Premio Racconti nella Rete 2013 “Hai mai visto un fiore nero?” di Laura Paggini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013– Nonna!… –
– Non è niente. Passerà. –
Sempre così, ogni giorno. Lo sguardo smarrito, perso in un mondo troppo grande, dove anche il vento è nemico…
– Ah ah! Ha i capelli che non volano! Sembrano di stoppa! –
Dove anche i fiori sono nemici…
– Hai mai visto un fiore nero? –
Un mondo dove il freddo è gelo e ogni cappotto è fatto di velina.
– Nonna!… –
Le si gettò addosso disperato, stringendosi forte al suo corpo spigoloso.
I segni del tempo e delle tante frustate nel carcere di Kufra, scolpivano il viso scarno della donna di una ragnatela di strade a fondo chiuso e soffocavano il suo cuore. Come polvere in una casa abbandonata da secoli, pesante, oscena, le impedivano di guardarsi nello specchio.
– Passerà. – ripeté ancora. Perché tutto passa… e tutto continua.
Era fuggita dal suo paese, la Somalia, dove aveva lasciato tutto, anche il corpo senza vita di sua figlia. Aveva attraversato il deserto e ad ogni passo lo aveva chiuso nell’anima, sempre più, insieme all’arsura che consumava le lacrime.
Aveva vissuto la violenza della guerra e della miseria, l’angoscia e l’indifferenza riservate agli emigranti. E ogni volta si era detta “passerà”, andando avanti per dare vita a suo nipote.
Dopo tanto provare, si era fermata in quella città dove il mare sapeva di festa, con il sole che giocava a dipingervi tante stelle. Si accendevano qua e là, al ritmo del suo lieve ondeggiare, come le danze del suo paese.
Faceva caldo e vedendo tante persone distese a cancellare sotto i suoi raggi, il pallore della loro pelle, pensò che lì nessuno avrebbe dato loro la colpa per essere neri.
Ma la sera, seduta su un marciapiede alla luce fioca di un lampione, da una finestra aperta la percosse la voce stridula di una mamma:
– Smettila! O chiamo l’uomo nero! – e la sua mano si incendiò attorno a quella di Maamri addormentato.
Con pazienza aveva trovato un piccolo lavoro, un piccolo letto e un grande sogno quando suo nipote aveva cominciato a frequentare la scuola.
Ma ogni giorno, al ritorno, i suoi occhi neri come il mare di notte, piangevano un’amarezza sempre più disarmante.
Aveva cercato di spiegargli ciò che non ha spiegazioni. Per convincerlo che esisteva di peggio, gli aveva raccontato della guerra nel loro paese, mentre dentro di sé i colori e gli odori della sua terra ancora struggevano il cuore, nonostante tutto.
Passerà, perché tutto passa; anche il tempo, scandito da quei pianti sempre più insistenti, si sarebbe presto consumato.
– Leggi! … Studia! – Non riusciva a dire altro.
Non sapeva più cosa fosse la consolazione e stava perdendo anche il coraggio.
Maamri perse la voglia di andare in strada, la speranza che gli venisse concesso di tirare un calcio al pallone.
Rimaneva ore alla finestra, tra le persiane cadenti, ad aspettare che qualcuno lo chiamasse ma nessuno lo chiamò.
Scendeva piano le scale nell’ombra della sera, quando tutti i bambini erano rientrati per cena.
Camminava dondolandosi un po’ e la nonna lo scrutava dai vetri appannati dal suo respiro, gli occhi appannati da un dolore sommesso.
Oggi i bambini erano stati più chiassosi del solito. Erano corsi avanti e indietro da un vicolo vicino, ridendo e urlando.
Maamri aspettò che se ne fossero andati, poi, senza dire niente, uscì per scoprire cosa li avesse eccitati tanto.
Appena voltato l’angolo, procedette a tentoni. Era buio, solo le luci dalle case in lontananza gli dicevano “sei vivo”, mentre gli sembrava di precipitare all’inferno.
Nel silenzio pesante che lo intimoriva, sul punto di tornare indietro, lo sorprese un sottile miagolio.
I fari di un’auto, dalla strada vicina, illuminarono per un attimo la sagoma di un gattino rannicchiato in un angolo del marciapiedi.
Gli si avvicinò piano, per vederlo meglio. Il gatto non si mosse, ma il terrore che lo faceva tremare paralizzò le gambe lunghe e magre del bambino.
Maamri si guardò intorno, come a chiedere “Posso?”, agli occhi severi da cui si sentiva continuamente osservato e giudicato.
Il micino miagolando gli dette coraggio e lui lo carezzò con le dita leggere come petali.
Se lo prese in braccio e lo portò con sé, di corsa, per la paura che qualcuno glielo potesse togliere.
– Nonna! Un gattino! – esclamò esultante, – E’ mio! –
– … E’ cieco. – sussurrò la nonna, voltandosi appena.
Maamri lo scostò un attimo per guardarlo meglio.
Aveva gli occhi coperti di cera; gli sembrarono del colore del cielo la mattina d’estate, quando è tenero e spumoso come il latte. E una pacata dolcezza gli si infilò nel cuore.
Sentì il vento leggero giocare fra i suoi capelli ricciuti e la brezza abbracciarli come fossero fili d’erba.
– Fa freddo stasera – fece la nonna tra sé, mentre chiudeva la finestra.
– Lo posso portare a letto con me? … Lo chiamerò Cielo! –
La mancata risposta fu per lui più esauriente di un sonoro sì.
La donna faceva poco uso di parole; nella sua vita non si era mai potuta permettere il futile. Uno sguardo è quanto basta per chi sa parlarsi con l’anima.
Cielo e Maamri dormirono insieme, abbracciati, scambiandosi il battito dei loro piccoli cuori rinnegati.
Dal giorno dopo, il bimbo rientrò a casa sempre più felice. Giocava con Cielo, rideva con Cielo e la nonna ringraziò il suo buon Dio, per l’amore che era entrato nella loro vita.
Le risa del nipote fermarono i bimbi per strada, che guardarono quella finestra aperta perplessi, incuriositi.
La noia dei soliti calci al pallone si fece sempre più insopportabile di fronte a tanta gioia e la curiosità diventò presto smarrimento, rimpianto … rimorso.
Mentre il micino si crogiolava al tocco lieve dei petali del suo fiore nero, qualcuno dalla strada arrossì.
– Lassù… c’è il cielo! –
Un racconto che introduce un bel messaggio di speranza nella vita tumultuosa di questa nonna e del suo nipotino riusciti a sopravvivere alla guerra. Un bel gattino molto sfortunato anche lui, prima di incontrarli, perchè ora i tre possono riuscire a darsi tanta compagnia e altrettanto affetto, sentimenti che purtroppo a volte difficilmente gli umani sono disposti a riservare al loro prossimo.
Racconto che regala molte immagini poetiche. Penso a “gli occhi coperti di cera” del gattino cieco e che di nome fa Cielo, come il “colore del cielo la mattina d’estate” . Oppure l’ultima frase che chiude il racconto “Lassù c’è il cielo”. Se devo trovare qualcosa da modificare, direi l’inizio, più raccontato che mostrato. Complimenti.
PS Anch’io ho scritto un racconto dedicato ai profughi, però per bambini. Si chiama “La terra meravigliosa”.
Una storia toccante, con una bella morale e un messaggio di speranza, mi è piaciuto soprattutto il titolo e il nome del gattino con tutto il suo significato! Brava!
Grazie a Giovanna, anche per il suggerimento prezioso, a Roberto e ad Alessandro. I vostri commenti sono stati una bella sorpresa, di quelle che rivitalizzano al rientro da un noiosissimo viaggio di lavoro. Adesso vi chiedo una cortesia, come devo fare per leggere i vostri racconti? Grazie!
Ha patito il dolore più lancinante si possa subire, ha lasciato la sua casa e un paese in guerra, pur di dare un futuro a suo nipote.
E’ bella la figura di questa nonna che affronta con grande forza interiore tutte le asperità che la vita le ha riservato.
Tenero l’incontro tra suo nipote e il micio. La loro intesa sembra quella che spesso si stabilisce tra anime relegate ai margini.
Molto bella l’immagine di loro due che dormono abbracciati, scambiandosi il battito dei loro piccoli cuori rinnegati
Significativo il contrasto finale tra la noia dei ragazzini che giocano a pallone e la gioia di Maamri che gioca col gattino.
E’ un racconto molto bello. E anche un modo per ricordarci che spesso si nasconde una storia come questa, dietro lo sguardo di chi arriva da lontano.
Il racconto è scritto particolarmente bene. Ma l’autrice mi scusi se sul senso del racconto sono un po’ perplesso, da una visione manichea in bianco-nero mi pare che si passi a una manichea in nero-bianco, con i bambini del posto tutti cattivelli e annoiati. Certo è possibile che questo succeda, ma immagino che non sia frequente. C’è anche da dire che Maamri e soprattutto la nonna hanno una loro cultura che consente di spiegare il mondo e forse anche sapere a chi appoggiarsi in un paese che li accoglie.
Gioacchino e Amaso, ho letto solo adesso i vostri commenti e me ne scuso. Vi ringrazio entrambi. Vorrei tanto che l’opinione di Amaso corrispondesse al vero, lo spero per il futuro perché molto spesso, purtroppo, ho incontrato solo un’ospitalità di superficie che ben poco ha a che vedere con l’accoglienza. Però magari mi sbaglio e se così fosse ne sarei veramente felice. In quanto al commento di Gioacchino De Padova che dire? Mi hai commosso, grazie!