Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “Via delle Terme” di Marcello Parlagreco

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

Via delle Terme
Via delle Terme è una strada in pieno centro, vicina tanto a Ponte Vecchio quanto a
Piazza della Signoria.
La gente ammazzerebbe la madre pur di abitare in tale zona.
A me invece non piaceva molto, forse perché c’era sempre un gran casino nonostante
fosse zona pedonale, o forse perché il palazzo dove abitavo era puzzolente e sporco e
ci abitava gente piuttosto stravagante.
Prima, molto prima che ci andassi ad abitare io, la mia casa era la sede di un rinomato
postribolo e, col tempo, non è che le cose fossero cambiate molto.
Le puttane c’erano ancora e, quando scendevo in strada, non era difficile vedere gente
in attesa di potersi scrollare il pisello.
Nonostante abbia abitato lì per circa quattro anni, non sono mai riuscito a stabilire chi
erano tutti coloro che ci vivevano stabilmente e chi ci andava soltanto per scoparsi
una puttana.
Conoscevo abbastanza bene soltanto le abitudini di Maria perché abitava proprio
accanto a me e le nostre rispettive porte d’ingresso quasi si toccavano.
La signora Maria arrivava alle dieci di sera puntuale come un treno svizzero ed
iniziava a smarchettare.
A volte i suoi clienti sbagliavano campanello e rimanevano imbambolati quando
vedevano me spuntare sull’uscio. Allora io capivo e li indirizzavo alla porta accanto
dicendo : é lì che si tromba, e loro si scusavano e mi ringraziavano, oppure non si
scusavano e non mi ringraziavano e tale cosa mi faceva un po’ incazzare.
Anche l’ora di chiusura era rigidamente fissata alle due in punto, ci fosse stata anche
la fila sino in Por Santa Maria, non importava. La signora Maria alle due tirava giù la
saracinesca virtuale della sua passera ed in taxi se ne andava a casa sua, che non ho
mai saputo dove fosse.
In Via delle Terme lei ci veniva solo a smarchettare e quello era soltanto un secondo
lavoro, tanto per arrotondare lo stipendio di ausiliaria. Maria lavorava in una clinica
privata durante il giorno e, se a qualche paziente gli veniva voglia di farsela, gli dava
l’indirizzo di Via delle Terme perché era lì che esercitava il mestiere ed in clinica non
c’era niente da fare.
Al piano terra ci abitava Matilde con tutta la famiglia, o meglio, quasi tutta perché il
marito non ci viveva più perché quell’uomo era più il tempo che passava in galera che
fuori.
Quando non era in galera, la gente si stupiva perché ogni volta che l’arrestavano si
pensava che ‘stavolta non sarebbe uscito più avendogli tirato dietro tutto il codice
penale. Invece accadeva che dopo tre o quattro mesi lo si rivedeva in Via delle Terme
a suonare il campanello di Matilde, la quale nel frattempo aveva preso in casa un
altro uomo e non voleva più quello stronzo di marito tra i piedi.
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Allora sì che cominciavano i grandi casini perché Joe il brasiliano (così era
conosciuto) non se la dava per inteso e cominciava a scardinare la porta e a urlare
come un maiale allo scannatoio.
Poi faceva finta di andarsene e si appostava dietro l’angolo del Chiasso del Cornino e
aspettava pazientemente che uscisse qualcuno da casa.
Se vedeva uscire uno dei figli, lo fermava e gli dava dei messaggi da riferire alla
madre.
I figli erano tanti e tali che non sono mai riuscito a contarli, forse non erano nemmeno
tanti e neppure così uguali da non poterli distinguere ma a me sembravano tutti
grassottelli e con la stessa faccia di figli di puttana.
Per qualche tempo c’era stata anche una figlia più grandicella che a quattordici anni
era stata messa a fare pompini (così dicevano i bene informati) ma non doveva
assolutamente dar via la fica perché la fica è una cosa seria e si da per la prima volta
solo per amore e l’amore sembra che l’abbia trovato un’estate al mare, un morettino
ben piazzato e riccioluto che alla fine l’ha sposata la figlia di Matilde e se l’è portata
via.
Riesco a ricordare anche uno dei figli maschi, uno piuttosto grandicello che mi dava
l’impressione di essere gay.
Mi era profondamente antipatico, non per via del mio sospetto, ma perché quel
bastardo mi ruppe un vetro delle macchina per rubarmi un pacchetto di sigarette
poggiato sul cruscotto e a me, per rimettere quel cristallo, mi partirono più di
trentamila lire, che a quel tempo erano parecchi soldi.
Infine c’erano due o tre pischelletti piccoli che giocavano sempre sull’uscio di casa o
per la via insieme ad un barboncino nero nevrastenico e abbaione che forse non era
figlio di Matilde, ma non ne sono sicuro.
Insomma, Joe se ne stava lì appostato come un pellerossa e, se intoppava nel tipo che
si scopava Matilde gratuitamente e che, anzi, le puppava anche dei soldi, erano cazzi
duri perché scoppiava un gran casino, bastonate in testa e cazzotti in bocca e a volte è
spuntato persino un coltello.
Joe era vecchio e zoppo ma era cattivo. Quando aveva un bastone in mano era
pericoloso e spesso è accaduto che il giovanotto che puppava i soldi a Matilde se l’è
dovuta dare a gambe.
A Matilde non restava altro da fare che riprendere in casa il marito.
Allora si faceva festa. Si sentiva il mangiadischi a tutto volume per festeggiare la
ritrovata unione familiare e non contava niente se erano le due o le tre di notte perché
doveva essere baldoria e se c’erano i clienti di Matilde in strada che aspettavano, Joe
usciva col bastone in mano e quelli scappavano lesti lesti e ricominciava la festa.
Dischi uno dietro l’altro e si beveva e si cantava per giorni e giorni, mentre il tipo più
giovane si aggirava per Via delle Terme con aria torva e andava avanti e indietro da
Por Santa Maria a Piazza Santa Trinita.
Nottetempo si piazzava all’interno del palazzo, dormiva per le scale o dentro
l’ascensore finché non ne poteva più e con una lametta si tagliava in qualche parte del
corpo e intingeva il dito nel suo stesso sangue e scriveva sulla porta dell’amata:
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-Matilde ti amoe
allora Matilde, quando la mattina vedeva tutto quel sangue, si commuoveva e si
disperava per il male che stava facendo a quel ragazzo che per lei si dissanguava e
decideva di riprenderlo in casa e di buttare fuori il marito.
Ma Joe mica era d’accordo!
Ecco che ricominciava la baruffa e le bastonate, ma questa volta il giovane avversario
era proprio disperato e pronto alla pugna.
Era più giovane e più forte e non era zoppo e si era incattivito anche lui e riuscì a
vincere.
Joe era costretto nuovamente per la strada e cosa poteva fare se non infilarsi in tutti i
bar a bere come un dromedario e poi si metteva a rompere i coglioni alla gente.
Un giorno se la prese anche con me.
Mi fermò e mi disse:
-Hei, tu. Mi stai sul cazzo.-
Io gli dissi che non aveva importanza che gli stessi sul cazzo.
-Invece si, importa a me. Ora ti spacco la faccia brutto stronzo.-
Io gli dissi che aveva ragione e che prima o dopo me la doveva proprio spaccare la
mia faccia di merda schifosa.
Lui se ne andò soddisfatto, borbottando e zoppicando e scureggiando.
Insomma Joe se la prendeva con chiunque gli capitasse a tiro.
Spesso succedeva che prendesse un sacco di legnate e in giro si diceva che zoppo
fosse diventato proprio a causa di una di quelle risse. Sembra che un tale gliele suonò
di santa ragione e gli stroncò una gamba.
Continuava in quel modo per alcuni giorni finché incautamente non andava a
rompere i coglioni a un vigile urbano e quello chiamava la polizia e lo faceva portare
in Questura dove ci si accorgeva che c’erano altri tre o quattro mandati di cattura per
sfruttamento della prostituzione, furto aggravato, tentato omicidio (successivamente
declassato a lesioni gravi), oltraggio e resistenza alla forza pubblica, maltrattamento
nei confronti dei figli e tutta una serie di altri reati che in Via delle Terme la gente
pensava che Joe il brasiliano non sarebbe mai più uscito dal carcere.
Invece dopo tre o quattro mesi era nuovamente attaccato alla porta di Matilde a urlare
come un pazzo.
In Via delle Terme la gente si stupiva che fosse di nuovo in circolazione e dubitava
che forse doveva essere un confidente della polizia, una spia infame e per questo lo
rimettevano sempre fuori e oramai nessuno provava la sia pur minima simpatia o
pietà per lui e scommetto che non ci sarebbe stato nemmeno un cane, nemmeno il
barboncino nero isterico, che si sarebbe dispiaciuto se avessero trovato Joe il
brasiliano morto stecchito sotto l’arco del Chiasso di Manetto.

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6 commenti »

  1. A parte alcuni errori di formattazione, non riesco a capire se il racconto è scritto apposta così. Nel senso che non capisco se sembra il libero e immaturo flusso di pensieri di un adolescente o lo è. Non so se questo sia un bene o un male.

  2. Attraverso un monologo si descrive un disagio. Si avverte l’alienazione del protagonista che osserva in modo distaccato il quartiere. Ma è il distacco di chi non giudica, solo di chi subisce immagini e magari subisce anche la propria di vita. Il linguaggio crudo e le volgarità che lo caratterizzano fanno parte della descrizione del personaggio. Questo è quanto mi suggerisce questo racconto e mi piace.

  3. Via delle Terme: versione riveduta e corretta di Via del Campo, della mitica coppia Iannacci / de André. Racconto divertente ed ironico che narra le vite “dannate” e squallide degli abitanti di un palazzo puzzolente e sporco nella bella e signorile Firenze ( un contrasto che fa inorridire!!). Il linguaggio colorito ed esplicito- da scaricatore di porto- ben si addice al degrado in cui il narratore si trova a vivere per 4 anni. Sarebbe stato strano se avesse usato un linguaggio infiocchettato, estraneo al contesto. La cosa che però noto è un certo squilibrio nella trama. Mi spiego meglio. Il racconto inizia col presentare un’ inquilina dalla doppia vita, che di nome fa Maria e che abita sullo stesso pianerottolo del narratore. Benissimo e bellissima narrazione. Poi si scende di un piano e si incontra Matilde e la sua numerosa e variopinta famigliola. Ecco. Per due terzi, e fino alla fine, ci viene narrato vita, morte e miracoli di Matilde & C , mentre mi sarebbe piaciuto fare un giro per il palazzo. Cioè: chi sono gli altri inquilini? Forse potrebbe nascerne un romanzo!?

  4. Vorrei puntualizzare che questo racconto l’ho scritto imitando lo stile di Charles Bukowski che mi aveva affascinato dopo aver letto numerosi suoi libri.
    Devo dire inoltre che fa parte di una serie di racconti da me scritti sempre sotto la stessa influenza. Aggiungo che si tratta di racconti assolutamente reali.
    Mi fa piacere che la signora Bertino abbia colto l’aspetto divertente ed ironico.
    Ringrazio infinitamente anche la signora Tamarri per il suo commento lusinghiero.
    E’ necessario anche che faccia presente alla signora Serafini che all’epoca dei fatti narrati avevo più di trenta anni; quindi non si tratta di un flusso di pensieri adolescenziali. Riguardo alla formattazione confesso che mi sono servito del copia-incolla postando così il racconto in modo forse non troppo corretto.
    Ringrazio tutti coloro che hanno e avranno la bontà e la pazienza di leggermi e porgo i miei saluti.

  5. Male non scrivi ma condivido il commento della Signora Serafini, meno quelle delle Signore Bertino e Tamarri (d’ora in avanti ci rivolgiamo così alle Autrici, hai avuto un’ottima idea). Il tuo cognome è bellissimo – seriamente, lo dico – di che regione sei? Quanto al testo perchè imitare Bukowski? E’ come se una donna decidesse di diventare bellissima “imitando” la Santanchè. Nel mondo esclusivamente vitale di Bukowski (genitali maschili e femminili, alcolici e vomito) si trova poco o nulla di interessante. Non puoi mai apprezzare fino in fondo una cosa che ti fa venire voglia di chiedere all’Autore se ha immagini che possano accompagnare il testo. Un saluto 🙂 CEMF

  6. Sono molto d’accordo con la signora Bertino, in quanto avresti potuto darci una rapida e significativa visioneanche di alceni altri personaggi del caseggiato. Sarebbe aoora un buonroggetto anche per una sceneggiatura.( perchè non proviil dialogo?).Poi chi parla non puòessere che una persona giovane e che usa un linguaggio limitato e appropriato.Il fatto che tu bbia trenta anni non vuole dire niente.perchè un conto è l’autore, un conto il personaggio. E’ un racconto vivido e vivace , secondo me , puoi allungarlo, mantenendo un certo ritmo narrativo.

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