Premio Racconti nella Rete 2013 “Spezzati sulla riva” di Natale Vincenzo Maiorana
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Giro un’altra pagina del manuale. Faccio scorrere la matita sul titolo del nuovo paragrafo e poi penso al perché debba sottolineare le quattro parole che intestano il nuovo argomento presentato nelle prossime due pagine. Non le ricorderei se non le sottolineo? Decido di cerchiarle.
Sono seduto al tavolo della cucina, su uno sgabello con lo schienale che mi arriva fino ai reni, sono piegato in avanti poggiato sui gomiti per carpire i segreti della psicologia dello sviluppo. La sigaretta è quasi a metà nel posacenere, vorrei che fosse una di quelle volte in cui si consuma da sola a causa del mio impegno nello studio, ma è una di quelle volte in cui non le do tregua e fra una boccata e l’altra passano pochi attimi di tempo. Odio la psicologia dello sviluppo. Fuori è Dicembre, orde di persone avvolte nei loro cappotti passeggiano fra palazzi illuminati con sorrisi ebeti dipinti sul volto. Il freddo non li scoraggia nei preparativi per le feste e per l’ultimo dell’anno, si festeggerà anche questa volta il nuovo che arriva e il vecchio che se ne va, in attesa di momenti migliori o di riconferme per la speranza che tutto continui come ora.
In casa ci siamo solo io e mio figlio, un piccolo me di tre anni e mezzo. Gioca per terra con delle costruzioni colorate, sembra felice. Nel frattempo sono arrivato a metà pagina, sbuffo, mi rendo conto di essere stanco, le mie palpebre sono ormai aperte solo a metà. Mi alzo dal tavolo della cucina, prendo un’altra sigaretta e la accendo, penso che non la voglio e la spengo dopo una boccata. Mi butto sul divano e mi copro gli occhi con il braccio destro sperando di prendere sonno. Nel buio della mia ricerca delle quiete entrano una serie di cose sconvenienti che nella mia vita di ventenne devo cacciare fuori.
Vedo le gambe di una ragazza in una giornata estiva, i suoi tacchi alti e la sua gonna bianca. Siamo seduti in un bar. Parliamo e dopo qualche attimo inizio a toccarle un ginocchio, lei continua a parlare e non si interrompe, l’unica sua reazione è un sorriso fra una parola e l’altra. Io continuo nella mia avventura, salgo sempre più su con la mano fino a sentire le sue mutandine. Inizio ad avere un po’ di paura, quella sensazione piacevole che si sente quando si osa. Lei continua a sorridere, io continuo a salire. Tocco i suoi slip, li scosto e sento i suoi peli pubici. A questo punto lei smette di guardarmi, io volto lo sguardo un attimo, penso che non mi devo imbarazzare, mi giro nuovamente verso di lei, mi guarda negli occhi, ci baciamo in un tripudio di passione. Quello è il nostro primo bacio. Ci alziamo e ce ne andiamo. Mentre usciamo le chiedo –che fai ora?- lei mi guarda e mi risponde –non ho nulla da fare-, continuiamo a camminare fino ad arrivare alla mia macchina, la guado nuovamente negli occhi, le prendo la testa e la avvicino con forza alla mia, ci baciamo nuovamente. I nostri corpi sono premuti l’uno contro l’altro, lei sente la reazione del mio, io sento le sue forme sotto i suoi leggeri vestiti estivi. -andiamo da me?- lo dico fra un bacio e l’altro prendendo fiato in pochi secondi, con la voce strozzata dal sentimento suscitato dal sesso che si fa la prima volta con una semisconosciuta.
Mi levo la mano dagli occhi, mi sento molto più sveglio di prima, sono teso. Alzatomi penso che non devo fantasticare su certe porcherie, ho una ragazza e un figlio ormai. Qualcuno una volta ha detto che conoscere la donna che si ama equivale a conoscere tutte le donne del mondo. Il mio uccello e il mio ego non la pensano così.
Guardo il piccolo me che gioca con i suoi mattoncini per creare delle costruzioni coloratissime. Ritorno con la mente a molto tempo fa. Penso a sua madre che ora è ad un corso di pilates, voglio bene a sua madre che praticamente ora è mia moglie anche senza formalità. Penso a quando ci siamo conosciuti, come mi piaceva quella donna un po’ più grande di me, quella donna che mi eccitava in ogni sua minima espressione. Penso a quell’estate passata a sudare in un letto. Era il mese di luglio, poi ci sono stati agosto e settembre, dovevo iscrivermi al primo anno di università e non avevo nulla da fare, solo soddisfare me stesso e quella stupenda creatura che avevo davanti e che mi si donava come io volevo. Arrivato ottobre mi disse che era incinta, ne rimasi sconcertato, avevo dimenticato come la biologia sia qualcosa da cui non si può scappare. Mentre le foglie iniziavano a cadere dagli alberi e le bevute di luglio rimanevano un ricordo molto meno eccitante e vivido prendevo consapevolezza che sarei divenuto padre. La mia donna era ed è tuttora molto ricca, ma mi sono trovato un lavoro, per cui devo studiare la sera.
Come un uomo di mezza età stancamente trascino la mia persona, uno di questi giorni comprerò una nintendo wii e la collegherò ad un televisore ultra piatto di dimensioni esorbitanti per poi collegare il tutto in un sistema audio spropositato. Guarderò il calcio in televisione la domenica pomeriggio e inizierò a fantasticare sulle belle vallette che invadono la nostra vita fatta di programmazione pubblicitaria che si regge sulle erezioni represse del popolo maschile.
Quando abbiamo smesso di cavalcare l’onda e ci siamo trasformati da surfisti in tavole da surf spezzate che dalla spiaggia guardano le onde infrangersi su delle modelle in riva al mare?
Sono una persona orrenda. Guardo mio figlio e ripenso a quelli che in questo dicembre vanno in giro per negozi. Vedo un sacco di persone in corso buenos aires, in piazza duomo e sui navigli. Penso a me che esco di casa, ogni giorno un giorno nuovo, occhi dolci alle bariste, brevi e fuggevoli contatti per altrettanto brevi sogni d’amore.
Faccio tre passi che mi distanziano dal piccolo me, non sono tre passi normali, ma una piccola rincorsa. Prima di arrivare vicino a lui mi rendo conto di quello che sto per fare, non mi fermo, non ci riesco. Un urlo di terrore mi esce dalla gola, straziante e fortissimo. Carico la gamba destra e gli tiro un calcio, lo scaravento distante da me.
Mi sveglio sudato nel letto. Di scatto mi alzo a sedere, pensavo succedesse solo nei film, invece è capitato anche a me in questo momento. Lei non si è svegliata fortunatamente, la guardo sdraiata al mio fianco, è molto bella e mi vuole bene, mi ama credo. I suoi seni torniti si notano anche sotto il lenzuolo. Scendo dal letto e me ne vado in balcone per fumare. Sono in mutande al sole, ho ancora vent’anni e penso a cosa ha appena prodotto la mia mente. Io in questa casa in uno stato di apatia che tiro un calcio a mio figlio di tre anni e mezzo d’età.
Sono una persona orribile.
Fuori è luglio, gli ultimi ritardatari cercano di accaparrarsi viaggi a prezzi stracciati per agosto, nuove spiagge e nuovi amori. Per un attimo sento una strana brezza di libertà e decido repentinamente il mio futuro. Entro in casa e mi infilo scarpe e jeans, cerco la maglietta dove l’ho buttata ieri sera e me la metto.
Vado in cucina, prendo carta e penna, scrivo addio su un foglio.
Lei forse mi ama, io credo di volerle molto bene. Per ora abbiamo solo un gatto.
Ho paura.
Apro la porta e scappo.
Trovarsi in una stagione invece che in un’altra e svegliarsi giusto in tempo per cambiare giorno, destino, ora, aria.
Quindi la corsa che più corsa non si può ……..
HAI RESO L’IDEA!
Infine…… sembra proprio di sentire il respiro maschile prima affannato e poi di sollievo, tirato dal ragazzo che fugge a gambe levate, e ci si chiede, cosa invece sentirà il respiro femminile dell’ignara donna dormiente (che ovviamente si sveglierà invece troppo tardi), nel leggere cosa mai starà scritto in quel biglietto di addio.
Per questo occorre un altro racconto.
E lo faremo scrivere alla donna .
È un racconto scritto molto bene e che si legge anche velocemente, forse anche per qell’atmosfera di erotismo che lo permea. Migliore sogno profetico non poteva esserci! La riccona matura dovrà trovarsi qualcun altro. Ti faccio i miei complimenti per il concorso.
PS Si tolga al commento un “anche” di troppo! Thank you!
Hai reso molto bene un rapporto latente eppure quotidiano: quello tra allucinazione personale, che accompagna la vita come una telecamera dentro il cervello, e società dei mass-media che giocano ad eccitare continuamente le pulsioni insoddisfatte. Una specie di allucinazione comunitaria! Apprezzo anche il montaggio: passare da uno studio sulla psicologia dello sviluppo e poi accorgersi che c’è un bambino in carne ed ossa sul pavimento è efficace.Forse l’immagine della folla per strada poteva essere svolta in un modo un po’ meno generico. Bel racconto, l’ho letto con passione, senza annoiarmi.
Bel racconto,soprattutto all’inizio,scritto molto bene.Personalmente ho trovato il finale un po’ frettoloso,come se l’avessi tagliato perche’diventava troppo lungo.Ma puo’essere un’impressione dovuta alla prima lettura.Complimenti!