Premio Racconti nella Rete 2013 “Malus domestica” di Matteo Stelloni
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Tic, tac, tic, tac… Il vecchio orologio a cucù continua imperterrito nel suo lavoro, mentre arriva questo Martedì mattina.
Sono ancora scosso dai cambiamenti che la notte appena trascorsa mi ha regalato.
Una serata particolare per me: la mia prima notte fuori di casa. Come un ragazzino che dorme la prima volta da un amico, come il primo giorno di scuola, come tutti quei ricordi che si annodano all’infanzia.
Sono partito da casa che ormai erano quasi le dieci: ne sono certo perchè il riflesso dell’orologio sullo specchio della casa di Marta mi arrivava dritto in faccia. Sono uscito con Paolo, giu per le scale senza dire una parola: solo l’incedere di quei passi frettolosi riempiva l’atrio delle scale. Siamo arrivati alla macchina, siamo entrati e la musica ha preso il sopravvento nella sua utilitaria. Io stavo seduto dietro. Potevo vedere i suoi occhi dallo specchietto retrovisore, e più li guardavo, più potevo correre il rischio di finirci dentro tanto erano vuoti. Dobbiamo aver viaggiato circa venti minuti, perchè anche se con il buio non sapevo distinguere dove fossimo, abbiamo ascoltato cinque canzoni.
Lo ricordo, cinque canzoni.
Cinque sono gli anni da cui la mia vita e quella di Paolo si sono incrociate. In questi anni ne abbiamo passate di tutti i colori: ho visto nascere suo figlio, ho visto arrivare in casa Hugo il fedele cagnolino di Marta, ho visto gioie e ho visto dolori, sono stato spettatore di quella vita e di quelle che a questa si sono indissolubilmente legate. Ho visto Marta urlare, ho visto Paolo urlare, poi li ho visti baciarsi, li ho visti accarezzarsi e li ho visti felici, ma mai li avevo visti come quella sera. Mi erano passati davanti a tutta velocità, lei per prima e lui a seguire in una specie di scia che si richiudeva un istante dopo. I volti seri, le facce scure. Si erano chiusi in camera ma con il televisore acceso non riuscivo a sentire niente. So solo che dopo qualche minuto Paolo è uscito e siamo corsi giu per le scale fino ad essere qui, parcheggiati con la macchina in un non luogo, che potrebbe essere tutti i luoghi, per quello che riesco a vedere.
Ad un tratto noto che accanto a me c’è una valigia, ci sono diverse cose: su tutto spunta uno spazzolino. Nel guardare questo bizzarro elemento, quella sensazione di prima volta mi riempie di nuovo il cuore ed i polmoni: il mio primo viaggio penso, ma il viaggio si interrompre subito. Paolo apre la portiera prende la valigia e scendiamo. Ancora su per delle scale, ed eccoci qui: un piccolo ufficio, credo il suo.
Entriamo senza far rumore, Paolo sistema tutto metodicamente,si cambia d’abito, lì davanti a me, ma non dice una parola. Fuma davanti alla finestra, aperta, e dopo qualche minuto spenge la luce e sussurra con un filo di voce:
“ Buonanotte..”.
Ed eccomi qui, lui si è gia svegliato, si è ricambiato d’abito ed ha sistemato tutto dentro ad un vecchio armadio, con la cura con cui lo avevo visto molte volte sbrigare le sue faccende personali.
Quella cura, che quella sera, non aveva avuto con me, ne con Marta, dimentico di se e degli altri.
” Buongiorno Paolo! “.
” Buongiorno Gianni! “.
” Sei mattiniero stamattina, di solito non arrivi mai prima delle dieci.. ” Dice Gianni, con tono scherzoso.
Gianni è il collega di Paolo. Avevo avuto modo di conoscerlo una sera a casa sua, quando per la cena aveva portato con se una bottiglia di vino rosso. La ricordo bene quella bottiglia, un dipinto di Modigliani sull’etichetta, ne intrigava il contenuto. Un brav uomo lo definiva Paolo, un collega sincero: insomma un amico.
Non ci mette infatti molto a capire quello che è accaduto, saranno stati gli occhi gonfi ancora di stanchezza, oppure il disordine di oggetti su quella scrivania:
” Ma tu hai dormito qui stanotte? ”
” Dormito.. sono stato qui. Ma ti prego non farmi domande a cui non avrei ne voglia, ne modo di rispondere. ”
La faccia di Paolo adesso è proprio uno schifo: falsità, stanchezza, indisponenza.
” Paolo sei proprio uno straccio.. Rispetto quello che dici, ma fatti aiutare in qualche modo. ”
” Non ho bisogno di aiuto, è solo una cosa di una sera. Stasera torno a casa, tranquillo. ”
Paolo chiude la porta e soinge fuori, con quella parte di gentilezza che la sua coscienza ancora gli impone, il collega.
Due passi spalle alla porta verso la finestra, la mano tesa verso lo schienale della sedia.
” Perchè? Perchè doveva succedere? Andava tutto così bene.. ” poi le lacrime.
Lacrime da annegarci dentro, lacrime da prosciugarsi.
Eccolo li di fianco a me, piegato nel suo dolore. Un qualcosa che non conoscevo, un qualcosa cui non potevo certo porre rimedio: solo ascoltare. Le vibrazioni peggiori della mia vita, le avrei definite poi, ma adesso sono quelle che mi vibrano addosso e che fanno percuotere tutti i miei nodi.
Paolo prende un foglio, ci appunta qualcosa disordinatamente, non riesco a vedere bene dalla mia posizione. Scrive, legge, accartoccia. Le sue parole ora giacciono nella pattumiera di fianco alla porta, riesco solo a scorgere una parola ESITO. Si asciuga il viso, mi getta un’occhiata, ed esce. Lo sento parlare di pratiche, di questioni di lavoro. Inizia il lavoro.
Io resto qui, fra questi muri che si toccano a delimitare il perimetro dove ho incontrato il male. Il perimetro del dolore, dove ora resto a pensare a quelle cinque lettere scritte in un corsivo elementare, messe li a formare un significato, che però si moltiplica e si disperde se staccato dal contesto.
Arriva Gianni, apre la finestra, e dice:
“C’è una puzza di chiuso, che farebbe rabbrividire chiunque, meglio aprire un pò.”.
Poi si volta, guarda tutto quello che a questo luogo non appartiene compreso me, mi scruta dall’alto in basso, non dice una parola. Poi come arrivato si allontana, lasciando dietro di se un odore forte: acqua di colonia. Un odore acre, che i miei sensi ricordano ma che non sanno contestualizzare.
Forse era lo stesso odore che aveva portato la sera che era venuto a cena da Paolo, forse era semplicemente l’odore che altre persone hanno addosso, o più semplicemente l’odore che nelle sue note piu lievi rimaneva dentro l’ufficio anche quando non era fisicamente presente.
Il vento fa sbattere la finestra, una, due, tre volte. La brezza di questa mattina di Febbraio mi arriva addosso, mi gela dentro, come uno schiaffo in pieno volto.
Paolo rientra. Alza il telefono:
” Pronto mamma? ”
” Ciao sono io, il bambino come sta? ”
” Bene, senti mamma, ti devo parlare. E’ successo un casino ieri sera, sto male, sto male… ”
Ancora le lacrime, ma questa volta più violente, come un getto. La mano gli inizia a tremare sulla cornetta e la voce si fa sempre più strozzata, fino a soffocarsi del tutto.
Riaggancia.
Questa volta non si pulisce le lacrime, le lascia sgorgare sulle sue guance fino a farle arrivare sulle labbra, come se ingoiarle potesse frenare il suo dolore.
Prende ancora il telefono, non compone un numero, ma preme un tasto.
” Puoi venire qua un attimo? ”
” Bene.. ”
Dopo qualche secondo si apre la porta ed ecco Gianni.
” Ma mi vuoi dire che diavolo è successo? Hai dormito qui e sei totalmente sconvolto.. Hai problemi con Marta? ”
Paolo non risponde.
Guarda fisso davanti a se, mentre Gianni cerca di intercettarne faticosamente lo sguardo.
” Su, lo sai che con me puoi parlare.. Hai portato qui mezza casa, compreso le piante, si può sapere qualcosa? ”
” Gianni, si ho dei problemi a casa. Ho dei problemi con Marta, ma per adesso non voglio parlarne. ”
” Va bene, ma vedrai che tutto si risolverà. Qualsiasi cosa sia lei è comprensiva lo sai benissimo, è una santa donna quella Marta.
Andiamo a pranzo dai, vedrai che un pò di cibo ti farà bene. ”
Io, fermo, resto qui ad immaginare come sarà quel pranzo, di cosa parleranno, se davvero Gianni risucirà ad aiutare Paolo o almeno a consolarlo.
Tutto quello che posso fare è ascoltare.
Il pranzo deve essere stato un momento idilliaco, immagino. I due tornano sorridenti e felici: pacche, risate.
Devono avere bevuto anche del vino, ne percepisco le note, ma anche i rumori dei passi un pò claudicanti.
Mi passano davanti l’uno di fianco all’altro, a non più di venti centimetri.
Ma poi.. Poi le cose devono prendere un’altra piega:
sento un frastuono di oggetti, sento le vibrazioni salire su per il tavolo.
” Ti prego fermati! ”
” Non hai certo niente da insegnarmi tu, che della vita non hai capito niente. Urla Paolo. ”
Non li vedo, riesco solo a sentirli.
” Quel bambino era la cosa più bella che avevo e ora è diventato un mostro. Le mie mani non serviranno più a niente senza poterlo accarezzare, le mie ginocchia saranno solo due pieghe se non potrò farlo sedere qui sopra. ”
” Paolo, smettila di farneticare. ”
” E’ come avere davanti a me ogni mattina la prova. E’ come guardare una colpa e non sopportarla. ”
Sento ancora rumori, confusi.
” Smettila di fare il pazzo, spiegati e calmati. ”
” Non posso parlare, non servirebbe a nessuno, vi ammazzerei con la mia verità. ”
” Così ti ammazzi sul serio vieni qui. ”
Due passi veloci e poi …
Poi due tonfi, in rapida successione, come di sacchi pieni che cadono nella pattumiera.
Ed è solo silenzio.
Chissà per cosa si saranno azzuffati?
Li immagino poco più in la, faccia a terra, distesi fianco a fianco, che respirano come se dormissero, che non si muovono come se dormissero.
Un’aria densa e fredda che sembra arrivare dallo stretto di Bering entra dalla finestra che ora capisco aperta e le mie radici si fanno pesanti. Le mie foglie si fanno deboli e avvizzite, il mio tronco si crepa dal dolore.
Le grida dalla via iniziano a farsi sentire, sembra essere arrivata davvero tanta gente, sento dei pianti, sento l’arrivo delle sirene.
Vorrei poter fuggire, vorrei correre in strada. Vorrei poter urlare.
La polizia entra nell’ufficio, due ragazzi giovani, si siedono qui vicino a me.
” Brutta storia. “Dice l’uno all’altro.
” Eh si, due morti sono sempre una brutta faccenda. ”
Vorrei non essere mai stato qui, prima, ma soprattutto adesso.
Perchè quel che immagini non provoca mai il dolore di quel che accade realmente.
Dall’immagine si può sempre fuggire, l’immagine è effimira, ma la realta, la realtà è un muro.
E allora vorrei seccarmi adesso, vorrei che le mie radici si staccassero da me, che la terra di questo vaso volasse via e restassi senza nutrimento. Non voglio essere custode di questo. Non voglio veder passare gli eventi e imprigionarli nella mia sottile corteccia. Non voglio che questo germe rimanga per sempre dentro i miei anelli.
Da allora sono passati molti giorni ed io non ho fatto che pensare, non ho fatto che vivere e ascoltare.
Come quel giorno in cui Paolo decise che sarebbe stato insopportabile essere il padre di un figlio non suo.Quel giorno in cui decise che l’amico non avrebbe dovuto sapere di essere il suo stesso nemico.
Quel giorno in cui Gianni decise che avrebbe salvato Paolo fallendo miseramente.
Adesso mi trovo qui nel giardino della casa di Marta, dove tutto ebbe inizio: testimone di quel giorno e di tanti altri dopo. Sono cresciuto e sulla mia corteccia, una frase, in corsivo:
“ Osservare o decidere? ”.
…mi è piaciuto molto questo racconto in tutta la sua tragicità. Mi è piaciuta la protagonista che ha assistito al dramma senza poter fare niente. Salutoni
Grazie Eleonora, è un piacere sapere che hai gradito il racconto. Saluti
Molto originale! è un aspetto che apprezzo sempre il raccontare una storia da un punto di vista fuori dal comune!
Grazie Cinzia, hai centrato in pieno il mio intento 😉
come hai visto, anche io ho utilizzato questa tecnica 🙂
Originale! Mentre leggevo cercavo di capire di che oggetto si trattasse, a chi appartenesse la voce narrante..a un certo punto ho anche pensato che fosse una corda, quando ha parlato dei suoi nodi..ho creduto che potesse essere la corda con la quale si sarebbe impiccato Paolo..poi, con il ritmo giusto, la verità si è svelata, fino al tragico ESITO! Bello!
È un racconto che mi ha preso a poco a poco ma e non potevo fare a meno di andare avanti. Una bel modo di raccontare, davvero bravo. Confesso che anche io come Matteo per buona parte del racconto non ho capito chi raccontasse la storia. Frasi come “Dall’immagine si può sempre fuggire, l’immagine è effimira, ma la realta, la realtà è un muro.” stimolano alla riflessione. Mi piace molto.
Siete davvero tanto gentili.. Che dire.. Grazie di cuore
Tragico e originale, bravo.
M
A parte la forma non sempre corretta per la mancanza quasi totale di accenti qua e là, il racconto ha una sua originalità anche se io personalmente l’ho trovato un po’ esagerato, soprattutto nel suo nodo centrale. Mi immagino Paolo sconvolto per la verità appena appresa, che lascia la moglie in tutta fretta, ma non me lo immagino proprio portarsi appresso anche le piante. Capisco la necessità di questo particolare, che almeno per me mi ha fatto subito indovinare l’identità del narratore, ma lo trovo poco credibile. Come poco credibile è il fatto che il narratore, di notte (come sembra), riesca a vedere lo sguardo assente del guidatore nello specchietto retrovisore. Poi poco credibile che Paolo si rifugi proprio nell’ufficio, l’ultimo posto dove dovrebbe andare, e che sistemi con cura i suoi abiti nel vecchio armadio. Capisco che tu voglia depistare il lettore, ma come fa poi Paolo a lavorare la mattina seguente, gomito gomito con Gianni? Fa parte del suo piano di vendetta? In questo caso, io non avrei disfatto neanche le valigie, o meglio, non mi sarei presa la briga di fare alcun trasloco, piante comprese. Complimenti per il concorso.
PS Volevo dire : Auguri per il concorso e complimenti per l’idea.
Grazie Giovanna del commento, si può sempre migliorare.. Sono comunque felice che tu lo abbia letto e che abbia passato qualche minuto con le mie parole. Qualche errore di forma sicuramente lo avrai incontrato, ma onestamente non mi è proprio piaciuto il tuo incipit aggressivo. Soprattutto perché poi, cito le tue parole, hai scritto: ” che almeno per me mi ha fatto..” . Prendo volentieri le critiche ma senza porsi su un piano diverso, questa e la sensazione che ho avuto. Buona giornata Matteo
Sì, hai ragione, non suonava bene neanche a me, ma un conto è un commento che si scrive di getto, un conto un racconto che si suppone viene rieletto dall’autore. Comunque, a parte le sviste formali, c’è qualcosa nella trama che non mi torna. Mi scuso se il mio tono ti è sembrato aggressivo, ma è nella mia natura essere poco diplomatica e molto diretta.
Giovanna non preoccuparti, non sono certo una persona rancorosa.. Vivo e scrivo di getto e comprendo sia un limite, mi fa piacere tu abbia scritto nuovamente un commento. Mi spiace solo che non ti convinca il mio racconto, ma mi hai dato certamente qualche spunto di riflessione anche per il futuro. Un abbraccio