Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti per Corti 2013 “L’apostolo segreto” di Emilio Michele Fairendelli

Categoria: Premio Racconti per Corti 2013

Siamo a Lucca. La libreria “colta” della città, quella dove si fanno incontri culturali, concerti, altre iniziative. Inquadrature delle vetrine della libreria storica, ottimi scorci delle vie antiche della città. Siamo nel 2019, perché non lo so. Un rabbino presenta il suo libro sulla figura di Gesù: “Fratello ebreo.” La libraia, una donna in età ma straordinariamente gnocca – insistere molto, moltissimo su questo punto – presenta il vechio Rabbi autore del libro, Shlomo Ben Chorin. Il protagonista, un bell’uomo sui 50 ascolta rapito. Non la facciamo lunga ma il Rabbino dice in sostanza che Gesù, dapprima convinto di essere il Messia di Israele e del mondo – certo che il Mondo Nuovo sarebbe stato per allora, attraverso di lui – fu poi destinato a confrontarsi con il proprio fallimento, con il niente, con l’abbandono del Padre, disperatamente invocato dalla croce. Legge alcuni passi dei Vangeli in aramaico originale, impressionando. Fine della serata il protagonista saluta la libraia che conosce (non manca mai alle iniziative). Esce e si incammina verso casa. Qui lasciamo la parola al protagonista, ok? “Al primo incrocio la via (dire via bella di Lucca) rallentava in una piccola, tranquilla rotonda alberata. Sul marciapiede del lato di destra stavano tre panchine di ferro. Seduto sulla prima riconobbi Michel, un francese di origini libanesi che frequentava la Libreria. Avvertii una densità, una stanchezza infinite, come se quell’uomo, quel grumo d’ombra, non desiderasse che sciogliersi nella notte, nell’aria del primo autunno. Doveva avere assistito alla conferenza ed essere uscito prima di me. Uomo colto, di una bellezza forte e mediterranea, dall’età indefinibile, forse mio coetaneo, aveva un negozio di tappeti non lontano da (dire luogo di Lucca). Eravamo amici, da più di dieci anni ci ritrovavamo alla Libreria di fronte alla bellezza della libraia ad ogni occasione. Ero stato molte volte a casa sua a sfogliare libri d’antiquariato, ad ascoltare musica. Credo fosse vedovo, la foto di una donna sottile e di chiara bellezza ci benediceva ogni volta da una immagine sul ripiano centrale della libreria. Lo salutai e mi sedetti. Chiesi, non senza enfasi, se fosse rimasto colpito dalla conferenza. “Illuminante, sì”, mi rispose. Voleva salire da me, un poco? Domani sarebbe stata domenica. Accettò. Nella sala della mia piccola mansarda gli offrì un calice di vino rosso. Dalla finestra, oltre il piccolo terrazzino, sotto la luce delle stelle e della città guardavamo il vicino parco (dire parco o giardino di Lucca). Le chiome degli alberi erano come un mare di gonfie nuvole nere. Stanchi, tacevamo. D’un tratto lui parlò. Una frase, come una musica dura e arcaica. La voce non era quella di Michel. Dalle sillabe scabre, collidenti, riconobbi la lingua che avevo sentito evocare poco prima da Ben Chorin: l’aramaico. Lui disse ancora: “Io vado ma tu resterai, resterai sino a che tutto sarà compiuto, sino al mondo che verrà. Olam ha-ba. Sino al mondo che verrà”. Credo di avere compreso tutto già in quell’istante. Mi avvicinai, non fu necessario chiedere nulla, lui parlò: “Mio padre era un uomo ricco. I suoi campi andavano da Gerusalemme sino a Sichem, dove iniziava la terra dei samaritani. Un giovane, ero un giovane senza pensieri e senza dolore. Per quella Pasqua avevo preso una borsa colma di monete d’oro, baciato mia madre ed ero partito per Gerusalemme. Là un amico mi avrebbe raggiunto. Dicevano di una locanda, poco fuori le mura, sul ciglio del Millo. Là avremmo trovato del vino forte e donne di Giudea capaci di rendere felice un uomo. Entrai nella città a metà mattino, dalla Porta dei Leoni. Vi era una grande confusione. Pensai a qualche questione con la legione romana. Chiesi ad un uomo anziano: dei condannati alla croce, verso il Golgota, mi disse. Camminavo per le vie della città, senza una meta, Haim non sarebbe arrivato che alla sera. Ad un tratto lo strepito aumentò, la folla davanti a me si aprì schiacciandosi contro i muri. Mi apparve. Saliva la stretta strada di pietra. Portava un braccio della croce sulle spalle, un orrendo legno fradicio e tarlato. Il peso pareva infinito. Sembrava che, se lui non lo avesse retto, quel tronco, largo quasi quanto la via, sarebbe caduto facendo crollare le case e la città, aprendo la terra sino al suo centro. Avanzava lentamente, chino, il viso era rivolto a terra e i lunghissimi capelli, le cui punte stillavano sudore, cadevano sino a toccarla. Ricordo come fosse oggi nella mia bocca il sapore forte e salato di un’oliva. “Vai! Vai!” gli gridai forte, con ferocia. Lo credevo un ladro, un assassino, un rivoltoso. Prima del tramonto sarebbe morto. Lui alzò lo sguardo e mi vide. Il dolore per il supplizio, il rancore per il mio scherno durarono meno di un istante, mentre nei suoi occhi color di noce chiara stava ogni altra cosa. Ogni altra cosa, Albert. Così disse: “Io vado ma tu resterai, resterai sino a che tutto sarà compiuto, sino al mondo che verrà”. Una forza mi premette il petto e mi sollevò quasi da terra. Per mesi le costole mi avrebbero dato dolore e avrei sentito come la punta di una selce appoggiata alla carne, poco sotto il cuore. Olam ha-Ba. Il mondo che verrà. Lo seguii, ancora per gioco, senza ragione. Il Golgota non era che un rilievo subito aldifuori della Porta di Damasco. Lo chiamavano così perché due cavità in una piccola parete di roccia rassomigliavano, viste dalle mura, le orbite di un teschio. Era tutto così piccolo, Albert, così piccolo, le tre croci stavano una vicina all’altra, i corpi degli appesi quasi si toccavano. Ai piedi del masso stavano poche persone, qualche soldato, una decina di persone per lui, nessuno per gli altri due. Solo strepiti e urla di crocifissi. Quando gli appesi scuotevano il viso da una parte e poi dall’altra, ringhiando di dolore, grumi di sangue volavano nell’aria e cadevano al suolo. Due soldati di Roma guardavano annoiati la scena. Mi avvicinai al gruppo che vegliava lui. Alcune donne piangevano, un giovane, Jochanan, Giovanni, non distoglieva lo sguardo dalla croce, così come da una stella. Fui tra di loro. Avevo forse seguito le sue predicazioni in qualcuna delle città di Giuda? Non risposi, ma per loro fu così. Morì all’ora nona. Non si oscurarono i cieli, né si aprì la terra. Solo quel grido: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” Tale era la disperazione, l’abisso, che non volle dire lo Shemà. Poi il costato si mosse, torcendosi come se un serpente fosse infine riuscito ad entrare in quel corpo e si muovesse verso il cuore per colpirlo. Fu finita”. Tacque, per alcuni minuti. Poi riprese: “Lo portarono via per ultimo, si erano calmati gli strepiti. Ricordo quel telo di tessuto intrecciato e di somma fattura che veniva dal Tempio, offerto da qualcuno. Stavo intorno a loro, ascoltavo, chiedevo. Gente umile, poveri contadini, non sapevano ora che fare, dove andare. Seguimmo. Il sepolcro lo vidi, una povera nicchia in una pietra nel campo di un uomo influente che seguiva Gesù. Gli ufficiali avevano posto delle scritte, dei cartigli sottili sul telo intorno al suo volto, stavano scritti il suo nome e la sua colpa. Il suo nome e la sua colpa. Quella sera raggiunsi la locanda dove mi persi con un forte vino di Galilea e con una donna giovanissima la cui fronte e il cui ventre erano ornati da collane fatte con piccole monete d’oro. Rimasi in città quattro giorni. Si sparse la leggenda del sepolcro trovato vuoto un mattino e della sua resurrezione. Mi diressi al campo, ma le guardie di Roma e del Sinedrio impedivano di avvicinarsi. Pensai al volto di Giovanni quando la notizia doveva averlo raggiunto, al suo correre furioso e felice, al suo viso radiare mentre vedeva quel vuoto in cui la storia comunque cadeva e si apriva. Io credo qualcuno tra di loro, forse nemmeno della cerchia più intima, abbia trafugato il corpo, per una sepoltura più degna, lontano da quel campo. Cosa davvero sia accaduto, non so. Non ha alcuna importanza. Olam ha-Ba. Il mondo che verrà. Tornai dai miei. Sposai una donna, da cui non ebbi figli. Divenne vecchia e morì. Io, che ero diventato un uomo maturo, rimasi. Passarono anni ed anni, decenni e decenni, io non morivo, restavo come mi vedi ora, il viso che ti guarda è quello di un uomo di un’altra era. Infine capii. Il suo potere mi aveva attraversato quel giorno a Gerusalemme. Lui non poteva dire e volere che la verità: io sarei restato, sarei restato sino alla fine. Duemila anni sono così lunghi, ed è così difficile nascondersi nella storia degli uomini. Occorre saper sopportare l’insopportabile, saper dimenticare. Io devo solo attendere, questa è stata la sua parola per me. Attendere e ricordare, ancora qui, da questa parte del mondo. Con quale sentimento aveva operato quell’ultimo miracolo, che nessuno avrebbe mai conosciuto? L’orgoglio di inviare, ancora nella carne, verso l’ultimo giorno chi lo aveva guardato negli occhi? Ora sono molto stanco e voglio dormire. So che è difficile credere alle mie parole. Se lo vorrai, dimenticheremo ogni cosa. Vienimi a trovare. Domani. Sì, domani”. Mi salutò abbracciandomi e mi lasciò. Credo di non aver detto una parola. Avrei deciso domani cosa fare: dimenticare, immaginarlo folle come mi sembrava facile, oppure credergli. Credergli. Ultima scena il protagonista esce nell’aria fresca e si incammina verso casa attarversando il parco, notte, alberi scuri e stelle nel cielo. Qui finiamo ed è molto bello.

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18 commenti »

  1. E in effetti è molto bello. Anche se lo vedo più tra i racconti, il lungo monologo è da leggere per intero. Bellissimo anche “Fratello Gesù” di Ben Chorim, un saggio poetico che tengo da qualche parte. Ma il racconto che parte dal suo accenno vaga tra l’onirico e il fantasy e merita in assoluto sia per trama che per stile.

  2. E’ MERAVIGLIOSO! Meraviglioso……….da leggere con la pancia! Da sentire. Così……..

    MERAVIGLIOSO! Complimenti …Emanuela

  3. ……tutto molto bello….bellissimo!

  4. Grazie ad Amaso. E’ in effetti nato come racconto e ne va goduta la versione integrale. Ma come corto va benissimo, lo stringi prendi due protagonisti con le palle e ci sei: fai il botto! Una libreria così a Lucca ci sarà nella città vecchia se no la inventiamo. Lo spettatore/lettore non è pronto a tematiche di questo genere? Too much difficilisch? Che si attrezzi! E che si spacchino a martellate i CD di Giovanni Allevi. Incombono tempi tremendi e dobbiamo essere pronti. Contento che tu abbia il Ben Chorin: è un testo straordinario che vede con chiarezza la verità su Gesù. Grazie mille grazie alla Compagna Fagnanski, una trozkista del pensiero fairendelliano, la prima a non dubitare dei raccontini “immaturamente esoterici con pistolotto spirituale intermedio o finale.” La sua tonalità mi fa venire le vertigini e mi sembra di cadere, devo appoggiarmi a una sedia e non è facile se non si vede nulla piangendo di gioia. Non mi perdonerò mai di avere distrutto a cazzotti e con cieca violenza il suo primo racconto d’amore, ma forse grazie a quella violenza è venuta fuori quella bellezza di “Un’altro disegno.” 🙂 CEMF

  5. “difficilisch” 🙂

  6. La Compagna Fagnanski ringrazia, sentitamente, anche per la comparazione da lei associata alla convinta azione di fida, vera, appassionata e determinata mia promozione del Suo Pensiero, e cosa può valere, se non” solo ” valere molto, di fronte a tutto quanto, quello che fu di fronte ad un primo mio primo racconto?!

    Come lei dice, oltretutto, ” grazie a quella violenza è venuta fuori…………………..”

    Grazie e ancora complimenti per i suoi capolavori.

    PS: Dimenticavo ….. ma ha ricevuto le informazioni che mi aveva richiesto sul museo delle navi antiche di Pisa? Le avevo risposto subito! Se non le avesse ricevute allora mi faccia sapere , che gliele rimando, immediatamente.

  7. ricevuto, grazie! raccontino sulle navi lo ambiento ora a pisa. un saluto carissimo. CEMF

  8. trovo che trasferirlo in un corto lo priverebbe di molte cose….troppe, guardano il corto vincitore dell’anno scorso, effettivamente, non ci siamo come lunghezza ed essendo un bel pezzo sarebbe un’eresia pretendere di realizzarlo come corto. Insomma Fairendelli, sicuramente tra questo corto e gli altri racconti, io dormirei tra due guanciali…..la vittoria è quasi assicurata!

  9. Se permette un appunto, credo sia impossibile realizzare un corto, difficile rappresentare le scene a Gerusalemme, lo vedrei meglio come un racconto.Una domanda, come mai i personaggi femminili dei suoi racconti devono essere “gnocche”come definisce lei?Forse lo scrittore di corti ha scelta sugli attori?Giusto per sapere, nel qual caso potrei aggiungere una delucidazione in merito ai personaggi maschili del mio corto.In bocca al lupo!

  10. si svolge tutto a lucca, il dialogo rammemora: sono solo parole con un bel primo piano intenso, vedrai che bello. in sostanza avevo gia pubblicato tre racconti e di tre ne ho fatto corti: miracoli non ne faccio. la pretesa di avere attrici “gnocche” è sacrosanta: ma non è piu bello, il tutto? è comunque solo un’indicazione, ok? fiore lo
    so che lo dici solo per tranquillizzarmi, qui non si sta bene, agitato e ci sono anche extrasistole CEMF

  11. davvero bello! complimenti dal cuore Matteo

  12. Grazie Matteo. Dal cuore è un’ottima espressione. 🙂 CEMF

  13. Molto bello. Complimenti.

  14. Scusate…ma non potevo fare l’esperimento “RILETTURA A DISTANZA E PIU’ CONSAPEVOLE” senza tornare anche su un pezzo del mio…STIMATO FAIRENDELLI…perchè mi sarei smentita e perchè invece mi voglio confermare.
    CONFERMATO!!!!
    Alla stregua del nuovo commento lasciato a Caterina Silvia Fiore e per associazione familiare, non me ne voglia nessuno, affermo che quando ho letto per la prima volta il racconto in questione sono stata rapita, rapita dalla lettura, tirata fuori da tutto, sottratta al mondo per il tempo in cui da cima a fondo sono stata con lui.
    L’ho trovato diverso come diverso è uno degli aggettivi che associo al suo autore per dire ” sui generis “.
    Punto.
    Oggi torno e devo dire che, iniziando a conoscere un minimo meglio il suo autore, come tra le righe che narrano le storie di Caterina, tra le righe con cui narra il CEMF, riconosco tutta la sua innegabile ALTEZZA e tutta la sua GENEROSITA’ nello scenderla per noi e porgere vicine a noi tutti e per chi vuole le cose che ci porge come in un vassoio oro e con tanto SAVOIR FAIRE.
    PUNTO.
    MA non è che FAIRENDELLI deriva da SAVOIR FAIRE????
    Resto in attesa di risposta ma intanto…..
    GRAZIE CEMF perchè anche tu BRAVO BRAVO BRAVO!!!!!

  15. IL RACCONTO per corti…

  16. grazie fatina fagnani. dovesse vincere lei e non l’Angelo ls prego di stornare a noi il premio come – mi pare – il regolamento consente. CEMF

  17. …allora andrò a leggere il regolamento quanto prima!!!

  18. Perchè se le pare….è un conto…ma qui, bisogna averne certezza no???
    Mica un dettaglio da niente!

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