Premio Racconti nella Rete 2013 “In volo” di Laura Paggini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Era seduto in un campo di girasoli, nell’aria frizzante di un mattino sereno di fine estate.
Guardava il cielo e si chiedeva se fosse lontano o cominciasse dove finiva il suo corpo.
Un colpo di fucile lo fece sobbalzare.
Da un capanno vicino si sparava alle tortore che facevano ritorno alla loro terra, l’Africa.
Forse era un giovane figlio che era caduto… lo graffiarono gli occhi imploranti, terrorizzati di suo fratello. Emigrante come gli uccelli, quel piccolo non ce l’aveva fatta.
Giorni e notti a galleggiare su un mare di colpo sconosciuto, infido, in un travaglio senza fine. L’approdo come un parto, ma alcuni non seppero nascere.
Per lui era stato diverso, anche se aveva perso per sempre il suo villaggio ed era divenuto un nomade dell’accoglienza.
Finché era arrivato dove era, un paesino dagli occhi bassi, con poche braccia esili cui aveva offerto subito le sue, giovani e vogliose.
Il bisogno accumuna e nessuno si chiese chi lui fosse, aveva la forza e questo bastava.
Lavorò nei campi, separando la terra con solchi perfetti, profondi, sentendosi lui qua e loro là, finché una pioggia torrenziale li inondò e divennero marinai dello stesso fiume.
Imparò a usare cemento e mattoni e si costruì un riparo dagli occhi indiscreti, ma lasciò aperta la porta perché non gli venisse meno l’aria.
E in un alito, una mattina d’inverno, si affacciò lei a chiedergli aiuto per il padre ammalato.
Non capì, ma fidandosi del suo sguardo smarrito, la seguì fino a una stanza cupa e afflitta.
Dal letto la voce affannata di un uomo gli chiese di avvicinarsi. Era Umberto, condannato da un “brutto male”; lo aveva sentito dire in paese.
La figlia, da un angolo buio, lo raggiunse con le sue parole logorate dal dolore e dalla stanchezza.
– Aiutalo tu. Con la medicina del tuo paese. –
Yonis trasalì. Non era una ferita ciò che aveva offeso quell’uomo; dall’alto qualcuno si stava divertendo a rubargli il respiro. Ma sentì che non poteva sottrarsi a quella richiesta accorata. Sapeva bene quanto fosse crudele la disperazione lasciata senza risposta.
Una palla lanciata dall’alto di un albero deve cadere a terra, far sentire la sua voce rimbalzando, perché tutti si voltino e qualcuno non possa fare a meno di tendere le mani e farla sua. Se rimane sospesa, è vittima dell’assenza e la gravità del suo dolore si perde nel vuoto.
Yonis si sedette accanto a quell’uomo e lo guardò negli occhi, ricambiato.
Ogni giorno, dopo il lavoro, il giovane andò in quella casa fredda e spoglia. Sempre più imparò a donare le sue parole e il padre a riceverle, come fossero l’aria che il suo corpo non riusciva più a catturare.
Ogni giorno si allungava il tempo che i due uomini vivevano insieme.
All’ora di cena Pina preparava anche per lui e, mentre mangiavano in silenzio, si sentiva sempre meno stanca.
Trascorsero pochi mesi e il tepore della primavera si portò via suo padre in un sorriso.
In quei giorni, l’uomo aveva conosciuto bene l’animo di Yonis e tanto gli importava.
Quando non ebbe più bisogno di chiedersi che fine avrebbe fatto sua figlia, si lasciò andare, vibrando nel cielo insieme alle tortore che stavano arrivando a partorire nuova vita.
Yonis pianse per lui, che non era rabbrividito davanti al colore della sua pelle, nera quanto quella stanza; che non aveva fatto scempio dei suoi sogni; che si era stretto alla sua mano come una presa alla spina, accendendo finalmente una luce nell’incurante indifferenza del mondo.
In lui aveva riconosciuto un padre … in lui Umberto aveva abbracciato il figlio e perpetrato il proprio amore per la sua giovane donna.
Pina tornò dal piccolo cimitero, freddo anche d’estate e trovò ad accoglierla lo scialle largo e caldo delle braccia di Yonis.
Vivevano insieme, nel sibilo delle chiacchiere altrui che faceva da sottofondo alle loro poche passeggiate nella piccola piazza.
Entrarono in chiesa e la fiammella di una candela volteggiò, pennellando di luce bruna i vecchi mattoni intorno; poi si ricompose e discreta, li ascoltò parlare con il parroco.
Di lì a poco sarebbe nato il loro piccolo Al Fari e desideravano che una mano grande e forte lo potesse sorreggere per sempre, oltre le loro vite.
… Yonis guardava il cielo, come faceva ogni domenica, prima che sua moglie e suo figlio si svegliassero.
Seguiva le nubi che il vento avvicinava in un bacio al volto di suo fratello, addormentato tra le braccia di Umberto.
Le sue mani incontravano la terra color latte che nutriva i girasoli. Era la pelle di suo figlio, che si era stemperata, che per Pina si era accesa dei suoni e delle danze di terre lontane.
In alto volavano le tortore africane, con il coraggio di chi sa di essere nel giusto.
Volavano nel cielo, sopra la mappa fisica del mondo, sopra l’unica diversità che da lassù abbia un senso, quella dei boschi, dei monti e dei mari.
Un colpo di fucile si schiantò per un attimo nell’aria. Il cielo lo cancellò in un piccolo sbuffo.
Gli uccelli erano ancora in volo.
Anche questo racconto mi è piaciuto molto, forse più dell’altro…è scritto e descritto molto bene. La frase finale a mio modesto parere è bellissima.
Belle le tue storie, toccanti e molto profonde!! Complimenti!!
Ti ringrazio, Alessandro. Ho apprezzato anch’io il tuo lavoro.
Un racconto evocativo di buoni sentimenti. Buona l’idea di accomunare il viaggio delle tortore al viaggio che Yonis e suo fratello hanno dovuto fare verso una terra in cui poter un giorno riuscire a vivere più tranquilli. Purtroppo suo fratello non ce l’ha fatta. Comunque Yonis manterrà sempre vivo il ricordo di lui nel proprio cuore. Viene poi raccontata con una bella tenerezza di fondo, la fase in cui Yonis entra in sintonia con il moribondo Umberto e sua figlia Pina, che lo fanno sentire veramente accettato in un pasese così diverso da quello originario.
Grazie Roberto!