Premio Racconti nella Rete 2013 “Se apro gli occhi” di Federica Politi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Ricordo il giorno in cui sei nata. Lo ricordo come fosse oggi, come fosse ora. Invece sono passati sedici anni. Era un caldo giorno d’estate. Afoso. Ci sono volute più di dieci ore prima di vederti nascere. Poi, la notte, c’è stato un violento temporale. Il mattino seguente, l’aria era cambiata.
Se chiudo gli occhi posso sentire indistintamente il tuo primo grido, posso sentire il peso del tuo corpicino sul mio petto, posso sentire il tuo piccolo cuore battere forte, le tue minuscole manine sfiorare la mia pelle.
Se chiudo gli occhi posso vedere i tuoi occhi neri nell’attimo esatto in cui, per la prima volta, hanno incrociato i miei. Avevi uno sguardo liquido, profondo, impenetrabile, come due pozzi scuri. Per mesi ti avevo sentito crescere dentro di me, avevo imparato a conoscerti in base ai cambiamenti che il mio corpo faceva per accogliere il tuo che si stava formando. Avevo a lungo fantasticato su come saresti stata. Ho contato i giorni, i mesi che ci separavano. Poi all’improvviso sei arrivata, un mese in anticipo sulla fine della gravidanza. Forse avevi la mia stessa voglia di conoscerti, forse è solo qualcosa a cui io voglio credere.
Se chiudo gli occhi riesco a rivivere i primi attimi della nostra vita insieme: mi sentivo sopraffare dalla gioia. Poi, man mano che i giorni passavano, sentivo un senso d’inadeguatezza accompagnare ogni mio gesto. Tu eri così piccola e a me sembrava di sbagliare tutto, di non essere in grado né di cambiarti, né di allattarti. Mi veniva da piangere continuamente: ho ingoiato tante lacrime per non farti sentire quanto mi sentivo sbagliata. I mesi sono passati. In un modo o nell’altro sono riuscita a sciogliere i miei dubbi, a superare le difficoltà, a controllare l’ansia che minacciava di divorarmi ogni volta che ti sentivo piangere.
Se chiudo gli occhi posso sentire la tua vocina chiamare per la prima volta “Mamma”; posso vederti, traballante, muovere i tuoi primi passi verso di me; posso vederti il primo giorno d’asilo, per mano alla suora, con il ciuccio in bocca, il ciuffo di riccioli sfatto, e quei due grandi occhi bagnati di lacrime per la paura che ti avessimo lasciato lì. Quando mi hai vista arrivare, mi sei corsa incontro, e hai capito: hai capito che io sarei sempre venuta a riprenderti, che non ti avrei mai lasciato da sola.
Se chiudo gli occhi posso sentire la tua vocina, mentre facciamo una passeggiata, sfiorare le mie orecchie; posso vederti, un giorno qualsiasi prima di entrare a scuola, con il tuo grembiulino bianco, salutarmi dal cancello con un gesto, senza mai smettere di guardarmi. Posso vederti seduta al tavolo vicino a me, in una fredda giornata d’inverno, mentre ti aiuto a fare i compiti e tu non vuoi che mi alzi per nessun motivo: reclami tutta la mia attenzione.
Se chiudo gli occhi, vedo una bambina che adora la sua mamma.
Se chiudo gli occhi vedo una mamma che ama la sua bambina.
Se apro gli occhi vedo mia figlia in un letto d’ospedale. Almeno mi sembra che sia lei: stento a riconoscerla. È così cambiata. È immobile. Ha una flebo attaccata al braccio. Sembra dormire. Sono qui seduta da un tempo che mi pare infinito e lei non ha mai aperto gli occhi. Ha lasciato che fossi io a tenerli aperti, mi ha obbligato a guardarla. Mi ha obbligata a vedere ciò che stava succedendo.
Se apro gli occhi vedo mia figlia, seduta al tavolo, tra me e suo padre, che ci guarda con un’espressione indecifrabile. Tiene la forchetta tra le dita, ma non la usa. Sposta la carne da un lato all’altro del piatto. Poi, stufa, inforchetta due pezzi di carota. Li porta alla bocca. Li mastica. Li mastica ancora. Finalmente li ingolla. Si alza senza dire niente, lasciando tutto lì. La vedo che entra in bagno. Dopo qualche minuto la vedo uscire. Mi sembra che abbia gli occhi rossi, come se avesse pianto, ma non ne sono certa, cammina a testa bassa e si rinchiude subito in camera.
Se apro gli occhi vedo mia figlia, in un negozio, in un camerino che si prova un indumento dopo l’altro senza mai trovare niente che le vada bene. Cerco di darle qualche suggerimento, ma non mi lascia nemmeno parlare, mi blocca con uno sguardo che mi mette a disagio. Uno sguardo che vuole escludermi, che intende mettermi all’angolo.
Se apro gli occhi vedo mia figlia, in piedi davanti a me che mi urla che non la capisco, che non ho mai tempo per lei, che pretendo che lei sia fatta a mia immagine e somiglianza, che credo di saper fare bene tutto io. Mi urla che io non so un cazzo né di lei né della sua vita. Poi si rinchiude in camera.
Se apro gli occhi cerco di vedere mia figlia, ma non la trovo. Vedo solo una ragazza che cerca di evitarmi in ogni modo possibile e che fa di tutto per passare inosservata. Vedo una ragazza che non riconosco, che conserva a stento i tratti della bambina che è stata.
Ora sono qui, seduta su questa sedia scomoda. C’è un silenzio irreale ad avvolgerci. Sembra che il tempo si sia fermato per consentirmi di raccogliere i pensieri, le emozioni. Ora che tengo i ricordi stretti nei palmi delle mani, riesco a vedere veramente per la prima volta quello che stava succedendo. Ora riesco a guardare mia figlia, stesa tra le lenzuola bianche e riesco a vedere il suo pallore, le ombre scure intorno agli occhi, le ossa spuntare dalla pelle che si è fatta quasi trasparente. Sembra un uccellino spennacchiato caduto dal nido. La sfioro. La carezzo. Piano. Ho paura che si svegli e che s’arrabbi nel trovarmi lì.
Se apro gli occhi sento una lacrima scivolare sul viso, sento il cuore esplodere dal dolore, sento quel senso d’inadeguatezza che avvertivo quando eri una neonata, impossessarsi del mio spirito e gettarmi in uno stato d’agitazione. Ho paura. Ho paura d’aver sbagliato tutto, di non averti saputo stare vicina, di non averti potuta aiutare quando ne avevi bisogno.
Se apro gli occhi vedo i tuoi occhi socchiusi, che cercano di guardare nei miei. Ti sei svegliata. Non riesci a dire niente. Sei così debole. E’ così tanto tempo che non mangi in maniera adeguata e mortifichi il tuo corpo con continue privazioni. Riesci solo a guardarmi e resti in silenzio.
Se apro gli occhi vedo nel tuo sguardo stanco, una luce, un bagliore che era tantissimo tempo che non riuscivo a vedere. I tuoi grandi occhi si bagnano di lacrime e so che hai capito. Hai capito che sono venuta a riprenderti, che non ti avrei mai lasciato da sola.
È un racconto toccante. Riesce a far male dentro, pur dando una speranza finale. La sensibilità non ha genere, ma certe storie vengono lette dalle donne in modo diverso rispetto agli uomini.