Premio Racconti nella Rete 2013 “A passo di danza” di Daria Razzi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013All’entrata del locale aveva cominciato una discussione con l’uomo del guardaroba, pensava che il prezzo per depositare il giaccone dovesse essere compreso nel prezzo del biglietto d’ingresso. Le sue amiche intanto avevano già pagato ed erano entrate. Lei aveva continuato a parlare fino a che uno dei gestori l’aveva accontentata. Succedeva spesso così, piantava piccole o grandi grane, a seconda dei casi e quasi sempre la spuntava.
Era una bella donna, piaceva agli uomini e questi spesso pensano che le belle donne giustamente sono capricciose. Lei non l’aveva avuta vinta solo con due o tre che le erano veramente piaciuti e forse era proprio per questo che le erano piaciuti.
Li ricordava con rancore e con rimpianto per il loro fuggire, per il loro non sottomettersi ai suoi capricci. Al momento era sola e si era fatta trascinare dagli amici in quella sala da ballo, Palácio do Ritmo, trasformatasi così da fabbrica di scatole che era. Erano molto in voga i balli latino-americani ma a lei non piaceva ballare anche se aveva un corpo sinuoso e agile.
Si guardava intorno e provava il solito senso di disgusto, ma questo non trapelava dal suo viso, dai contorni non più nitidi e netti come vent’anni prima. Attirava lo stesso lo sguardo degli uomini appoggiati al bancone del bar o seduti sulle poltrone. Pensò che l’arredamento fosse veramente terrificante. Era in stile composito, spaziava dalla tenda dei tuareg, evocata dalla copertura della pista da ballo, fino alla Grecia classica, nelle colonne e nei capitelli che delimitavano lo spazio -pizzeria. Napoli e le sue suggestioni invece apparivano nelle stampe sui muri, nelle reti da pesca con stelle e cavallucci marini appese alle pareti. Nella zona bar c’erano nomi scritti in spagnolo e portoghese, che trasportavano in luoghi esotici dove si potevano bere bibite altrettanto esotiche. Pensò che se avesse voluto battere la testa sul muro non avrebbe trovato neppure un piccolo spazio libero.
Sui divanetti e sulle poltrone dormivano bambini piccoli, nella musica ad alto volume, mentre i genitori tentavano i vari ritmi. Forse avevano passato il pomeriggio di quel sabato appollaiati sui carrelli di qualche supermercato, passando attraverso il labirinto delle varie scaffalature. Il loro vero divertimento era quando si incontravano con altri bambini nella stessa posizione, allora era il momento degli sguardi incuriositi, ostili, sorridenti a seconda del momento o dell’umore. Qualche volta allungavano le mani per toccarsi…. ridendo per quelle fuggevoli amicizie. Lei, osservandoli, si chiedeva spesso quale tipo di adulti sarebbero diventati.
I bambini continuavano a incuriosirla ma non ne aveva voluti. E poi non avrebbe sopportato dei bambini “carrellati ” come quelli.
Aveva continuato a dilapidare schiere di corteggiatori con la grazia, il distacco e l’indifferenza degli aristocratici di un tempo, capaci di perdere patrimoni in un momento sul tavolo verde di qualche casinò.
Da un po’ di tempo il ballo si era fermato ed un intrattenitore procedeva alle operazioni della tombola o bingo. Fu attirata dalla sua voce e nonostante la miopia cronica lo riconobbe subito.
Le venne in mente all’istante un bacio, di sera, sullo sfondo i torricini del palazzo ducale, slanciati ed eleganti nel cielo scuro, rischiarati appena dalla luna che ne delineava i contorni. Un momento di vero incanto e di bellezza che ritornò in un attimo e la invase, avvolgendola e riscaldandola all’improvviso come se passasse dal freddo di una strada invernale in una stanza calda ed accogliente.
Anche l’uomo, tra l’estrazione di un numero e l’altro, la vide e la riconobbe. Pensò che ancora, come una volta, non passava inosservata. Chissà, forse con lei le cose sarebbero potute andare diversamente. Da piccolo industriale di scatole a intrattenitore di balera, ma era pur sempre il proprietario, forse più bravo in questo lavoro che nell’altro. Sua moglie lasciandolo gli aveva urlato “Sei un buffone, mi hai rotto le scatole con le tue scatole… “.
Continuarono a fissarsi per tutto il tempo del gioco e della distribuzione dei premi, poi lui scese da palco e mescolandosi ai ballerini che avevano nuovamente riempito la pista, cominciò a dirigersi verso di lei. L’orchestra” Sabrina y los amigos” aveva abbandonato la musica latino-americana per un allegro fox -trot, una coppia più disinvolta e divertita delle altre si lasciava andare a movenze esagerate. Anche lei si era alzata in piedi e stava andando verso di lui.
La musica ora era veramente coinvolgente e inusuale, non poteva camminare senza seguire con il corpo e con i capelli il suo ritmo. Ricordò il nome di lui, Primo Primavera, veramente orrendo. Era questo uno dei motivi per cui l’aveva rifiutato. Non ricordava più gli altri. Allora non avrebbe mai potuto mettersi con uno che aveva questo nome. Primo Primavera, il suono offendeva il suo senso estetico.
Cominciò a sorridere, non tanto all’uomo che stava per incontrare ma al suo ricordo. Ora erano uno di fronte all’altro, le coppie dei danzatori avevano lasciato un varco.
Le loro mani si tesero per toccarsi.
Quando l’attesa e il tempo ammorbidiscono gli spigoli del passato. Sottilmente ironico di quell’autoironia che spesso, quando c’è, rende gli ultracinquantenni speciali. Molto piacevole la descrizione ambientale.
Quando si dice che “il peggior furto è l’età” è vero solo in parte. Si guadagna in saggezza e davvero si vedono le cose con altri occhi. Peccato perchè non sempre l’attesa è piacevole! Per la protagonista sarà comunque piacevole il seguito. Mi piace il tuo racconto. Vero com’è vero il tempo che ridisegna fatti e persone con altre tinte, per chi vuole e può vederle. Brava!
Lieve l’ambientazione che ci trasmette con ironia il senso del tempo che fugge , che ci e’ fuggito e non sappiamo bene perche’. Bello il paragone tra il tavolo verde e la sfera sentimentale : e’ imperdonabilmente vero che si perdono patrimoni economici e affettivi con la stessa rapidita’, con la stessa leggerezza. Speriamo che la protagonista qualcosa possa recuperare, “forse, ma forse, ma si”. Complimenti Daria!