Premio Racconti nella Rete 2013 “Asimmetrie” di Stefano Finzi Vita
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Fosca nutriva uno smisurato amore per il prossimo. Paolo nutriva uno smisurato amore per Fosca. Così entrambi non trovavano pace, anche perché per la pace occorre misura.
Lei si avviava verso il traguardo dei venticinque anni senza aver mai avuto un fidanzato, e a chi glielo faceva notare rispondeva che non aveva tempo per cercare l’amore per sé, quando c’era così tanto amore da dare a chi ne aveva davvero bisogno. Arriverà anche per me, diceva, quando il destino lo vorrà.
In realtà Fosca non si piaceva. Tanto per cominciare non le piaceva il suo nome, eredità della nonna materna che non aveva fatto in tempo a conoscere, ma il cui sguardo severo nell’album di famiglia l’aveva inquietata sin da piccola. Un nome che ispirava notturne visioni e pensieri tristi, mentre lei aveva un carattere solare fatto per trasmettere gioia. Poi non amava il suo viso, fornito di un naso importante, dono paterno stavolta, e di un buffo neo marrone proprio sotto l’occhio destro. Per non parlare del suo corpo: la natura le aveva fornito un petto generoso, ma vistosamente asimmetrico. Mentre il seno sinistro si ergeva sodo e rotondo, il destro, di una taglia più grande, subiva l’affronto della forza di gravità pendendo alcuni centimetri più in basso. Per colmo di sventura una accentuata scoliosi sofferta in gioventù le aveva lasciato un fianco più basso dell’altro. Quando si guardava nuda nello specchio, le veniva da pensare che nessun uomo avrebbe potuto amare quel corpo che sembrava uscito dal disegno di un’artista cubista, e per evitare sofferenze aveva trovato altri sbocchi ai suoi sentimenti.
Che poi, al di là di questi ultimi difetti che del resto un buon reggiseno e una soletta nella scarpa riuscivano perfettamente a celare, Fosca era nell’insieme una bella ragazza, lunghi capelli castani e sguardo intenso, una sensualità naturale e un’allegria contagiosa. Tutte cose che facevano letteralmente impazzire d’amore il povero Paolo. Loro due vivevano nello stesso condominio sin da bambini, e si può dire che fossero cresciuti insieme. Lui era appena più grande, ma per diverso tempo avevano fatto parte della stessa combriccola che condivideva i giochi nel cortile. Poi per alcuni anni si erano ignorati, ed era stato solo verso i diciassette che Paolo si era improvvisamente accorto da un giorno all’altro dei rotondi mutamenti intervenuti nel fisico della vicina, così che il suo interesse per lei si era di colpo riacceso. Ma lei aveva ormai intrapreso la strada dell’impegno, in parrocchia prima, nel sociale poi, e respingeva sempre i frequenti inviti che Paolo le faceva perché si unisse alla sua comitiva. Mai con l’aria ‘di chi pensa di averla solo lei’, come invece insinuavano i suoi amici: ringraziava ogni volta, adducendo un motivo importante che le rendeva impossibile accettare, lasciando in Paolo l’illusione che la volta successiva sarebbe potuta andare meglio. Poiché però il momento giusto non arrivava mai, lui aveva finito per rivolgersi altrove per dare sfogo alla propria naturale carica ormonale. Ed essendo un bel ragazzo (il suo leggero strabismo di Venere ne aumentava semmai il fascino), non aveva mai avuto problemi. Solo che in fondo al cuore lui desiderava solo Fosca, e tutte le altre gli parevano scialbe e noiose. Così le sue storie non erano mai durate a lungo, e ogni volta che si ritrovava libero lui tornava alla carica, senza però ottenere più di un sorriso o una chiacchierata cordiale quando si incontravano.
Intanto era stato assunto alle Poste. Fosca invece, rimasta sola in casa dopo che la madre era tornata al paese, continuava con successo i suoi studi, dedicando tutto il tempo libero a decine di iniziative umanitarie.
Fu per questo che a un certo punto lui si convinse che solo aderendo a quelle iniziative avrebbe guadagnato punti nel suo cuore. Si presentava ogni volta nelle piazze in cui Fosca stazionava dietro ai banchetti, pronto a sottoscrivere petizioni o ad acquistare prodotti di beneficenza. Lei certamente apprezzava, e ricambiava con larghi sorrisi di riconoscenza che a lui scioglievano il cuore. Ma ottenere l’adesione di un amico era una ben piccola vittoria, qualcosa di scontato, e lei sembrava molto più felice quando riusciva a convincere una qualunque casalinga di passaggio. Nella dispensa di Paolo fecero la comparsa le arance della salute, poi le mele del Trentino e l’uovo di Pasqua della ricerca. Nel frattempo il suo davanzale andò coprendosi di azalee, gardenie e bonsai, mentre la sua casa si riempiva di inutili coccetti e soprammobili, tutte cose acquistate da Fosca in cambio di un semplice sorriso, senza che il loro rapporto facesse alcun passo avanti. Mangiate le arance e le mele, e poi l’uovo di Pasqua (la cui sorpresa, ironia della sorte, si rivelò un cuoricino d’argento), morte le azalee e le gardenie per la sua negazione nel giardinaggio, alla fine di quel periodo gli restò solo il bonsai. Quella piantina gli sembrò emblematica della sua condizione, come lui destinata a vivere al di sotto delle sue potenzialità di sviluppo e di amore, col cuore costretto dentro un’elica di fil di ferro, così immutabile nel tempo da sembrare finta. Fissando quel bonsai capì il suo grande errore: aderendo alle sue campagne compiaceva Fosca, ma non appariva ai suoi occhi migliore di chiunque altro facesse lo stesso. Doveva piuttosto offrirsi di condividere le sue iniziative, partecipando in pieno alla loro organizzazione e riuscita. Sarebbero stati insieme per molto più tempo, e prima o poi lei si sarebbe dovuta arrendere al suo amore.
La cercò e le disse di aver capito quanto la propria vita fosse priva di senso. Sapendo in quante iniziative lei fosse coinvolta la pregò di aiutarlo a impegnarsi in qualche buon progetto. Lei parve contenta (‘c’è sempre bisogno di chi dà una mano’), e gli propose di farsi trovare davanti al portone quel sabato alle 7.30: l’avrebbe portato con sé a tutti gli appuntamenti che aveva nella giornata, in modo che lui potesse farsi un’idea.
Paolo si prese un giorno di ferie e arrivò puntuale, carico a mille. Lo faceva sentire bene anche sapere che con lei avrebbe agito da uomo migliore. Fosca lo salutò con un bacio sulla guancia che a lui fece piegare le ginocchia, e partirono insieme per le grandi imprese che li attendevano.
Alle otto in punto erano davanti alla scuola elementare del quartiere, armati di pettorina e paletta, a fermare il traffico per far attraversare i bambini che arrivavano alla spicciolata. Una moto rischiò di investirlo, ma non se la cavò male. Alle nove erano già dietro a un banchetto sotto i portici per far firmare la petizione per la chiusura della discarica che stava avvelenando la falda acquifera. Ogni tanto qualcuno lo mandava a quel paese, ma dopo un po’ non ci fece più caso. Alle 11.30 corsero a prendere la metro, diretti alla mensa della Caritas. Lì Paolo dette il meglio di sé sbucciando patate. Quando però si trovò davanti la lunga fila di poveri diavoli in attesa del pasto quotidiano fu preso da una sincera stretta allo stomaco. Non aveva mai pensato a quanta gente avesse ancora il cibo come problema quotidiano. E non erano solo barboni o immigrati, ma intere famiglie con bambini, uomini pieni di dignità che probabilmente un lavoro ancora ce l’avevano, o l’avevano appena perso. E il sorriso di gratitudine che riceveva in cambio di ogni piatto gli sembrò un prezzo più che equo per il proprio impegno. Lo aiutava avere Fosca al suo fianco, con la sua straripante umanità e allegria, osservarne i piccoli gesti, come quando si fermava i capelli dietro le orecchie, o si grattava il naso col gomito per un improvviso prurito. Alle tre, dopo aver sparecchiato e aiutato a lavare i piatti, si trasferirono all’ospedale cittadino. Fosca aveva una lista di malati da andare a trovare. Alcuni erano anziani senza parenti: dedicargli un po’ di tempo e di attenzione era sufficiente ad alleviarne le sofferenze e il senso di solitudine. Più difficile fu per Paolo cavarsela con i malati terminali del reparto di oncologia, tra i quali alcuni bambini. Gente che non sarebbe probabilmente mai più uscita di lì, se non per morire nel proprio letto. Forse lo sapevano anche loro, ma il bello è che nessuno sembrava volerne parlare. Piuttosto che il trito proverbio ‘finché c’è vita c’è speranza’, per loro valeva il più banale ‘finché c’è vita c’è vita’, la voglia di assaggiare ancora qualche buon boccone di quel che l’esistenza poteva offrirgli. Dopo un po’ Paolo riuscì a perdere l’espressione contrita e melensa con cui era entrato, finendo per parlare di calcio con un ragazzo, per discutere di politica con un’anziana sindacalista, e per raccontare barzellette a un bambino. Ogni tanto gli capitava di cogliere lo sguardo di Fosca su di sé, e questo lo faceva avvampare. Ma non era giunto ancora il momento di fermarsi. Alle cinque e trenta fecero un salto al centro anziani per una riunione organizzativa sulla festa del giorno dopo, per poi arrivare alle sette alla sede del comitato di volontari di cui lei era vicepresidente. Lì si divisero in squadre: a quella di Fosca e Paolo toccò la zona nord. Saliti su di un pulmino, fecero prima il giro dei barboni, di ognuno dei quali conoscevano nome, storia e ‘indirizzo’ (in genere un ponte o un sottopasso). Portavano qualcosa di caldo da mangiare, coperte, vestiti, e prendevano richieste per la volta successiva. Alla fine puntarono invece verso la periferia, e imboccata la tangenziale presero a fermarsi presso i capannelli di prostitute che proprio allora iniziavano a lavorare. Vinta l’iniziale diffidenza grazie anche alla presenza di Fosca, dopo un po’ molte accettavano di parlare. Loro gli ricordavano l’importanza di usare sempre i profilattici, offrivano consulenze sanitarie e legali, cercando di risolvere anche solo i piccoli problemi. Una aveva il bambino che non sapeva dove lasciare quando lavorava, un’altra il bisogno urgente di uno specialista per guarire da un eritema. A tutte fornivano consigli e indirizzi di associazioni disposte ad aiutarle senza contropartite. Per Paolo parlare in mezzo alla strada con ragazze mezze nude di tutte le razze fu un ulteriore shock, ma quello che lo colpì più di tutto fu il non cogliere nei discorsi di Fosca e dei suoi amici nessun accenno di moralismo, ma solo un essenziale senso pratico. Se la cavò anche stavolta e per riconoscenza una procace nigeriana arrivò a promettergli uno sconto sulle tariffe se fosse tornato a trovarla da solo. Concluso il giro, verso le dieci, il pulmino li scaricò sotto casa. Nel salutarlo davanti al portone Fosca gli disse:
“Mi hai davvero sorpreso, sai. Non pensavo che saresti stato così bravo. Grazie per l’aiuto, e spero ti sia servito a capire cosa vuoi fare della tua vita.”
I complimenti lo riempirono di soddisfazione ma anche d’ardimento:
“Vuoi salire da me per bere qualcosa? Solo per chiudere bene questa lunga giornata.”
“Ti ringrazio, sono stanca morta. Faccio una doccia e vado a letto. Non ceno nemmeno.”
Lo abbracciò con un certo slancio e gli stampò un altro bacio sulla guancia, più intenso di quello del mattino, ma molto diverso da quello che Paolo avrebbe voluto. Si separarono lungo le scale, ma non poteva andare a dormire così, senza sapere se davvero lei non provava nulla per lui. Così una volta a casa preparò degli spaghetti aglio e olio, prese una bottiglia di vino e riscese da Fosca. Lei gli aprì sorpresa, scalza, avvolta in un accappatoio, con i capelli ancora bagnati.
“Stavo andando a dormire, non possiamo vederci domani?”
“Non volevo che restassi digiuna, e ti ho portato qualcosa. Dai, solo mezzora e ti lascio in pace.”
Lei si arrese con un sorriso spalancando la porta, e Paolo entrando fu avvolto dal profumo inebriante del suo bagnoschiuma.
“Allestisci pure in salotto. Prendi bicchieri e posate in cucina, finisco solo di asciugarmi i capelli.”
Si rinchiuse in bagno e acceso il phon si guardò nello specchio. Era nervosa. Il suo naso le sembrava più ingombrante del solito, il neo più marrone. Per la prima volta si trovava sola in casa con un uomo, per di più senza indossare reggiseno e soletta. Poteva rivestirsi, ma sarebbe parso strano. Concluse che un piatto di spaghetti non poteva farle male, visto che aveva pure una gran fame.
Finì di pettinarsi e uscì dal bagno. La tavola era apparecchiata, ma Paolo si era addormentato sul divano. Si sedette di fronte a lui senza sapere che fare. Ma in quel momento fu come se un velo si squarciasse improvvisamente nella sua mente, riportando alla luce una serie di ricordi e immagini dal passato. Riconobbe in lui il bambino che in cortile le tirava per dispetto i capelli, ma poi le regalava la sua merendina. Rivide il ragazzo timido che fingeva ogni volta di incontrarla per caso, mentre lei sapeva che l’aspettava nascosto nel portone. Ripensò alle decine di volte in cui l’aveva invitata con aria supplichevole ad uscire con lui. Lo rivide impettito davanti ai banchetti, ansioso di comprare qualcosa che spesso scordava di portarsi via, o a firmare petizioni già firmate più volte. Ripensò infine a quella lunga giornata insieme: all’eccesso di zelo che lui metteva in ogni suo gesto per ottenere la sua approvazione, ma anche alla sincera partecipazione che alla fine mostrava con le persone incontrate, al suo non risparmiarsi finché il risultato non era stato raggiunto. Ora era lì davanti a lei, addormentato e indifeso come un bambino. E per la prima volta lei lo vide sotto una luce diversa, come qualcuno che aveva un disperato bisogno di amore, del suo amore. Quell’amore che aveva sempre distribuito a piene mani a tanti, ma mai a lui. E le venne una gran voglia di saziare quella fame, insieme a quella che ora sentiva crescere anche dentro di sé, e non c’entravano più gli spaghetti. Si chinò su di lui e appoggiò le labbra sulle sue, quel tanto che bastò per risvegliarlo. Saltò su a sedere, sorpreso e confuso:
“Scusami, mi sono addormentato. Ma tu… mi stavi… baciando?”
Lei si rialzò, fece un passo indietro e disse:
“Paolo, io credo di poterti… di volerti amare. Ma non so se tu vorrai ancora amare me…”
Così dicendo chiuse gli occhi e spalancò l’accappatoio, pronta ad ogni più infausta conseguenza. Dopo alcuni istanti che a lei parvero interminabili sentì una mano di Paolo su di un seno e le sue labbra sull’altro, e non fu in grado di capire quale dei due gesti le stesse dando più piacere. Aprì gli occhi riconoscentee si gettò tra le sue braccia, sapendo a quale nuova missione avrebbe dedicato le sue migliori energie nei giorni seguenti.
Oggi Fosca ama smisuratamente Paolo, e Paolo continua ad amare smisuratamente Fosca. Quindi non hanno ancora trovato la pace, perché la pace chiede misura, ma godono di questa loro conquistata simmetria.
Questo racconto è la dimostrazione che si può parlare anche di una banalità, purché lo si faccia bene. L’ho trovato ironico e preciso. Mi ha ricordato la voce narrante dei film, quella a cui ci affezioniamo… Molto carino..e anche delicato nell’affrontare tematiche non semplici. Solo il finale non mi è piaciuto..con lei che lascia cadere l’asciugamano..non so, questa è una tipica visione maschile, ma io che sono una donna molto timida e da sempre in conflitto col mio corpo, non lo farei mai..
divertente… Con misura. Potrebbe essere il prossimo film di Virzi’
Interessante questa dinamica di coppia. L’amore è in questo caso stimolo a un ampliamento dei propri orizzonti, del proprio interesse per il mondo. Divertente anche la sua iniziale “sottomissione” che lo porta a ritrovarsi solo col bonsai.
Personaggi che si muovono tenerissimi nella strada che li porta a raggiungersi con altrettanta necessaria tenerezza. Complimenti
Sara Maria, Clara, Tommaso ed Emanuela, grazie dei vostri giudizi positivi. Mi fa piacere che a qualcuno faccia venire in mente il cinema, perché io mi sforzo in genere di ‘vedere’ le scene che descrivo.
Per Sara Maria: mi dispiace se il finale non si è capito, ma il racconto parla proprio dei conflitti col proprio corpo, e del fatto che la bellezza non sta solo nella forma perfetta. Fosca non si piaceva, e per questo sfuggiva gli uomini. Alla fine trova la forza di aprirsi all’amore (l’apertura dell’accapatoio) anche a rischio di sentirsi rifiutata. Ma quando scopre che Paolo apprezza proprio la parte di sé che lei non ama capisce che non è quello il problema, e si abbandona tra le sue braccia.
Ma questa è solo una piccola favola. So bene che non va sempre a finire così, e il rapporto col proprio corpo può dare molta sofferenza.
…dolcissimo racconto Stefano. Dove l’amore la fa da padrone…ovunque..in ogni azione dei due protagonisti e finalmente fra loro due!! Bravo!!!
Un racconto scritto molto bene, lui fa molta tenerezza, lei anche, con questa sua paura di non piacere, lo trovo delizioso come pezzo….bravo!!!!
Un racconto che narra molto bene il tema della solidarietà verso il prossimo. Per certi versi buffo che Fosca si accorga veramente di quanto siano genuini i sentimenti di Paolo, soltanto quando vedendolo addormentato, è come se questa volta risulta essere proprio Paolo, per la prima volta a darle buca. Molto bello il fatto che Fosca riesce ad alleggerirsi del peso più ingombrante che la opprimeva, dare troppa importanza ai propri piccoli difetti fisici. Ora è finalmente libera di fare solidarietà con l’accresciuta energia che gli forniranno il ritrovato amore innanzitutto verso se stessa e poi verso il paziente Paolo.
Bellissima la prima frase, la delineazione dei personaggi e lo stile. Non mi è piaciuta però la storia, che in alcuni punti mi pare un po’ inverossimile. Ma forse è un’opinione dovuta al fatto che non amo troppo le storie d’amore.
Comunque ti faccio i miei complimenti. Continua così!
È un racconto un po’ troppo raccontato e poco mostrato. Carina però l’idea finale di Laura che decide finalmente di fare un po’ di beneficienza a Paolo e a lei stessa. Certo, l’accappatoio che si spalanca è poco credibile per il personaggio schivo e insicuro di Laura, anche se intuisco che qui prevalga la voglia di lei di mettere tutto in chiaro, difetti compresi. Scelta molto pratica, dopotutto.
Un grazie collettivo ai nuovi commenti.
Per Lauramon: come ho scritto prima, non cercavo la verosimiglianza, e ho volutamente caricato alcune caratteristiche dei personaggi. Mi interessava ragionare con ironia sulle asimmetrie del cuore e su quelle imperfezioni fisiche che a volte condizionano le nostre vite. Il tutto in una favola a lieto fine.
Per Giovanna: Fosca (che tu chiami Laura) non manca davvero di generosità. Quando decide di donarsi a Paolo, lo fa con lo stesso slancio che mette in ogni altra sua iniziativa. A costo di un rifiuto, che per sua fortuna non arriva.
Sì, giusto, Fosca, come la memorabile Veronica Pivetti in Viaggi di nozze di Verdone. Ma lì, fosca davvero.