Premio Racconti nella Rete 2013 “Mi suoni qualcosa?” di Massimiliano Todeschi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013“Un mese? Intendi un mese intero?”. Aria liquida e senza vento, foglie faticosamente attaccate ai rami e un tardo pomeriggio d’estate come mille altri. Holly fissava apparentemente incredula l’orizzonte punteggiato dalle colline appoggiate su quella linea inesistente ma insistente. I suoi occhi, liquidi anch’essi, non puntavano l’interlocutore, né pretendevano di trasmettere partecipazione. O forse non volevano mostrarsi troppo impressionati. “Un mese, un mese” ripeté Alex, viso appuntito inanellato dalla barba incolta. “Ti pare così strano dedicare del tempo libero alla cura di se stessi?”. La sua voce era increspata da lievi incertezze. “Cura di se stessi?” gli fece eco Holly, come se sentisse quelle parole per la prima volta. “Dormire quando si ha sonno e mangiare quando si ha fame è la più elementare cura di sé. E tu questo non lo fai!”.
Alex già guardava altrove. Eccola, la reprimenda, nemmeno troppo celata. Se l’aspettava, in qualche modo. Le ferie d’agosto, abitudine consolidata per milioni di persone, per lui erano una jattura, un precipizio di cui intravedi il fondo che stai pian piano raggiungendo. I sospiri di sollievo degli “altri” gli portavano una sensazione indefinita e indefinibile, fitta ma inconsistente, fatta di mancanza di impegni e di stimoli, di tempo che sembra non passare mai e di tensioni in apparenza sopite sul punto di esplodere. Il magazzino di ricambi auto per cui lavorava aveva subito i duri colpi di quella che tutti chiamavano “la crisi”. E i suoi capi avevano invitato lui e i suoi colleghi a smaltire quanti più giorni possibili durante un mese di penuria degli ordini già in condizioni normali. Alex aveva incassato il colpo, quasi senza reagire. Non aveva mai cercato seriamente un lavoro più in linea con quello che gli interessava. Ovvero, suonare la chitarra, la stessa che anche oggi portava con sé. Ogni anno proclamava “con i soldi messi da parte questo mese si avvicina l’acquisto della mia Fender Stratocaster made in Usa”, salvo poi dilapidare le sue sostanze in fiumi di birra o ore di sala prove. O consumando fiumi di birra in sala prove, spesso in compagnia di figuri ancor meno presentabili o affidabili di lui. E senza Holly. Solo con lei poteva trovare una sua dimensione. O almeno, avvicinarsi all’equilibrio. La pazienza e dolcezza che le appartenevano si abbinavano ad un piglio poco femminile e quasi militaresco, ma del quale Alex non riusciva a fare a meno da più di tre anni. Un’alchimia di gesti, sguardi accigliati e attenzioni leggere, soffici ma indispensabili.
“Sto solo cercando di staccare, e questo è un modo per farlo” riprese Alex lentamente, dopo aver finito di fingere di fissare l’erba. “Ci stiamo completamente infatuando di qualcosa che non esiste. Ormai in nessun discorso della durata di più di tre minuti si può fare a meno di nominare Facebook”. La parola magica. “E pensi di risolvere il problema staccando i tuoi contatti con il mondo per trenta giorni?” lo rimbeccò lei, che sentiva l’interesse per la conversazione scemare e la sua mano pasticciare nervosamente tra i capelli. “No, non lo penso! Ma vedi che anche tu sei entrata nel circolo vizioso? È incredibile” il respiro di Alex si andava affannando, forse più per teatralità che per reale adesione a ciò che stava sostenendo. “Pensavo fossi diversa”. “Ma diversa da chi? E da cosa?” ribatté Holly scostandosi un ciuffo ribelle, d’improvviso distolta dal censimento delle doppie punte. “Da quello che fanno tutti, ecco da cosa! Ti rendi conto? Non riusciamo più a vivere senza essere connessi. Ci sentiamo isolati. E prima? Sai che quando siamo nati Internet neppure si sapeva cosa fosse…e ora eccoci qui, schiavi di uno schermo e di una tastiera. Questo mio sciopero è solo un modo per ribellarmi al sistema”. “Ancora…che palle…” disse lei, o forse lo pensò ad alta voce. Alex riprese. “So di usare spesso la parola sistema. Sono fatto così, mi pare di essere schiavo di un padrone che neppure conosco. Non per nulla ho parlato anche di sciopero”. Non per nulla. Alex aveva ribaltato l’insegnamento giornalistico dello “scrivete come parlate”. Tendeva a parlare come si scrive. Da Holly, solo silenzio. Una finta quiete, densa come l’acqua di uno stagno senza ninfee. “Dicevo, non si può pensare che la vita sia diventata un social network. Che tirare un po’ il fiato per conto proprio voglia davvero dire isolarsi. Il mondo è fuori” sillabò “fuori da quell’insieme di false amicizie”. O almeno superficiali, avrebbe aggiunto, ma si trattenne. Holly risparmiò il sarcasmo e tacque. Non contava più le volte in cui aveva accolto, con finta sorpresa, l’intuizione speculativa di Alex sul concetto di amicizia in Facebook. Le sembrava ogni volta di risentire la predica di una sua vecchia e inacidita professoressa di lettere. Una predica in più non avrebbe fatto differenza. Ma ora no. Non ora.
“Voglio essere io a decidere quando finire la partita e se ricominciare a giocare. Lo capisci, questo?” continuò lui. “Capisco che avresti bisogno di una vacanza” ribatté lei, piatta e vaga, senza aggiungere quel “portami con te” che si serrava spesso tra le labbra. Ma Alex vagava nei suoi pensieri, ammaliato dal silenzio, questa volta solido, in cui Holly lo stava imprigionando, e che aveva prevalso. Finire la partita. E non perché hai perso, ma perché tu lo vuoi. Un game over volontario. Senza vittoria né sconfitta. Perché non è un gioco vero, con inizio e fine. Non si gioca, ma si partecipa, o ci si illude di farlo. Dalla logica del “così fan tutti”, da quella voleva fuggire. Ma non mettendo in pausa. Voleva uscire per poi rientrare, se e quando l’avrebbe voluto. Un po’ di vento, lieve. Iniziarono a camminare per quel sentiero improvvisato tra due salici, con apparente decisione. Le loro mani non si sfioravano, ma stringevano risentimenti e promesse e fissazioni e sorrisi e reciproche sopportazioni, tutto in nome di qualcosa di più grande delle loro metà. Era come se fossero uniti. Holly gli chiese se potevano parlare d’altro. Era questo il suo game over. Lui rispose che non vedeva l’ora di poterlo fare. Finalmente. “Anzi. Mi suoni qualcosa?”. Alex sorrise.
Alcune immagini descritte sono belle, ma il resto non ha un filo logico, o almeno a me non è giunto immediato..che uno potrebbe anche dire “e chi se ne frega”, se non fosse che sono pure io una povera lettrice! A parte la “ramanzina” neanche poco celata sul modo di vivere oggi: facebook e compagnia cantante, io vedo poco..