se per caso non ci si fosse perduti, ecco il gruppo di case in pietra. Ecco “Borgo”. Ogni estate della sua infanzia l’aveva trascorsa lì, con nonna Adele e nonno Mario tra odori e sapori prepotenti che aggredivano i sensi, cani scodinzolanti, gatti indolenti e storie di magia. Ogni estate così, vivendo giornate che sembravano non finire mai. Mesi che sembravano non finire mai. Poi, non appena i colori dell’autunno incominciavano ad impadronirsi di quei luoghi, il ritorno in città. “Meglio così, Linda” le diceva sempre nonna Adele il giorno prima della partenza ”qui l’inverno non scherza, non è posto per una bimba graziosa e delicata come te” Meglio la città. In città c’è tutto, in città puoi studiare, farti una posizione, diventare qualcuno, sistemarti insomma…Non come a Borgo… Meglio la città. Ma, in inverno, lei contava i giorni che la separavano dal primo di Giugno, pensando e ripensando all’estate passata nella quiete assoluta di quei boschi sconfinati, quasi impenetrabili e, bisognava ammetterlo, anche un poco inquietanti ma lei, in quel posto dove gli echi del mondo sembravano arrivarci per caso, si sentiva felice, di una felicità semplice, immediata, totale. Quel gruppo di case le aveva sempre fatto l’effetto di una specie di isola in mezzo ad un mare verde. Un’isola sperduta, ma sulla quale lei si sentiva protetta. L’ultima estate che aveva trascorso a Borgo fu l’estate della disgrazia, perché una bambina della sua stessa età e chiamata, proprio come lei, Linda, era finita non si sa bene come dentro un pozzo e vi era annegata. La sera del funerale, dopo cena, nonna Adele era salita in camera da lei, si era seduta sul letto e accarezzandole il viso le aveva domandato: ”Stai pensando a Linda, vero?” Lei, con le coperte tirate fin quasi agli occhi aveva fatto sì con la testa, senza parlare. Allora sua nonna, dopo un momento di esitazione, aveva guardato in direzione della finestra e le aveva detto: ”Stanotte è notte di luna piena e dalla finestra di camera tua si può vedere la chiesa. Ebbene, se a mezzanotte in punto vedrai la luna ferma sulla punta del campanile, vorrà dire che l’anima della tua sfortunata amichetta è entrata in paradiso” Lei aveva guardato prima la finestra, poi la nonna: “Nonna Adele, nonno Mario dice che il paradiso non esiste. Che neanche Dio esiste” Nonna Adele era rimasta qualche istante in silenzio poi aveva sorriso e aveva risposto: ”Tuo nonno ne dice tante di cose…Tu guarda la luna a mezzanotte…” Quindi, dopo averle dato un bacio sulla fronte si era alzata, avvicinata alla porta e, prima di richiudersela alle spalle, mandato un ultimo saluto. Lei, rimasta sola, aveva faticato a prendere sonno.
Era finalmente riuscita ad assopirsi quando improvvisamente i rintocchi campanari l’avevano destata quasi di soprassalto: mezzanotte! Allora era saltata giù dal letto, corsa alla finestra, spalancato le persiane e…incredibile! La luna, quasi vi fosse infilzata, stava esattamente sulla sommità del campanile, come un’aureola sulla testa di un santo. Poi, lentamente, quel disco luminoso aveva ripreso il suo corso mentre lei era rimasta lì, immobile con le mani sul davanzale, gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta per lo stupore ad osservarla allontanarsi tra il luccichio delle stelle. Il tutto nel silenzio più assoluto. Il mattino dopo aveva sùbito raggiunto la nonna in cucina: ”Nonna! Nonna! La luna a mezzanotte era proprio in cima al campanile!” ”Ne sei sicura? Magari hai sognato…” “No, nonna, l’ho vista davvero, giuro!” L’ anziana donna si era allora voltata verso di lei con un’espressione seria: “Bene, allora vuol dire che è accaduto il miracolo!” e senza aggiungere altro le aveva messo davanti una tazza di caffè latte fumante ed un piatto colmo di biscotti fatti in casa. Quella era stata la sua ultima estate a Borgo. L’estate della disgrazia e del miracolo. Gli anni erano passati via veloci. Altre estati, altri luoghi, altra gente. Fino alla morte di suo padre. Lavorava nell’industria, assistente collaudatore o qualcosa del genere. Sua madre sembrava davvero disperata; sempre di più le spese da sostenere, sempre di meno i soldi. Era accaduto tutto all’improvviso e all’improvviso erano arrivati i tempi grami. Comunque, fra mille problemi, era riuscita a laurearsi. Un traguardo, ma presto si accorse di quanto fosse arduo riuscire a trovare un’occupazione soddisfacente. Le pareva che le difficoltà della vita non ne volessero sapere di abbandonarla. Una sera, in casa di amici, conobbe Gigliola. Presero a frequentarsi. Gigliola, l’amica sempre tanto sicura di sé e quella sua proposta buttata lì, a mezza voce, un pomeriggio di pioggia dentro un bar. Accettò. Incominciò così ad incontrare uomini. Incominciò a farsi pagare l’amore. Una volta, due volte… sempre. Era caduta anch’essa, come la piccola Linda di tanti anni prima, dentro un pozzo. Poi altri lutti; la morte di nonna Adele seguìta, nemmeno un anno dopo, da quella di nonno Mario e la casa di Borgo in eredità. Adesso stava tornando. Adesso era pieno inverno. Adesso non viaggiava più su di una Fiat 1100 di seconda mano ma al volante di una Alfa Romeo rossa che mangiava rabbiosamente la strada e i boschi che attraversava non l’accoglievano più con il loro fascino ombroso, ma le apparivano come distese popolate da tronchi scheletrici e nerastri che, emergendo dalla coltre di neve, formavano con quei rami protèsi in ogni direzione bizzarri ed inestricabili intrecci. Anche il paese non risultava più celato agli sguardi, come durante la bella stagione, ma appariva e scompariva ad ogni curva. Ad ogni curva più vicino. Arrivò. La minuscola piazzetta, centro del paesino, l’accolse accarezzandole il viso con il vento gelido dell’Appennino. Lei si alzò il bavero del cappotto incamminandosi per la strada principale che, in leggera salita, terminava davanti alla chiesa. Nulla era cambiato. Le insegne dei pochi negozi, il piccolo ufficio postale, la casa comunale con la scritta “ municipio” biancastra e da sempre semi scolorita, la farmacia, l’osteria e quella teoria di vicoletti che, dai lati della strada, portavano a cortili dov’erano i pozzi gli orti e i fienili. Infine la chiesa, con il sagrato a gradoni ed il campanile a sovrastare ogni tetto. Ecco, Borgo era tutta lì. Si fermò davanti a quella che fu la casa dei suoi nonni; rimase un momento immobile di fronte alla vecchia porta di legno scuro poi, vinta l’esitazione, prese le chiavi dalla tasca del cappotto ed entrò.
Tutto come allora. Al primo piano la cucina col grande camino e le pentole di rame, le tende di pizzo bianco, i mobili di legno scuro, la vecchia pendola. Al secondo piano i letti in ferro battuto nero, le foto d’altri tempi, una brocca di porcellana bianca. Tutto come allora. Chiuse gli occhi. Le sembrò di udire il passo deciso e un po’ pesante di nonno Mario e la voce di nonna Adele che la stava chiamando:”Linda…Linda… ma che fine ha fatto la mia piccola Linda?” sempre così all’ora di pranzo, lei che si nascondeva e sua nonna che fingeva di non riuscire a trovarla. Riaprì gli occhi. Vide la propria immagine riflessa nel grande specchio sopra la cassettiera: ”Già… che fine ha fatto la piccola Linda?” Ancora avvolta nel cappotto si sedette sulla poltrona di velluto verde dove sua nonna era solita ricamare poi, improvvisamente e per uno strano gioco della mente, si ricordò del muro. Il muro! Certo, il muro, quello che delimitava il cortile dietro la casa… Quante volte, durante le lunghe estati trascorse a Borgo, le era venuta la curiosità di scoprire cosa ci fosse là dietro ma poi, chissà perché, non lo aveva mai fatto. Si alzò repentinamente, uscì dalla stanza e, quasi correndo, giunse in cortile: il vecchio muro era sempre là. Sembrava l’aspettasse. Si trattava di un vecchio e solido muro di mattoni, lungo quanto il confine della proprietà e alto a sufficienza da impedire a chiunque di vedere oltre. Lei si avvicinò a passi misurati, quasi con timore. Arrivò a toccarlo. Poi fece qualche passo indietro, notò una vecchia e pesante scala in legno adagiata a terra, a ridosso della casa. Non senza sforzo riuscì a trascinarla e sistemarla in verticale. Riprese fiato. Finalmente avrebbe svelato quel mistero che si portava dentro fin da bambina. Iniziò a salire i primi gradini, si sentiva un po’ sciocca, ma in quel momento non avrebbe potuto negare che in lei cresceva una certa emozione; guardare oltre il muro… quasi fosse tornata a Borgo unicamente per quello. In breve giunse in cima. Ad accoglierla, però, trovò soltanto la vastità di un campo completamente coperto di neve. Nulla. Praticamente nulla, se non un’anonima pianura bianca. Oltre il muro non vi era assolutamente nulla. Spaziò oltre, raggiungendo con lo sguardo i boschi spogli arrampicati sulle pendici dei monti, le cui sommità sparivano dentro nubi basse e lattiginose. Restò qualche tempo così, con l’impressione che tutto ciò che aveva davanti altro non fosse che una sorta di rappresentazione della sua stessa vita. Fu scossa da un brivido, faceva freddo. Scese la scala e si allontanò in direzione della casa. Ebbe la tentazione di voltarsi verso il vecchio muro, ma non lo fece. Rientrò. Dopo cena si accomodò nuovamente sulla poltrona di prima. Non voleva pensare a niente. Si sentiva stanca, tanto stanca. Chiuse gli occhi. Dormi, Linda, dormi e sogna. Sei tornata bambina e corri felice in un pomeriggio d’estate tra i boschi dell’Appennino. Corri e ridi. Dormi e sogna. Adesso è mezzanotte ma tu dormi. La luna piena sta sfiorando il tetto del campanile; si tratterà solo di un momento, poi, lentamente, si allontanerà tra le brillanti stelle. In silenzio. Anche nel sogno, i tuoi passi di corsa non fanno nessun rumore.
L.G.
Complimenti! Andando avanti nella lettura cresceva in me la convinzione di come tutto cambi nel rapido volgere di un’ora: le persone, le sensazioni e quindi anche le cose che ci circondano. E poi il ritorno a Borgo, immutabile nel suo isolamento. Forse sbaglio, però ho colto tra le righe il contrasto tra la montagna e la città, luogo, quest’ultima, dove l’incanto dell’infanzia spensierata presto finisce per risolversi in una anonima pianura bianca. Ancora complimenti
Racconto molto denso di fatti e cose, che però mi ha lasciato un po’ d’amaro in bocca. Possibile che la piccola Linda, che cresce in una bella famiglia, a suon di biscotti fatti in casa con amore, si arrenda così facilmente alle avversità dellla vita? E questo suo tornare al Borgo, le offrirà un’occasione di riscatto, come mi pare di cogliere?