Premio Racconti nella Rete 2013 “La solitudine dei numeri 1” di Damiano Battistoni
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013È una bellissima giornata di primavera inoltrata. Oggi si gioca il derby, e lo stadio è alla massima capienza. Rombi di tamburi e di cori arrivano fin dentro lo spogliatoio. L’allenatore dà le ultime raccomandazioni, urla qualche nome, dispensa strizzate d’occhio, pacche sulle spalle al giovane che esordisce proprio oggi. La porta dello spogliatoio si apre, si affaccia un giornalista, l’allenatore bestemmiando nel suo dialetto lo spedisce via senza tanti complimenti, tra le risate di tutti. La mia muta è al solito posto, pronta a essere indossata, e come sempre il numero 1 ancora oggi come la prima volta mi trasmette un amorevole tuffo al cuore. Gli scarpini tirati a lucido stanno sotto la sedia. Oggi sono particolarmente contento, perché mi sono ricordato, in qualità di capitano della squadra, di fare i complimenti a Pippo, il nostro fedele magazziniere, per il bel lavoro che fa, da sempre e per tutti, e ho visto che ha particolarmente apprezzato. Nello spogliatoio c’è chi parla per scaricare la tensione, chi scherza, chi ride, o chi come me preferisce tacere, concentrarsi sulla partita. L’odore di olio di canfora per scaldare i muscoli si mischia al profumo dell’erba tagliata di fresco, che ci è rimasta attaccata sotto le scarpe, dopo che siamo andati a “saggiare” il terreno appena il pullman della società ci ha sceso allo stadio. Finalmente inizio a spogliarmi…
Possibile? di nuovo?! sempre la stessa storia: una volta mi metto la maglietta che inizia a farsi piccola sempre più piccola al punto che rischio di soffocare, chiamo urlo ma nessuno mi sente, eppure stanno tutti qui intorno a me; un’altra indosso gli scarpini, ma sono entrambi dello stesso piede, e intanto i miei compagni sono già scesi in campo; alle volte trovo gli scarpini di riserva, quelli che uso durante gli allenamenti, ma al posto dei tacchetti hanno rotelle per pattinare; altre ancora faccio per infilarmi i guanti, ma ne ho perso uno, e intanto fuori sento che ha iniziato a piovere e tuonare… niente, ogni volta è sempre la stessa storia: non mi riesce più di arrivare a giocare, e vorrei gridare dalla rabbia, fino a quando, finalmente, la tortura ha fine, e mi sveglio, e a fatica alzo le mie vecchie e scrocchianti ossa (tanto so che per la rabbia non riprenderò più sonno), e nella notte, in una strada male illuminata e solitaria, esco a fare quattro passi in compagnia del mio cane; e perché no magari ogni tanto a suonare pure qualche campanello, contro chi ancora riesce a fare bei sogni…
Davvero bello e scritto molto bene. Complimenti!
bel racconto. scritto bene. introspettivo: con la scusa di parlare di calcio si parla anche di altro: la metafora sulla parabola ascendente della vita che inevitabilmente tocca tutti… il triste è quando ci tolgono anche i sogni.. complimenti.
Alessandra, grazie di cuore per i complimenti.
Grazie paolo, soprattutto per avere così ben letto quanto ho cercato di mettere tra le righe. Complimenti a Te. Ciao a tutti e due.
È proprio bello e l’idea di suonare il campanello contro chi ancora riesce a fare bei sogni è amara e tristemente divertente. Mi piace il tuo modo di scrivere.
Grazie Silvia, grazie per gli apprezzamenti e complimenti a Te per la sensibilità nell’aver colto la “amarezza” del finale. Ciao.
Racconto che prende in contropiede, e non solo perché si gioca a calcio. Bel calcio di rigore. A parte la muta della prima parte, invece di tuta, che mi aveva depistato verso un sub. Però trovo un po’ curioso, o forse beato lui che ne ha ancora la forza, che se ne vada in giro, con le ossa scricchiolanti, a suonare i companelli come farebbe un monello.