Premio Racconti nella Rete 2013 “Bastia” di Claudia Fenili e Graziano Magrini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Sabato 17 maggio 2060
La grande vela dorata scomparve, come dissolta nella bruma leggera del mattino. La chiglia iniziò a scendere, lentamente, sino a toccare il pelo dell’acqua: la WindShip era puntuale ed io ero arrivato a Bastia, dopo 40 anni.
@pad9 comparve improvvisamente e con il suo fare arrogante da essere olografico mi urlò: ‘sbrigatiiiii! Siamo arrivatiiii!!’. Sobbalzai, mi ripromisi come sempre di riprogrammarlo e mi avviai verso l’uscita.
La porta pressurizzata si aprì e lasciò finalmente entrare l’aria vera, calda e ricca di salmastro di Bastia ed io la respirai a pieni polmoni, tentando di espellere dal mio corpo tutto l’ossigeno arricchito inalato durante il viaggio.
Mi accorsi di provare una strana nostalgia. Stavo diventando tale e quale a mio padre, non solo fisicamente, ma anche nei pensieri. Come lui si perdeva nel suo mondo di ricordi perfetti, adesso anch’io ripensavo alle spiagge, agli ombrelloni e alle ragazze delle estati della mia gioventù. Certo, era stato il potere evocativo del salmastro a provocarmi la momentanea deriva e la modernità non significava per forza rinunciare alle proprie emozioni, ma dovevo stare più attento.
Smisi di pensare.
Bastia era là fuori e mi aspettava. Di lei ricordavo i muri neri e i palazzi decadenti, l’aria insalubre, il traffico, la sporcizia, ma adesso mi sarebbe apparsa davanti una Città Rinata, una delle 7 esistenti fuori dalla Zona Controllata ed io non ne avevo ancora visitata nessuna.
Uscii all’aperto e attraversai la passerella telescopica che mi divideva dalla banchina, immergendomi nella luce del mattino. Davanti a me si ergevano magnifiche le torri d’ingresso di Bastia, in faccia al porto e al mare. Il sole splendeva portentoso attraverso lo Scudo nuovo della città ed ogni cristallo delle torri vibrava nel vento emanando bagliori e tintinnii di campanella.
Mi si aprì il cuore come solo la bellezza riusciva a fare. Dimenticai il motivo del mio viaggio e mi sentii leggero e perfino felice.
Ritirai il bagaglio e presi un Cart che mi condusse verso il punto di smistamento visitatori, di fianco alla “Babel Tower”, la torre di destra. @pad9 consegnò il mio Pass bisbigliando qualche cosa al Guardiano e poi svanì nell’aria.
I visitatori che avevano consegnato il Pass formavano già una fila ordinata di Cart che si snodava fin dentro la città passando sotto il grande arco trasparente sospeso tra le torri. Anch’io mi preparai ad alimentare quella fila.
Ero eccitato e con gli occhi spalancati guardavo in su, mentre il mio Cart mi conduceva, come gli altri, oltre le torri e l’arco sospeso. Al di là dell’arco mi apparvero i grandi grattacieli arcuati di Bastia, di acciaio e cristalli azzurri, che prendevano forma direttamente dal mare, come onde giganti.
La lunga fila dei visitatori proseguiva sopra il mare, come appoggiata su un piano invisibile, e si insinuava tra gli edifici. Passai sotto la volta delle grandi onde azzurre dei grattacieli, soggiogato da tanta imponenza e bellezza, mentre sotto di me un’infinità di capidogli, delfini e piccoli pesci nuotava a differenti profondità, incrociando le proprie traiettorie.
Ero talmente rapito dall’incredibile scenario in cui mi trovavo, che non mi accorsi di essere giunto nel cuore della città finché lo spazio non si aprì e apparve davanti a me il Grande Palazzo Veliero, simbolo di Bastia.
Lo avevo già visto in ologramma molte volte ma non era la stessa cosa.
Ciò che mi colpì di più, non fu la vastità dell’edificio, ma la perfezione del movimento che lo animava. Le sue vele blu cobalto salivano, si tendevano, scendevano, perdevano forma e si gonfiavano nuovamente. Non era certo il vento a farle muovere. Sembravano piuttosto seguire regole rigorose che, per quanto tentassi, non riuscivo a decifrare.
Improvvisamente la vela più grande sembrò vibrare, rallentò, poi si fermò del tutto. Così fece una seconda, e una terza vela, finché tutte, inesorabilmente, si arrestarono.
La fascinazione si interruppe. Provai un misto di sorpresa e delusione e dovetti tornare alla realtà. Mi accorsi allora che il mio Cart aveva abbandonato la fila dei visitatori, si era sollevato dal piano invisibile e stava salendo parallelamente all’Albero Maestro. Un pensiero tornò chiaro nella mia mente: io non ero un semplice turista.
Intanto stavo salendo sempre più velocemente mentre il buon umore cominciava ad abbandonarmi. Ero ormai molto in alto, ben più in alto del Palazzo Veliero e di tutti i grattacieli di Bastia e ancora continuavo a salire. La città sotto di me iniziava a scomparire, mimetizzata. Sembrava adesso una semplice increspatura del mare.
Ma dove ero diretto? L’attesa cominciava a pesarmi.
La tensione si trasformò in presentimento che, ad un tratto, diventò nitida certezza di pericolo: lassù c’era lo Scudo, da qualche parte, e presto mi sarei infranto contro di lui e non potevo in alcun modo impedirlo.
Mi assalì il panico: non potevo morire così! Guardavo il cielo sopraffatto dal terrore mentre tentavo inutilmente di deviare la rotta del Cart. Sentivo l’aria intorno a me schioccare per l’elettricità e lo spazio riempirsi di un sibilo sempre più acuto. Una morsa mi attanagliava i polmoni e non riuscivo quasi a respirare mentre ormai attendevo l’inevitabile impatto.
Poi, improvvisamente … il silenzio. I miei polmoni tornarono liberi.
Mi trovai immerso in una nebbia bianca, fluttuante ed iridescente.
Forse fu una reazione nervosa: smisi di provare paura, anzi, cominciai a sentirmi euforico e insensatamente onnipotente. Avevo raggiunto lo Scudo e lo Scudo mi stava lasciando passare. Tra poco sarei approdato al di là. Mi ripetevo: ”Ancora pochi attimi e vedrò la verità! E finalmente potrò capire il senso di tutto questo!”
Nella nebbia mi parve di distinguere un grande albero, sotto il quale, 40 anni prima, avevo nascosto qualche cosa. Ma cosa? Non riuscivo a ricordare. Vidi me, quando ero ancora completamente umano, prima della lunga operazione per gli innesti biotech. Vidi un volto di donna, poi un bambino. Vidi una luce, una grande luce abbagliante e sentii per la prima volta in vita mia di essere profondamente libero.
Poi tutto si dissolse, insieme alla nebbia iridescente.
Il chirurgo si fermò: “non c’è più niente da fare” – disse.
Sogno inquietante oppure realtà da incubo? Racconto scritto molto bene, ricco di immagini riportate in modo davvero efficace. Complimenti!
A me invece questo racconto ha dato l’impressione di uno stato di coma, forse di un bimbo, che durante il coma sogna di essere proiettato verso il futuro. Comunque molto bello davvero, con queste atmosfere rarefatte e utopistiche. Bello il precipitare verso la conclusione finale.
Bravi, spiazzante davvero…questo strano e caotico ambiente futuristico infine risulta essere l’emblema di qualcosa…o di qualcuno!