Racconti nella Rete®

24° Premio letterario Racconti nella Rete 2024/2025

Premio Racconti nella Rete 2013 “La bimba spezzata” di Nikki Simonetti

Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013

E’ mattina presto. L’alba scolora sotto un ponte di cemento bitorzoluto.

Il cielo singhiozza da qualche ora; alla fine decide di rovesciarsi a terra.

Allegra ha una fretta fottuta. Deve fare la spesa e pagare le bollette; in ufficio l’aspettano una delegazione straniera e due riunioni per l’approvazione del budget annuale.

Niente di nuovo.

Cupa, copre la distanza che la separa dal parcheggio con l’entusiasmo di un bradipo che si appresti a correre i cento piani.

Preme il pulsante del comando a distanza – una, due, tre volte in veloce sequenza.

Un idiota si è appiccicato al retro della sua Smart, lo fanno sempre, chissà perché: la cassetta è piccola, ma non trasparente.

Entra in auto, solleva poi abbassa il finestrino – alza e abbassa, alza e abbassa, alza e abbassa.

Gira la manopola dell’impianto stereo – accende e spegne, accende e spegne, accende e spegne – le labbra svirgolano in una smorfia.

Tre volte il gesto devi fare, e nessun male potrà arrivare.

Le ossessioni sono dure a morire; alcune, più di altre.

Prima, retro; prima, retro.

Colpetto al parafango dell’idiota, impennata, e finalmente sgomma.

Svolta all’angolo a destra; un centinaio di metri ed ecco l’incrocio della bicocca sbilenca, una manciata di piani incancreniti dallo smog che stanno in piedi come per miracolo.

Un maghrebino blatera, insiste nel pulire il vetro anche dopo che si è scapicollata, dimenando la testa di qua e di là come un cagnolino caricato a molla.

Allegra –di nome, di fatto non lo è da, tipo, mai – ficca la testa dentro il finestrino e urla, strilla che non serve, il vetro è pulito. Lo era, prima che il lavavetri sedimentasse sul parabrezza minuscoli residui di tessuto spugnoso color zafferano ammuffito.

L’attrezzo ha visto tempi migliori – come lei. Come tutti.

Il semaforo è un ciclope rosso, di nuovo, troppo velocemente; una macchina la segue da vicino, troppo, a rischio tamponamento. Qualcuno pigia sul clacson come se da quel gesto dipendesse la vita del guidatore.  Allegra strizza gli occhi cisposi: è una donna.

Probabilmente ha più fretta anche di lei: al suo fianco siede una sgallettata sui quindici, la faccetta immusonita intabarrata dentro cappuccio-sciarpa-piumino-stile-burka-talebano, lo sguardo bistrato e il nasino punzuto addobbato da piercing stile-albero di natale impettiti sul mondo.

Fa un gran freddo. Pure con la levetta del riscaldamento al massimo la Smart è una ghiacciaia – … e meno male si conformano agli standard per il Nord Europa, ‘ste cassette, brontola.

Allegra apre bocca per prendere fiato e una vignetta di vapore acqueo nella quale potrebbe scarabocchiare il suo pensiero, se solo ne avesse il tempo, prende vita di fronte alle sue labbra violacee.

Il cielo è un pantano cinerino. La forza di gravità martella verso il basso una fitta ragnatela di minuscole lacrime invisibili dotate della magica capacità d’infradiciare nel giro di un-minuto-uno chiunque si ritrovi senza ombrello. Allegra ha dimenticato il suo sul tavolo della cucina.

Quando scende, incassa la testa dentro le spalle e corre, azzardando il più improbabile degli slalom tra una goccia e l’altra, soccombendo alla lotta impari entro dieci metri.

Altri cento la separano dal cimitero.

Sbuffa e accelera, sventolando il mazzo di asfodeli gialli – i preferiti di sua madre – che regge nella destra, al ritmo della corsa. Nella sinistra, una borsa di pelle beige che, dopo essere stata utilizzata come parapioggia, completerà il proprio breve ciclo esistenziale nel cestino dell’immondizia.

Ringrazia il cielo per la sua passione per le borse grandi – sproporzionate, a giudizio del suo compagno, da quando dall’improbabile ricovero ha estratto una tronchesina e un cavo elettrico corredato di presa. Il giorno precedente, in ufficio, pur di non perdere una preziosissima videoconferenza, aveva riparato una presa elettrica.

Sospira. Ne ha di cose da fare, una donna adulta e responsabile cui la vita ha insegnato a fronteggiare ogni evenienza, in una giornata. Molte previste, altre impreviste. Alcune improbabili, assurde, persino. Improponibili, alle volte. Vagliela a spiegare. Da quel giorno la canzona senza pietà, chiamandola Eta Beta.

Gli uomini capiranno, ne è convinta – quando rinasceranno donne.

Eppure quel giorno deve trovarlo, il tempo. Arraffandolo qua e là alla rinfusa, dove capita, come a rovistare nel cassetto in cui dimentichi sempre di guardare – dieci minuti all’ufficio, cinque al supermercato, quindici alla cucina (più tardi comprerà lasagne confezionate cui aggiungerà un pollo arrosto, in caso di crisi da fame nera).

E’  l’anniversario della morte della mamma. Deve andare al camposanto, cascasse il mondo.

Sbuffa e sospira assieme, è un’anfora in bilico che ancheggia tra una goccia di pioggia e l’altra, rischiando la scivolata tra i paletti del terreno sfuggente, infido e sdrucciolevole, ad ogni passo.

Sul cancello, una donna piccola di statura dall’età indefinibile si scosta per farla passare, un sorriso di compatimento imbellettato sulle labbra anacronisticamente pitturate di rossetto color fucsia che sborda ai lati: veste di nero da capo a piedi. Regge un ombrello rosa su cui svolazzano farfalle azzurre.

Allegra sprinta e sogghigna di rimando all’improbabile quanto utile parapioggia. In quel momento, pagherebbe un milione per un ippopotamo blu per ombrello.

Non ci va volentieri, al cimitero. Non che non voglia.

E’ che non crede che sua madre riposi dentro quella lucida cassa di mogano.

Non per davvero. Non lo credeva il giorno che l’hanno portata via con la scusa che il suo cuore non batteva più e intanto lei urlava, urlava tanto, berciava che la facessero uscire di là dentro – per piacere, per piacere, per piacere, che sua mamma aveva paura degli spazi chiusi proprio come lei e che in quella cosa tanto piccola e stretta tutta serrata di legno scuro non ci poteva stare che si sarebbe fermato il cuore anche a lei che infatti le era mancato il fiato in gola il respiro nel petto e il terreno sotto i piedi e a un certo punto aveva dovuto scappare via dalla casa e più tardi dalla Chiesa.

Non lo crede Allegra, che sua madre dimori dietro il quadrotto di marmo bianco – le sue spoglie mortali non rappresenteranno mai ciò che lei era in vita – anche adesso che sono passati tanti anni e la sofferenza si rinnova come quel giorno che gliel’hanno strappata dalle mani e dal cuore a forza, un dolore come portarti via la pelle a morsi.

E allora non ci va volentieri, al camposanto. Neanche questa mattina. Eppure. Deve.

Oltre alla ricorrenza, c’è quella cosa lì, quel pacchettino piccolo com’è da starsene comodamente riposto dentro la tasca che  tuttavia pesa una tonnellata.

Con le dita sfiora la custodia di velluto. E’ liscia e intonsa, inaspettatamente calda, a dispetto della temperatura gelida.

Pensa ai validi motivi per andare a trovare sua madre, quel giorno, medita tanto intensamente che arriva lungo sulle suole delle scarpe da ginnastica inzuppate e le va bene, ma appena per un istante, di non finire distesa per terra, spiaccicata sul pavimento lucido del casermone. Sono quattro, squadrati e tracagnotti, ricoperti di una pittura chiara sfumatura ricordo-del- bianco-che-fu marezzata da toppe di muffa, distesi l’uno al fianco dell’altro.  Uguali, immutabili, ineffabili repliche di se stessi che nessun costruttore si è dato pena di rendere leggeri alla vista. La rattrista il pensiero che non valga la pena di compiere sforzi architettonici per abitanti che non abbiano modo di apprezzarli.

Quanti morti, le viene alla mente, ogni volta. ‘Quanti vivi’, risponderebbe sua madre. ‘Non sarebbe vita, a non dover morire’.

Finalmente al riparo, si regala un secondo per osservare il proprio riflesso nel vetro: la pelle asfittica riflette l’umore sghembo e la nausea che le impugna lo stomaco. Fa schifo. Non si è truccata, tanto piangerà come ogni volta, un fiume un mare un oceano, perle di disperazione a tonnellate.

Più tardi, in macchina, prima di arrivare in ufficio, tra una fermata al semaforo e l’altra – anche se le tolgono i punti non importa, ne ha in abbondanza perché è vero che è una donna impegnata, ma attenta – infilerà le scarpe col tacco, vestirà rossetto e fard, gli occhi non c’è bisogno di imbellettarli che sono già belli di suo.

Allegra gonfia i polmoni di ossigeno per farsi forza e solleva lo sguardo per la prima volta da che si è alzata, quella mattina. Quel posto non le piace, vero.  Questa volta, però, c’è qualcosa di stranamente stonato, anche più del solito.

Posando lo sguardo sulle lapidi – tutte del medesimo, anonimo marmo ingrigito dal un cielo che romba, adesso, franando in ondate caliginose attraverso le vetrate a soffitto – non riconosce le effigi che le sono divenute tristemente familiari negli anni. Nemmeno una.

Non ricorda l’attempato dallo sguardo spensierato che ostenta un bel paio di baffoni asburgici, e neppure la vecchina dal sorriso bonario della fila lassù in alto che ci vorrebbe una scala per arrivare a posarle una carezza sulle guance rosate.

La sfiora il pensiero di avere perso la memoria, un attimo di blackout totale del tipo chidiavolosonocosadiavolocifaccioquieperchénonmiricordounpifferodiniente.

Nella fretta, ha infilato il casermone sbagliato.

Allegra rifiata e si affretta verso l’uscita ciabattando – citiciac, citiciac, citiciac – sulle suole delle scarpe fradice. E’ allora che lo vede.

La sorpresa la rimbalza all’indietro, impastandola prima contro la parete ovest, poi contro quella est, arrestando la sua corsa di pallina da flipper umana faccia contro, letteralmente, quella sud.

Un bagliore elettrico da dieci milioni di giga-watt, immediatamente seguito dal fragore di mille chilotoni, schiarisce la campagna circostante di una luce abbacinante. Non pioviscola più: scroscia. Abbonda. Diluvia.

Allegra si ferma, inebetita, il palmo delle mani sudato malgrado il contatto con la frescura delle lapidi. Si volta piano, il cuore tira calci nella pancia come un feto a termine nel grembo materno.

Un suono sordo riecheggia nella sala immensa, vuota. Non è un tuono, questa volta, Allegra si domanda se sia la sua anima che si spezza in un caleidoscopio che rifrange i toni oscuri dello spettro, o il suo didietro che si scontra col pavimento. Intanto che decide, posa lo sguardo sulla fotografia.

Una spiaggia, un bel giorno di sole – uno come tanti. Il mare allegramente azzurro, il cielo di uno sfrontato color cobalto. Anche lui è uno come tanti.  Sorride.

Si direbbe che abbia l’età di quando si è imbattuta in lui. Ostenta un’aria serena e tranquilla: la scriminatura alta, i capelli tirati indietro col gel, le rughe da uomo di mare e d’aria aperta che frastagliano gli occhi spaccando a metà lo sguardo vacuo. Perché il suo sguardo non era mai intero. Questo lo ricorda bene.

Un po’ qua e un po’ là, guizzante come la lingua di una lucertola. Sfuggente, anche quando guardava dritto in faccia sbatacchiando quegli occhi dentro e lei sapeva (che fosse l’unica?….) che non c’era – non c’era niente, dietro.  Non c’è modo di sbagliarsi.

E’ proprio lui.  Il mostro è subdolo e infingardo. Qualche volta lascia persino prendere fiato, sperare che no; e invece arriva sempre.

La notte scorsa era un drago – una bestia immonda che vomita fuoco dalle fauci spalancate.

Quella precedente un’idra, fiera a sette teste che ricopre di pece fetida. Quella prima, un serpente che si attorciglia per liquefarsi in un groviglio miasmatico di sudore, piscio e rancidume da togliere il respiro.

Arriva ogni notte e ogni giorno, ogni volta una forma diversa. E anche a volere fermarlo, persino con tutte le sue forze, non ci riuscirebbe mai – perché lui è dappertutto, fuori, ma anche dentro di lei.

Aveva cinque anni, Allegra. Lui era il vicino di casa, l’amico di famiglia provvisto di fumetti e cartoni. Non sembrava un mostro. Non lo sembrano mai, avrebbe imparato molti anni più tardi.

Grandi orecchie dagli enormi lobi, un sorriso mite da troll sulla faccia rugosa, un abbraccio morbido da nonno, una voce appuntita quando lanciava il richiamo; piccoli versi bassi, gorgogli da piccione tronfio e compiaciuto quando la preda rispondeva. Lei aveva risposto, fino a che l’orco aveva mostrato i denti aguzzi e la lingua biforcuta.

Allegra prende la testa tra le mani e comprime le orecchie. Piano, si sente scivolare verso il basso: ricorda tutto. La corona aranciata del sole che infiamma la tapparella. Il calore sulla pelle che accarezza le braccia e le gambe nude.  Il sudore che bagna la fronte e appiccica il vestito di cotone sulla schiena.

Se ne stava lì, il petto stretto dentro una mano gelida, due fanali da gattino sull’Aurelia sparati in mezzo alla faccia, bambola di pezza inanimata cui hanno strappato gambe e braccia, incapace di muovere un solo muscolo anche quando le mani frugano, la lingua vischiosa appiccica le orecchie e una saliva acidula bagna la bocca.

Ricorda il lamento caldo inframmezzato dai sospiri – ‘hai gli occhi di una donna’.  E quella puzza – il rancido dell’alito, e l’urina dalla patta aperta.

Non ha scordato. Niente. Come si può dimenticare il buco nero che cancella tutto, fagocitando il tuo ieri e il prima, ma soprattutto il tuo domani e il dopo?…

Non potrebbe mai dimenticare il dopo.

Gli incubi, ogni notte un mostro diverso.  Le ossessioni – compulsive.

Premi il pulsante della luce per tre volte – accendi e spegni, accendi e spegni, accendi e spegni: tre volte il gesto devi fare, e nessun male potrà arrivare.

Confidare a sua madre se un compagno di scuola la sfiorava, fosse anche per sbaglio.

“Mamma, va bene se Giacomo mi ha toccato il gomito?”

Tre passi, poi fermarsi. Tre passi e stop, tre passi e stop, tre passi e stop: tre volte il gesto devi fare, e nessun male potrà arrivare

“Mamma, va bene se Fabrizia mi ha dato un bacio sulla guancia”?

Lavarsi i denti e poi sputare. Lavarsi poi sputare, lavarsi poi sputare, lavarsi poi sputare: tre volte il gesto devi fare, e nessun male potrà arrivare.

“Mamma, va bene se Giuseppe mi ha dato la mano?”

Chiudi gli occhi prima di dormire. Apri e chiudi, apri e chiudi, apri e chiudi: tre volte il gesto devi fare, e nessun mostro ti potrà mangiare.

“Mamma, va bene se Mirella mi pettina i capelli?”

C’erano state le terapie, la negazione di sé della bulimia e dell’anoressia.

La condanna dell’orco non rende gli anni smarriti a rimettere insieme i pezzi di sé, a prendersi cura di un piccolo cuore livido che fa un male cane. Ha fatto male per anni. Fa ancora male, tanto. Fitte improvvise, lancinanti, talvolta, da piegarla in due. Ad Allegra ne arriva una proprio adesso, dritta in pancia, ripensando al giorno in cui, inaspettatamente, lui si era ripresentato. Certe ossessioni sono dure a morire. Alcune, più di altre.

Per la seconda volta, in un bel giorno di primavera.

Faceva caldo. Allegra aveva abbassato i calzini sulle caviglie, smesso il grembiule nero di scuola e scoperto il vestitino a fiori. Il mostro ciondolava intorno all’edicola all’angolo, l’aria indolentemente indifferente.  Forse aspettava lei, forse era stato un caso.

Allegra non credeva ai suoi occhi: i capelli solo un po’ più bianchi, il medesimo sguardo che metteva i brividi. Era fuggita, caricando la cartella sulle spalle. L’orco inseguiva, pedalando come un forsennato per tenere il passo. “Avessi saputo che saresti diventata così, sarei stato paziente”, biascicava, mentre si frugava tra le gambe.

Questa volta Allegra aveva scelto di non confidarsi con nessuno. A tredici anni, poteva difendersi da sola. Aveva scagliato la cartella in faccia al mostro, gettandolo giù dalla bicicletta. Poi si era accanita su di lui, riempiendolo di calci e sputi. Aveva colpito, colpito ancora e ancora – tre volte, non per ossessione ma per rabbia, in ogni punto del corpo, soprattutto in faccia – sino a che il sangue che il vecchio perdeva copiosamente dal naso aveva colorato l’asfalto.

Era fuggita, gli occhi carichi di lacrime. Non si era mai perdonata. Il cuore continuava a fare male, il mostro ad arrivare – ogni notte, una sembianza diversa, la puzza e la voce – quell’assordante goglottio che martellava il cervello ed esplodeva dalle orbite – sempre le stesse.  ‘Hai gli occhi di una donna’.

Solo che lei non era una donna. Era una bambina. Una cucciola smarrita e indifesa, che da quell’episodio aveva avuto la vita spezzata.

Inspira, Allegra che allegra, da quel giorno, non è mai stata per davvero.

Inspira ed espira, inspira ed espira, inspira ed espira – tre volte il gesto devi fare, e nessun male potrà arrivare. Deglutisce.Chiude, poi apre gli occhi – chiudi e apri, chiudi e apri, chiudi e apri: tre volte il gesto devi fare, e nessun mostro ti potrà mangiare.

Allegra è una donna, oramai. Una su cui contano in tanti. Una donna in carriera, una tutta d’un pezzo. Eppure, in un attimo, è ancora la cucciola perduta che è sempre stata.

I polsi le tremano da scoppiare. Non sarà mai altro, si rende conto in quell’istante – altro da quella bimba spezzata che si arrocca dentro se stessa perché non si fida di nessuno, che si stordisce di cibo e di digiuno, che si droga di lavoro. Una roccia dentro, come fuori.

La scatolina di velluto blu che tiene in tasca vibra, animata di vita propria. Contiene un diamante a forma di cuore, l’anello che il compagno le ha donato la sera precedente, accompagnandolo con una domanda cui non ha dato una risposta. Non ci riesce.

Non sapeva che il mostro fosse morto: non ha letto l’annuncio mortuario. Quella foto colpisce come un maglio in mezzo al petto, toglie la vista e mozza il respiro. In qualche modo, Allegra striscia sul pavimento sino ad appoggiare le spalle alla fila di lapidi in basso. Trae le ginocchia al petto e propone al suo cuore di smettere di martellare tanto forte. Che ne dici, facciamo un patto?…

Il mostro non c’è più. E’ finita. E allora una consapevolezza la colpisce ancora più forte della scoperta. Un po’ è stata davvero colpa sua. Non come pensava da bambina – per molto tempo, ha creduto di essere colpevole: gli  ‘occhi di donna’  in un corpo da bambina, in fondo, erano i suoi.

Solo, non è stata capace di lasciar andare – quel viluppo incancrenito le è cresciuto dentro sino a divenire parte di lei, sino a rimanerne prigioniera, invischiata dentro una rivoltante, appiccicaticcia tela di ragno senza entrata né ritorno, o via d’uscita. Non è stata capace di fuggire, quando la fuga passava attraverso il perdono.

“Che Dio ti perdoni”, balbetta, assolvendo in quell’istante il mostro, ma soprattutto se stessa. “Che Dio abbia pietà di te, e perdoni i tuoi peccati”.

Allegra si tira in piedi e mormora una breve preghiera. “Grazie”, bisbiglia, stringendo le braccia intorno al petto e sollevando lo sguardo al cielo. Nel giorno dell’anniversario della sua morte, sua madre le ha fatto il regalo più bello. Finalmente ha capito.

La scatola di velluto non pesa poi così, dentro la tasca.

Prima di tuffarsi dentro un cielo traboccante di opprimenti nuvole color della notte, si volta. Un impacciato raggio di sole si posa sulla foto ravvivando lo sguardo di un vecchio che non sembra il pedofilo che era.

Allegra esce dalla sala, solleva il volto al cielo. Piange. Uno scarabocchio piove giù per la guancia, tracima da cateratte grigio-lago-di- montagna. E’ un pianto leggero. Liberatorio. Forse, chissà.

Nell’aria, il vento porta l’aroma di terra fradicia e di asfodeli. Un gigantesco uccello rosa, la forma di ombrello tappezzato da farfalle azzurre svolazza, rincorso da un gonnellone nero.

Allegra sospira, allarga le labbra in un sorriso. Per la prima volta da tanto tempo, sente il cuore leggero.

Soprattutto, intero.

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108 commenti »

  1. brava cazzo brava molto bello. CEMF

  2. Un racconto davvero splendido. Trovo Allegra di una verità devastante. Mi ha riempito tutti quei piccoli vuoti con i suoi gesti quotidiani che ho riconosciuto simili ai miei.
    Leggendo il tuo racconto mi sono fatta compagnia.
    Davvero brava.

  3. bellissimo!!! scritto molto molto bene, l’ho letto con attenzione estrema sino alla fine….bello bello bello!!!!

  4. riletto. scrittura davvero ok. osservo solo che non è realistico nè narrativamente giusto che un’abusata strutturale sia manager. le riunioni bilingue e le discussioni di budget le fanno altre infanzie. anche la questione del perdono finale l’avrei risolta diversamente. io correggerei. in genere gli abusati strutturali – è anche il caso della Veggente – sono inchiodati, costretti ad un ruolo che non è il proprio o che se lo è è marginale. nel caso della Veggente l’infermiera. comunque grande scrittura. per dialogare segnalo di avere dato il mio contributo sul tema dell’abuso infantile nel racconto “L’uomo con il cappello verde o del perdono”digitando si trova e possiamo discuterne. ciao Fiore! 🙂 CEMF

  5. ma… bertino? no comment? chiusa in un mutismo senza ragione? dai bertino si fa pace il racconto della campana è ok 🙂 CEMF

  6. bella l’idea della cantilena delle tre volte. è nella letteratura piscoanalitica ma è resa qui molto bene.

  7. Racconto drammatico che non passa certo inosservato sia per il tema della doppia sofferenza (madre, pedofilo), sia per la narrazione che non ammette pause. Forse un po’ troppo carico per i miei gusti, ma comunque molto bello. Bella la pioggia che fa da sfondo e colonna sonora. Complimenti.

  8. Racconto che cattura sia per l’atmosfera che si adatta alle emozioni della protagonista che per i temi trattati, mai facili da spiegare. I due fili conduttori vengono introdotti uno alla volta in modo che il lettore ne prenda consapevolezza ed entri nel groviglio di pensieri della protagonista. Stile schietto, diretto. Complimenti!

  9. Un racconto molto bello, intenso, con un ritmo incalzante che si adatta al dramma interiore della protagonista. Complimenti Nikki, brava come sempre!!!

  10. Sono rimasta senza parole…dura..dev’essere stata dura per Allegra emergere da quell’incubo ma, la mamma l’ha aiutata da” lassù”. Di strada ne dovrà fare ancora tanta ma il mostro è stato esorcizzato! NON HO PAROLE!!! Descritto magistralmente….COMPLIMENTI DI CUORE!!

  11. Argomento davvero difficile e reso bene. Dopo un incipit molto efficace, ti perdi forse un po’ dietro a troppe descrizioni che tendono a sviare l’attenzione del lettore. Non ho capito come mai Allegra si ritrova davanti il “mostro”, ma forse è colpa mia e dovrei rileggere il tutto con più attenzione. Bello lo stile, il modo di scrivere, però attenzione! Alle volte ti prende un la mano e diventa pesante. Ho fatto la criticona, ma non me ne volere! E’ uno dei racconti migliori che abbia letto fin ora! 🙂

  12. P. S. chiaramente l’ “un” all’inizio dell’ultima riga è un errore!

  13. Fairendelli,
    grazie.

    Del tuo primo commento apprezzo soprattutto la sintesi, che non è il mio forte. 🙂
    A proposito del secondo prendo nota, magari risponderò a proposito del mancato realismo in separata sede. Leggerò invece con piacere il racconto che mi segnali e ti commenterò al più presto (scusa, ma riunioni bilingue, non budget, ma vendita di titoli di stato Cinesi al momento mi tengono parecchio impegnata, e dico per davvero 🙂

    Una curiosità, il ‘Fiore’ con la ‘f’ maiuscola sta per me, o per Caterina?… 🙂

    Un caro saluto e a presto ritrovarti.

    PS: Bertino mi ha commentato, ma il suo commento non appare in calce al brano – AIUT!…
    Manco da troppo tempo, non ho più la manualità (le meningi, quelle le ho perso per strada da un po’). Mi scuso con tutti, migliorerò.

  14. Caterina Silvia,
    grazie. Sei davvero gentile – non mi sarei aspettata niente di diverso da una con il tuo nome (Fiore, che bello… da scriverci un racconto).
    Leggerò al più presto qualcosa di tuo per reciprocare – perdonami, ma la mancanza di tempo nelle giornate di una donna è sicuramente autobiografico!…
    A presto ritrovarti,
    Nikki

  15. la manager sei tu, dunque provo rabbia. solo a causa della mia precaria situazione economica si intende.si, leggi del cappello verde (abusi da mamamia!!!). occorre discutere poi del perdono, ho cercato di dargli un taglio preciso e tu devi modificare un poco alla fine, secondo me. 🙂 CEMF

  16. Come diceva il mio Rabbi Isidore Kaplan: “Perdonare? Ragazzi nemmeno Dio lo fa bene vi ci mettete voi? Cautela, cautela.”

  17. Giovanna,
    sono pienamente cosciente del fatto che il racconto sia di quelli ‘carichi’.
    A dire il vero, la mia è stata una scelta intenzionale: sottolineare, caricando lo sfondo di pathos e drammaticità ora evidente, ora sottintesa, gli elementi a mia disposizione per descrivere una vicenda di tale gravità senza per questo dover scendere in dettagli scabrosi.
    Avrai notato come non siano le scene della violenza, di per sé, ad assumere carattere preponderante, ma piuttosto gli aspetti psicologici della vicenda.
    Volevo trattare l’argomento con la maggiore delicatezza possibile, senza per questo niente togliere al realismo.
    Spero di esserci riuscita.
    Ti ringrazio per i complimenti – da te, che hai fama, da quel poco che ho potuto capire sino ad ora, di essere una lettrice attenta e poco incline ai complimenti gratuiti, fanno ancora più piacere.
    Ti leggerò, e commenterò il tuo brano non appena possibile.
    A presto,
    Nikki

  18. Complimenti, gran bel racconto, scritto molto bene…l’argomento è delicatissimo, ma reso molto bene per come è stato affrontato e descritto! e gran titolo!

  19. Silvia,
    cara, come stai?…
    Ben ritrovata. E come procede il percorso di premiazioni e presentazioni?…
    Alla fine, vedrai, ti ritroverai esausta, scarpe fruste ma cuore pieno di soddisfazioni. 🙂
    Non ti ho trovata, quest’anno – perché non ci riprovi?… Eddài, così magari ci si ritrova.
    Grazie tante per il commento, sei carina come al solito.
    Meno male che lo stile ti è piaciuto – di proposito brusco e cupo, tagliente e angoloso, per adattarsi all’argomento. Diverso dal mio solito; una sperimentazione, chissà non persegua su questa linea.
    Un abbraccio forte,
    Nikki
    PS: Fatti sentire in privato, un paio di novità da condividere 🙂
    Ti abbraccio.,M.

  20. Eleonora,
    davvero un incubo, quello di Allegra-che-allegra-non-è-da-tipo-mai.
    Riesci a pensare alla sofferenza di una cucciola che si ritrova l’esistenza spezzata da un giorno che si fagocita il tuo ieri, il tuo oggi e il tuo domani?
    Indicibile.
    Le ossessioni, le compulsioni, i disturbi alimentari e anche gli accessi di violenza non sono che una conseguenza, come il rinchiudersi dentro sé per non aprirsi agli altri.
    Terribile. Non ho altre parole.
    L’atmosfera del brano sale piano, assieme alla pioggia, in un crescendo musicale, quasi, cupo e ossessivo che culmina nell’incontro con la lapide del mostro.
    Mi fa piacere che tu abbia apprezzato, ti ringrazio tanto per i complimenti.
    Non so se si sia capito, ma l’argomento mi sta molto a cuore.
    Un abbraccio,
    Nikki

  21. Lauramon,
    grazie per i complimenti, e anche per le tirate d’orecchi.
    Avrai forse capito, dalla lettura delle risposte ai commenti precedenti il tuo, che quella di caricare l’atmosfera del racconto è stata una scelta precisa, che intendeva sottolineare lo sfondo drammatico della vicenda senza per questo dover scendere in dettagli scabrosi.
    Hai ragione, forse avrei potuto alleggerire qualche parte – ma temevo che, lo avessi fatto, avrei perso proprio quell’effetto di drammaticità cui tendevo.
    Non preoccuparti, non me la prendo: le critiche costruttive sono sempre bene accette 🙂
    E comunque il racconto ti è piaciuto, quindi… come dicevo lo scorso anno, un narratore dovrebbe mettersi al servizio della ‘storia’ dimenticando se stesso, allo scopo di trasmettere sensazioni che arrivino forti alla bocca dello stomaco, torcendolo come un panno.
    Se ci sono riuscita, be’, allora posso dire di avere raggiunto il mio scopo.
    A presto ritrovarti,
    Nikki

  22. Alessandro,
    lo scopo era raccontare la storia di Allegra, puntare un faro sulla tragedia della sua vita senza scadere in dettagli scabrosi.
    Quello che molti non sanno, non comprendono – non apprezzano, credo – per non aver attraversato una vicenda simile, è che una violenza subita da bambini ti segna davvero l’esistenza; i mostri che arrivano ogni notte, le lotte con gli psicologi, i medicinali che non tengono a bada le compulsioni, gli squilibri alimentari e psicologici.
    Spero essere riuscita nello scopo di rendere giustizia ad Allegra, e a tutti i bambini abusati come lei.
    Ti ringrazio per l’apprezzamento.
    A presto,
    Nikki

  23. Fairendelli,
    ‘Chi non sa perdonare spezza il ponte sul quale egli stesso dovrà passare.
    Non lo dico io, ma le Sacre Scritture.
    Non che perdonare sia facile, ma talvolta – quasi sempre – necessario.
    Nel caso di Allegra, ‘perdonare è liberare un prigioniero, e scoprire che quel prigioniero eri tu’ – di nuovo non io, di nuovo le Sacre Scritture.
    Non so cosa ne penserebbe il tuo Rabbi, ma certo Gandhi la penserebbe come me (meglio liberare un mostro, che restarne prigionieri a vita – e questa invece è proprio mia).
    Nikki

  24. Esatto e credimi se ti dico che sei riuscita nell’intento!! è indubbiamente tra le cose peggiori della vita, ecco perché delicato, ma superlativo il coraggio che ne scaturisce, soprattutto nel tuo racconto!! rinnovo i miei complimenti

  25. Ragazzi,
    una nota per tutti voi che avete letto, e per quelli che leggeranno il racconto ‘La Bimba Spezzata’.

    Ho cercato di fare del mio meglio per trattare un argomento tanto scabroso con tutta la delicatezza possibile, soprattuto perché Allegra io l’ho conosciuta.
    Sono stata testimone delle sofferenze fisiche e psicologiche che ha sofferto, e tuttora soffre, a seguito del trauma subito nell’infanzia.

    Il mio racconto è dedicato a lei, e a tutti i bambini spezzati di questo mondo, che sono davvero tanti.
    Se le mie parole serviranno ad alleggerire solo un poco le loro pene, allora il mio scopo potrà dirsi raggiunto.

    Nikki

  26. Lauramon,
    sì, l’errore dell’ultima riga è chiaramente un refuso. Grazie per avermelo segnalato, provvederò a correggerlo.
    Nikki

  27. Alessandro,
    è vero. Per strano che sia, è dalle vicende peggiori – talvolta; non sempre, purtroppo – che scaturisce l’impeto magico, quello che ti arriva da dentro , chissà da dove, e ti spinge a reagire,a rialzarti sempre, dopo essere stati messi al tappeto.

    Allegra è stata messa al tappeto che era ancora una bambina. Il suo cammino è stato lungo e irto di ostacoli, ma è riuscita a sopravvivere.
    Adesso è una donna serena.
    Felice, talvolta.
    Allegra no; questo non potrà esserlo mai. Meno male che lo è di nome.

    Un abbraccio,
    Nikki

  28. Sara Maria,
    grazie per l’apprezzamento.
    Allegra è una donna vera.
    Una che si esprime con i gesti e le parole di tutte noi, che ha i pensieri comuni a tutte, che prova le ansie e le paure che ci affliggono un po’ tutte, oggi – solo con una pesantezza dentro al petto e nella pancia, un silenzio interiore per essersi imbattuta neglli occhi disabitati del mostro che, per fortuna, non tutte hanno avuto la sventura di provare.

    Sapere di averti fatto compagnia è uno dei complimenti più grandi che potessi farmi.
    A questo serve la scrittura, credo; ad accompagnare il nostro cammino, fosse per un giorno, un ora.
    O anche un solo minuto.
    A presto,
    Nikki
    PS: Cè un silenzio del cielo prima del temporale, delle foreste prima che si levi il vento,
    del mare calmo della sera, di quelli che si amano, della nostra anima,
    poi c’è un silenzio che chiede soltanto di essere ascoltato.
    La citazione è di Romano Battaglia, ma in questo caso la faccio mia: il silenzio di Allegra, e di tutti gli altri cuccioli spezzati doveva – deve – essere ascoltato.

  29. Nadia,
    grazie.
    Hai colto gli elementi del racconto alla perfezione – per come lo intendevo, almeno.
    Il ritmo della narrazione è brusco e spigoloso, sincopato, a tratti, per rendere lo stato d’animo della protagonista.
    I fili conduttori del dolore per la perdita della madre e della violenza introdotti poco per volta, intanto che il lettore si cala dentro l’atmosfera cupa, con il temporale a fare da contrappasso musicale.
    Il tema è di quelli difficili.
    Duro.
    Certo non bello. Ma vero.
    Tanto da fare male.
    Bellezza è l’eternità che si contempla in uno specchio, e noi siamo l’eternità, ma anche lo specchio.
    Grazie ancora,
    Nikki

  30. Nikki, grazie delle splendide parole!!! Il tuo racconto è davvero meritevole!!!

  31. E’ un racconto intenso, la tensione ti prende un po’ alla volta. bRAVA

  32. Bello, c’è un’indagine psicologica profonda e coerente. Anche il montaggio alternato tra presente e memoria coinvolge nel mondo di Allegra. Ho trovato il linguaggio a volte un po’ carico e usurato, “cemento bitorzoluto”, “il cielo singhiozza”, accompagnato del resto da espressioni molto fini, vere: “è un’anfora in bilico che ancheggia tra una goccia di pioggia e l’altra”.
    Toccante nel descrivere il trauma, i meccanismi di difesa, l’assunzione della colpa. E infine la liberazione.

  33. Cara Nikki, ho letto il tuo commento ai commenti, (che palle tutto questo commentare sui commenti altrui!!) e ci terrei a precisare che neanche a me piace criticare per il puro gusto di farlo, come scrivi tu. E penso che a nessuno piaccia farlo qui dentro. Qui si esprimono solo semplici opinioni, gusti persionali, che piacciono o meno, come i racconti che leggiamo. Io personalmente scrivo il commento a caldo, per fissare le sensazioni ricevute dal racconto. Certo, è un metodo rischioso, perché qualche dettaglio può sfuggire, ma sono fatta così, impaziente e precipitosa, che ci vuoi fare. I consigli tecnici che tu auspichi non sono facili da dare. Nel mio piccolo, all’inizio, avevo provato a dare qualche consiglio ma sono stata censurata. Adesso mi limito alle mie impressioni ma anche qui non va bene. Sembra che “secondo il mio gusto” o “a parer mio” siano da censurare. Ma allora?

  34. Giovanna,
    la prima sensazione nel leggerti è stata: misachemisonopersaqualcosa.
    La seconda, Occielo,misonopropriopersaqualcosa.

    Mi spiace che tu abbia preso il mio commento a Caterina in maniera personale.
    Non ho mai fatto alcun riferimento a te – non mi sono MAI sognata di scrivere che A TE piaccia ‘criticare per il puro gusto di farlo’ per il semplice motivo che non avevo idea la polemica in questione facesse riferimento ad una TUA critica.

    Non è da molto, come potrai facilmente verificare, che sono tornata a pubblicare e commentare sul sito; molto semplicemente, mi sono persa un bel po’ di cose.
    Nell’apporre un commento mi è caduto l’occhio sul commento di altra lettrice – una che non sei tu – che a proposito di questa questione condivide il punto di vista di Caterina (che è poi anche il mio).
    Ammetto di non aver ripercorso tutti i post a ritroso; ho supposto che la discussione vertesse su un tema generico di cui si è parlato spesso anche lo scorso anno.
    Non avevo idea che dietro alla questione ci fosse qualche cosa di specifico, nel caso tra te e Fiore.
    Ora, notato il fatto che tu non scrivi in generale ma ti riferisci A ME in particolare, mi sento di dovermi scusare per averti chiamata in causa senza rendermene conto, e ti invito a rileggere il mio post in questa ottica: non c’era niente di diretto a te, la mia è una presa di posizione del tutto generale.

    Mai sognata di parlare di censura, peraltro, che sia chiaro.
    Questa mattina, quando mi sono alzata, stavamo ancora in democrazia, mi auguro che le cose non siano cambiate mentre ero sommersa dalle carte, al lavoro :-).

    Quando parlo di persone che ‘criticano per il gusto di farlo’ mi riferisco esattamente a questo: non so se sia il caso di quest’anno, ma l’anno scorso qualche critica del tutto gratuita arrivava, credimi. Eccome, se arrivava.

    Nel mio caso, quando mi imbatto in qualcosa che non gradisco, mi limito a non commentare – cosa vuoi farci, sono un’inguaribile tenerona.

    Altre volte, quando mi arriva forte la sensazione che le potenzialità ci siano, ma siano limitate da qualche cialtronata tecnica, mi è capitato di consigliare accorgimenti tecnici del tipo ‘fossi in te non sposterei continuamente l’io narrante da un personaggio all’altro perché causa confusione’; ‘il pensato diretto puoi scriverlo in corsivo’, ‘il dialogo non va mai in corsivo’ e stupidate del genere che t’insegnano al primo corso di scrittura creativa all’angolo.
    Sempre in privato. Sarà anche una forma di rispetto forse anche eccessiva, ma a me va così.

    Nel tuo caso, se ti sei premurata di dare consigli, sia pure in chiaro, non ti meriti di venire accusata di ‘critica fine a se stessa’ – a mio parere, una cosa contraddice l’altra.
    Se il ricevente poi, non è pronto ad accettare consigli di natura costruttiva, allora mi sento di dire che è peggio per lui.

    Diversamente, cosa vuoi – e qui mi rivolgo anche a Sara Maria – credo che anche la mia, quella di Caterina e degli altri che preferiscono astenersi dal commentare brani non graditi non è che una posizione, una che merita di essere rispettata.
    Esattamente come la vostra.

    Fossi in te, continuerei a esprimere il mio gusto personale senza preoccuparmi del parere altrui, esattamente come ti senti di fare.
    Per lo stesso motivo non me la prenderei se c’è chi la vede in maniera diversa da me.

    Alla fine, credete, ragazzi, e qui mi rivolgo A TUTTI, non si piace MAI al mondo intero.
    David Foster Wallace, che per me – e a detta di molti esperti – era un genio, per altrettanti era un illetterato imbecille.

    Ciao a tutti,
    Nikki

    PS: Un consiglio da veterana, però, permettetemelo: non prendetevi troppo sul serio!…
    ‘Racconti’ è una splendida avventura che tanto più apprezzerete quanto più la vivrete con leggerezza, godendovi al massimo il piacere della condivisione.
    Approfittatene. E auguri a tutti, indiscriminatamente 🙂

  35. Nikki, grazie per la tua pacata risposta. Purtroppo la questione non verte su una questione generale ma personale e si trascina da un po’, nonostante io abbia tentato di non alimentarla. Alla base di tutto c’è un mio commento non gradito che ha scatenato la polemica. Con buona pace delle altrui opinioni. Il consiglio che tu dai mi trova perfettamente d’accordo; temo però che servirà a poco, da quello che ho capito.

  36. Cari Colleghi (quanto mi piace questo termine suggeritoci da Simonetti) la questione del commento sui commenti è interessante.

    Il commento (e quindi anche il commento sul commento) è importante quanto il testo, e vedendo certi testi anche di più. Vedi il Talmud. Non comprendo la nostra Bertino, in questo senso.

    Occorre dire le cose con chiarezza e dividere i racconti in categorie. Fornisco le linee guida per agire i commenti:

    1) Racconti di qualità: il commento dovrebbe dapprima riconoscere tale qualità. E’ rara, quindi è la prima cosa da fare. Inginocchiarsi è auspicabile. Ci si pensi bene prima di indicare correzioni o modifiche (io avrei forse fatto, forse qui forse là…) perchè questa indicazione presuppone un’ autorità oggettiva mai solo gusti personali. La si possiede nei confronti del collega che si commenta? Se sì si proceda.

    2) La scrittura è buona, potenziale ma non eccelsa, facilmente riconoscibile come tale per la maggior parte dei colleghi. In questo caso, poichè è facile trovare in sè l’autorità oggettiva di cui sopra nei confronti dell’autore in questione ogni osservazione di dettaglio o generale è ammessa. E’ il territorio dove Bertino domina incontrastata.

    3) La scrittura è impotabile, tale da restare, alla Fagnani, a bocca aperta. Dallo stupore. In questo caso, vincendo l’umana inclinazione ad imbracciare un bazooka a forma di penna stilografica e colpire il collega da pochi metri è a mio parere da evitare ogni commento. Michele Tanga, il mio indimenticato perchè indimenticabile maestro di latino e greco quando prendevo 1 (1!) non commentava la mia versione. A cosa cazzo sarebbe servito? Mi diceva “Cambia mestiere giovanotto” o “Ciao ciao e, purtroppo, auf wiedersehen. Non è obbligatorio sapere il greco, questo lo sai, no? Ci sono gli sport, il bricolage, i bordelli.”

    Questo è tutto, sperando di avere dato un contributo personale costruttivo.
    Con l’occasione segnalo ai colleghi che è iniziato il corso online del Rabbi (Isidore Emilio Kaplan su Facebook) e chi vuole può interessarsene.

    Abbracci

    🙂 CEMF

  37. Bellissimo. Un argomento davvero delicato che, forse purtroppo, mi tocca da vicino. Non è semplice parlare di “questo” ma tu l’hai fatto, secondo il mio modesto e alquanto umile parere, nel migliore dei modi possibili. La cosa che più mi ha colpito è il momento in cui la protagonista ripensa a quando “ha creduto di essere colpevole”. La colpevolezza della vittima è un comportamento che potrebbe sembrare strano, ma che in realtà, per quello che ne so io, non lo è affatto. È davvero così, anche se ancora non sono riuscito a spiegarmi il perché. Comunque, a parte questa parentesi, lo stile è fantastico, invidiabile. Invidiabile soprattutto dal sottoscritto. Complimenti!

  38. Nikki sei davvero molto brava! Stile consono all’argomento, affrontato in maniera intelligente. Arriva dentro, graffia, come è giusto che sia. Complimenti!

  39. Alessandro,
    troppo buono, davvero.
    Mi rattrista il pensiero che anche tu sia un ‘bambino spezzato’: sono tanti, troppi, a vivere una vita solo a tratti, in qualche modo interrotta da quell’episodio che cambia tutto, prende i tuoi giorni e ti rovescia sopra sotto.
    Non è facile parlare di un argomento tanto delicato, hai ragione.
    Dovevo farlo, l’ho fatto nella maniera più delicata possibile, astenendomi da particolari scabrosi per concentrare l’attenzione sull’esistenza della protagonista, che vive una vita solo a metà, stordendosi di lavoro, rinchiusa dentro una torre cui non lascia avvicinare nessuno.
    Non so come la pensiate voi, ma a mio parere la letteratura è anche ritmo e musicalità.
    E’ il caso di questo racconto: ho enfatizzato uno stile solo apparentemente povero, brusco ed essenziale, accompagnandolo con la colonna sonora del temporale allo scopo di caricare di drammaticità l’atmosfera del brano. Era mia opinione che questa sorta di ‘sincopato’ evidenziasse il disagio psicologico ed esistenziale della protagonista.
    A giudicare dal tuo commento, pare sia riuscita nell’intento.
    Grazie,
    Nikki
    PS: Il brano è un omaggio a tutti i ‘bimbi spezzati’, che non sono MAI colpevoli, anche quando credono di esserlo. Ti abbraccio, N.

  40. Laura,
    ringrazio anche te – mannaggia, siete tanti: prima o dopo, prometto, riuscirò a leggervi tutti, e reciprocare.
    Che bello tu abbia colto l’immediatezza dello stile.
    Si può trattare un argomento del genere senza mordere alle viscere e graffiare la faccia?…

    Un abbraccio,
    Nikki

  41. Scrittura e racconto. La prima è sicura, sai come e dove vuoi arrivare e sai anche prendere tempo per arricchire di particolari e, soprattutto nella scoppiettante parte iniziale, creare curiosità. La vicenda è reale da quanto ho capito, e mi dispiace per chi ha subito questa esperienza. Purtroppo anch’io sono a conoscenza di una bambina che dall’abuso è passata alla bulimia, soltanto che le sue prospettive attuali sono di rimanere in cura psichiatrica, gravi difficoltà scolastiche, qui per fortuna la protagonista ha trovato dentro di sè la forza di superare, o se non altro di ammortizzare, l’esperienza, ed è riuscita a realizzarsi nella vita, un amore spero, un lavoro, una certa sicurezza di sè e i mostri rinchiusi a chiave anche se a volte tornano a galla. Ma nei commenti che ho scorso mi pare che tutto o quasi sia stato discusso. Io mi sono posto invece un altro problema: la morte del

  42. … sono un imbranato al Pc di mia figlia!

    dicevo. la morte del mostro davvero risolve il problema? Il pianto liberatorio che segue la macabra scoperta, è l’inizio di una nuova vita? In realtà non lo so, non ho risposte. Può essere, come può essere che il mostro, scomparso dalla vita reale per sempre, non più punibile e odioso, si ingigantisca nel buio. Ma sono solo divagazioni, direi che hai affrontato benissimo, ho apprezzato la leggerezza riguardo al momento più scabroso, un argomento difficile.

  43. Buonasera, sappiamo Amaso, e anche Nikki sa, per la, e nella, sua sapiente rappresentazione del tema affrontato, che i mostri non restano chiusi a chiave, o che quantomeno, non è così che si allontanano, ma che per difendersi dalle loro sempre certe e postume aggressioni , che la morte non seppellisce , i bambini o le bambine, nel caso specifico si fa riferimento a loro, debbano caricarsi di un oneroso e durevole lavoro, per trovare chiavi….. si …………ma di lettura ed elaborazione della loro storia con tutti i conseguenti vissuti.
    Solo questo passaggio garantisce loro di poter passare oltre .
    Questo è il parere degli specialisti in materia e che io professionalmente condivido.
    Nikki è stata con la sua grande e capace scrittura la voce che da voce quanto più possibile fedelmente, alle bimbe che ha pensato raccontando.
    Un racconto molto importante.
    Grazie

  44. Amaso (ma non ci siamo già incontrati lo scorso anno, io e te?…. Ricordo un gran bel racconto, il tuo; un gran bel commento da parte tua ad uno dei miei. Mi sbaglio?…),
    Emanuela,

    intanto ringrazio entrambi per l’attenzione.

    In linea di massima, avete ragione tutti e due: talvolta, si riesce, in qualche modo, a liberarsi dai mostri.
    Altre volte, no – molto spesso i mostri ti restano dentro, non si riesce a liberarsi, mai.

    Parlo con ragione di causa, credete – e qui mi apro totalmente a voi, e al mondo: ho deciso di farlo perché, alla fine, non c’è niente di cui debba vergognarmi, niente da cui debba nascondermi – perché, vedete, Allegra sono io.
    Le vicende che ho narrato sono le mie, così come le ho vissute.

    Si riesce a liberarsi dei mostri, per rispondervi?…
    No. Non si riesce mai, completamente.

    Si riesce a vivere una vita equilibrata? Questo sì, talvolta è possibile.
    Io sono stata fortunata: ho reagito alla drammaticità dell’accaduto piantando i piedi ben saldi dentro la terra.
    Vivo una vita serena, per certi versi appagante.
    Non senza difficoltà, certo; non senza cercare aiuto (le ossessioni, le compulsioni, i disordini alimentari, questo fatto forse non lo avete colto, sono davvero difficili da sconfiggere).

    E’ che, vedete, nel mio caso non è stata la morte del mostro a darmi la forza di superare il trauma: in realtà è accaduto proprio il contrario.

    E’ stato solo una volta che mi sono trovata a confrontarmi con l’evidenza della morte del mostro, del suo passaggio ‘oltre’, che ho capito: ho capito che, in verità, dovevo lasciare libero lui se volevo liberare me stessa: liberarsi, attraverso il perdono, credo sia l’unica via.
    Per me è stato così: trovare la forza di ‘andare oltre’, anch’io, era l’unica maniera che avevo per spezzare la gabbia di odio e rancore dentro cui avevo imprigionato non tanto lui, quanto me stessa.

    Con tutto ciò, non pretendo che ogni vissuto debba necessariamente equipararsi al mio: ognuno trova dentro di sé, alla fine, la chiave per elaborare le proprie vicende a suo modo.
    Ad Allegra è accaduto nel modo che descrivo.
    Altri potrebbero reagire in maniera diametralmente opposta.

    Capirete, adesso, la leggerezza con cui descrivo i momenti più scabrosi: per rispetto a tutti i bimbi spezzati di questo mondo (che sono tanti, credete, molti più di quanti si creda).
    Ma soprattutto perché alla fine non sono neanche tanto ‘quelli scabrosi’ i momenti più difficili, quanto quelli – tutti, senza alcuna distinzione – che seguono: quelli che ti portano a camminare nella vita con un peso tale nella pancia e sul cuore, i mostri che popolano i tuoi giorni e le tue notti che si mangiano la tua infanzia, fagocitando tutto, il ‘prima’ e il ‘dopo’.

    Da bimba spezzata, credete: questa è la verità.
    Ed è questo il messaggio che volevo, più di tutto, arrivasse al cuore dei lettori.
    Non per me, io oramai ne sono più o meno fuori; per tutti i bambini che sono ancora costretti a pregare, ogni notte, che il mostro non arrivi.

    Un abbraccio a tutti voi, che avete comunque percepito la profondità del messaggio.

    Nikki
    PS: Giusto per chiuderla con tutti i ‘filtri’ e mettersi del tutto a nudo, il mio vero nome è Monica.
    Chiamatemi così, oppure Nikki (che non è uno pseudonimo, ma il diminutivo con cui mi chiamava mia madre), per me fa lo stesso.

  45. Cara MONICA tu sei una bimba spezzata che si è incollata alla vita, con l’eleganza e la forza oltre alla bellezza, della farfalla, le cui ali sembrano fragili ma la cui grazia le fa volteggiare e volare in alto e tutti restano ad ammirarne quella sua bellezza!
    Ti abbraccio
    Grazie per tutto
    Emanuela

  46. aprire la pancia davanti al lettore. onore a monica. quando lo fa chi scrive bene come te non si vede ció che uno ha mangiato ma qualcosa che è,insieme, viscere rosate, corpo e Anima. perchè in realtà non ci sono differenze. cardiaco e sentito l’intervento di fagnani, che spero vorra dire due parole cosi anche al mio funerale 🙂 CEMF

  47. Hai dimostrato grande coraggio e intelligenza prima e anche oggi. Non si può che riconoscere questo, nel saper vivere, scrivere, rivelare. E certo la tua affermazione su tutte da ricordare è quella relativa al perdono. Perdono che non è, o non è solo, un precetto religioso, ma un’espressione di tormentata riflessione e di lucidità perchè chi perdona ( senza che questo cancelli il corso della giustizia ), quanto più evita i il desiderio di vendetta, dimentica più facilmente. Almeno quanto permette di vivere. Grazie per la fiducia.

  48. Emanuela,
    oltre a quello della scrittura (e della critica, come giustamente rileva l’amico Cav – e ci prendi sempre, devo ammettere :-), hai anche il dono della sensibilità – combinazione, questa, più rara di quanto si creda, nell’intricatissimo mondo dell’editoria.
    Grazie davvero per la comprensione: è di sostegno e di comunanza (molto più che di compassione, o peggio, pena) che i bimbi spezzati hanno bisogno.
    Solidarietà e umanità.
    Tutto qui (sembrerà anche facile: non lo è, credi).
    Per il resto, siamo da soli con le nostre complessità.
    I mostri, sai, una volta che riesci a sconfiggerli non fanno più paura: fanno solo pena (loro, sì…).

    Ti abbraccio,
    Nikki / Monica

  49. Tanto di cappello, Cav,
    alla Sua disamina.

    Viscere e pancia – sangue – sono il mezzo: è solo versando il sangue, come Lei ben saprà, che ci si innalza 🙂

    Era arrivato il momento.
    Di mettersi a nudo, rivelare vette e baratri della propria anima – sangue e viscere, appunto.

    Ci ho pensato: quotandomi, ‘un volo, sospeso fra tuffo e caduta’.
    Poi ho deciso: all-in. Mi sono buttata.
    E… chi non ci è passato non potrà mai capire.

    Un volo, assai più piacevole e leggero di come mi aspettavo che fosse.
    E chi ci credeva che la liberazione potesse passare attraverso un paio d’ali (assai meno meno graziose, peraltro, di quelle ipotizzate da Emanuela)?

    Provare per credere.

    Provate, bimbi spezzati di questo mondo. Provateci: è il mio consiglio.

    Come già detto sopra, una volta che li hai sconfitti, i mostri non fanno più paura: fanno solo pena.

    Grazie,
    Nikki / Monica

  50. Amaso,
    proprio non sono una persona coraggiosa, io, sai?

    Intelligente credo di esserlo, questo sì; temeraria, uhm… no, non direi.

    Le mie paure risalgono, guarda un po’, all’infanzia.
    Sono una che ha paura di tutto, io: ho paura delle malattie (non ho per niente una salute di ferro, anzi), ho paura del dolore, paura di perdere le persone che amo, paura di non essere ‘all’altezza’ – non mi trovo mai abbastanza capace, abbastanza forte, abbastanza… tutto.

    Questo, più di ogni altra cosa, è il retaggio che certe esperienze ti lasciano.
    Un peso infame che non ti scrolli di dosso.

    Perché puoi liberarti dei mostri, certo.
    In qualche modo, devi andare avanti.
    Non è il coraggio, credo. La paura non la si sconfigge; anche quella, mai.
    Per me, è stato il perdono: la consapevolezza che la rabbia e il rancore rinchiudono te, per primo, dentro una gabbia da cui è impossibile uscire.

    Quello da cui non ti liberi – MaiMaiMaiMaiMai – è quel senso di incompiuto e di inadeguatezza, quel qualcosa dentro che ti fa domandare continuamente chi tu sia, dove stia andando, che cosa stai facendo.
    E’ il senso di colpa, che ti fa credere di essere – sempre – tu la colpevole di ogni cosa brutta che ti accade.
    Quello che ti fa domandare continuamente se sia tu, la persona che sbaglia, quella che commette gli errori.
    Perché deve, capisci: DEVE essere così.
    DEVI essere tu, la persona brutta – perché solo persone brutte attraggono persone brutte.
    E così via, in una continua alternanza di domande, e sensi di colpa.

    Non che sia piacevole; che dire, poteva andarmi peggio.
    Questo sì, aiuta: qualunque cosa accada, il pensiero che c’è sempre qualcuno (spesso molti) che sta peggio di te.
    Per piccola che fossi, io pensavo ai ‘bimbi della guerra’ – così li chiamavo.
    Quelli senza genitori, senza cibo, senza letti comodi né medicine.

    Esiste un senso?
    Io penso di sì: credo che stia nella solidarietà.
    Alla fine, il senso di tutto – di ogni cosa; della vita stessa, non vedete?… – si può raccogliere dentro poche, piccolissime, semplici parole.
    Amore. Comprensione.

    Grazie per essere solidali,
    tutti.

    Nikki / Monica

  51. Cazzo il “corpus commentale” sta diventando magnifico. Azione bella e coraggiosa, Monica. Quando sento parlare di viscere, sangue, linfa e seme qualcosa di profondo in me approva. Esamino la boccetta d’inchiostro colma di questo liquido innominabile e dico: la grande Scrittura non è lontana. Tu sai che potrei benissimo essere CEO nel triennio successivo al tuo – continuando la tua politica aziendale, è ovvio – nella “Bimbi spezzati srl”. L’abuso, ma la follia omicida, una campo in Polonia, un sarcoma. Hai detto bene tutto ma l’altro vero punto su questo – sul puro bimbo violato, distrutto, il sangue sparso, le ossa tritate e su tutto lo sputo di Satana a terra – qual’è? E’, inconcepibile, l’indifferenza di Dio. Noi gridiamo a Lui. Non dovrà render conto, come gridano gli ingenui, ma dirci di quale Gloria Divina questo è stato il prezzo. Lo pretendiamo. Ne può parlare solo il Rabbi non certo io;:
    “Dio, per il Mondo, è come quei chirurghi che chiamano solo al punto clou dell’operazione. Prima fanno tutto gli infermieri, gli assistenti. Per il mondo i demiurghi che ne hanno combinate di ogni, creando cose come il grillotalpa o Lele Mora. Il Suo Nome in Verità è: l’Indifferente. Provate a strapparvi il cuore, piccolo pugno insanguinato, con le mani dal petto e a gettarlo a terra. Poi, nei cinque secondi di bella autonomia nervosa che vi restano urlate alto: Dio! Lui non farà una piega.” Rabbi Isidore Kaplan 🙂 chi ha orecchi od orecchini per intendere, intenda.

  52. Monica, ma anche Nikki è un bel nome,
    dissento. E’ più temerario un bambino che affronta uno più grande di un domatore che affronta un leone. Tutto si rapporta alle proprie condizioni. Il resto è chiaro, compresibile che succeda, a volte chi non ha sensi di colpa ha colpe. Siamo all’interno un crogiolo confuso di pensieri e sensazioni, niente di scientificamente chiaro. Per questo la fantasia ha spazio e guai se non fosse! Saremmo degli automi. Dalla tua sfortuna puoi capire molto di più gli altri. Non è un bene, certo, ma hai sviluppato doti. Se noti anche i miei personaggi non eccellono in qualità e fortuna, qualcosa vorrà dire.

    Cav, mi hai ricordato gli ultimi secondi dei ghigliottinati, pare che le loro teste ruzzolando imprecassero o pregassero, e mi sono sempre chiesto da dove prendevano fiato. Temo che tocchi a noi rimettere tutto a posto se nessuno ci ascolta. Ma ne siamo capaci? Tu no, che hai inventato l’autocommento positivo 🙂 e hai lasciato a noiartri solo l’autocommento negativo!

  53. rimettere a posto tutta questa baracca scassa e cigolante stelle pianeti mondi interiori, il tempo stesso? no non me la sento. vsi avanti tu amaso. 🙂 CEMF

  54. rimettere a posto tutta questa baracca scassa e cigolante stelle pianeti mondi interiori, il tempo stesso? no non me la sento. vai avanti tu amaso. 🙂 CEMF

  55. Ehi,
    Amaso, Cav-Fairy,
    non vi piccate sulla mia bimba spezzata, per cortesia 🙂

    Troppo sangue già versato – viscere, sudore e lacrime – su questa storia, mi piacerebbe non vederne altro, qui sul sito.
    Soprattutto, non il vostro (di voi due, intendo).
    Per dirla alla John Lennon, ragazzi, ‘Peace and Love’.
    Per dirla alla Nikki, ‘amore e comprensione’, please.

    A presto,
    Nikki / Monica

    PS-1: Amaso, quando ruggisce, il leone m’impermalosisce persino le unghie dei piedi.
    Da qui a dire che il mondo è degli sfigati, ce ne corre… avrei fatto volentieri a meno d’inciampare in certi individui, credi – ma tant’è, chi può dire che la mia vita sarebbe stata migliore, diversamente?… Certo, di necessità è bene far virtù (e chi non lo fa, è perché non ci riesce, non perché non voglia 🙂

    PS-2: Fairy, magari si potessero avere quelle risposte lì. il Rabbi mi fa morire dalle risate: digli, da parte mia, che è facile essere saggi, basta pensare a qualcosa di stupido, poi non dirlo (dovrebbe capire quel che intendo, lui che ha la saggezza dei vecchi; peccato che i vecchi non diventino più saggi: solo più attenti 🙂

    Ciao ragazzi, .;-)
    Nikki / Monica
    PS-3: Amore è quando fa sentire l’altro rispettato, non umiliato,
    non distrutto ma sostenuto;
    amore è quando ci fa sentire nutriti, liberi.
    Allora si scende a profondità maggiori.»
    (Osho)

  56. 🙂 io e amaso ci vogliamo bene no worries. i vecchi non sono saggi e nemmeno moralmente ok, sono solo
    troppo stanchi per spostare la valigia che contiene i
    loro sex toys. mai piaciuti i vecchi. poi dovrebbero mollare – e parlo di un mio zio – l ‘usufrutto di quei due appartamentini del cazzo dove sono nudo proprietario!!! 🙂 CEMF

  57. Non bisticcerei mai con chi stimo 🙂

  58. … Meno male… 🙂

    Vi abbraccio,
    Nikki/Monica

    PS: che il vecchio zio, vista l’età, abbia lasciato nei due appartamenti non per nulla del c…o qualcuno dei suo sexy toys?…
    Magari vale la pena di indagare, Cav! 😉

  59. ah quello se ha un pezzo di pane lo getta ai cani
    piuttosto che darlo ai parenti affamati. ma dopo gli 85 non crepano più? comunque guardo. quelle cose lì mi piacciono tantissimo vediamo se trovo qualcosa. 🙂 CEMF

  60. AMASO e FAIRENDELLI leggendo qui i vostri scambi, si trovano a passeggio due Signori a braccetto , due goliardici Signori , che dialogano e divagano e che suscitano anche molta simpatia…. ma a prescindere dal braccetto o dal goliardico, o meglio, prima di così, prima di tutto, sissignori ……. due veri SIGNORI!!!!
    Il pubblico tutto in piedi non solo applaudirà, come immaginato da Sig. Fairendelli qualche commento fa, ma farà di più….. getterà fiori, tanti petali di fiori ( io tulipani, è il mio fiore preferito), e sarà un grazie intenso …. una pioggia variegata di aromi e di colori !

    Grazie. Bravissimi!
    Saluti

    Emanuela

  61. Eccessiva?

  62. Francesco Gallina,
    Tommaso Meozzi,

    ringrazio anche voi – scusate, i vostri commenti mi erano sfuggiti – per i complimenti (e anche per le velate critiche, Tommaso: il linguaggio è spesso carico, mi rendo conto: scelta voluta, per incrementare il pathos descrittivo senza scendere in particolari scabrosi, a questo punto te ne sarà chiaro il motivo).

    La colpa, la sensazione di essere tu quello sbagliato – quello ‘difettato’, per utilizzare un termine coniato dalla bravissima Emanuela – non te la scrolli di dosso, mai.

    La tua parte razionale, senziente, quella degli uomini e donne di terra e lavoro, sa che non è così.
    E’ l’altra, sfera emozionale di uomini e donne di linfa pulsante e cielo, imputata a generare le nostre emozioni (il sistema limbico, pare: fremiti e palpiti, si dice, racchiusi dentro una minuscola ghiandola chiamata amigdala), che ti lavora contro.

    Difettato, in fondo, lo sei per davvero: roso dalla convinzione che i tuoi avrebbero fatto meglio a riportarti indietro, al ‘negozio dei bambini’ (l’ho vissuta per anni, questa cosa, sulla mia pelle), perché non eri quello ‘giusto’. Non puoi farci nulla, è più forte di te.
    Non ti lascia, questa cosa qui.

    La compassione non serve. Non aiuta.
    La comprensione, quella sì.

    Grazie,
    Nikki / Monica

  63. Fairy,
    mettici al corrente dei tuoi ritrovamenti, siamo più o meno tutti interessati, credo 🙂
    Nikki/Monica

  64. Emanuela,
    eccessiva?…

    Non mi pare.
    Piuttosto, giusto – meritatissimo – contraltare (antagonista no, non lo direi mai 🙂 per quei due signori lì 🙂

    Onore – e fiori, anche, tanti: i miei preferito sono le margherite, non costo neanche tanto, vedete 🙂 – a Voi.

    Scherzi a parte, grazie (per davvero, stavolta) a tutti, indiscriminatamente, per la vicinanza.
    Non ho più parole in testa (capirete, non è facile parlare), ma ne ho tante, tantissime, invece, dentro al cuore (che sia l’amigdala?…:-)

    Abbraccio e ringrazio,
    Monica

  65. nikki non so neanche come dirlo, pianto davvero di gioia. sotto l’assito del piano terra dell’app.to dello zio ho trovato la valigetta di cui dicevo! è come uno scrigno e il contenuto è meraviglioso. ne parlerò solo in caso di inserimento nei 25, diversamente mi chiuderò in un cupo mutismo. i segni nel cielo non sono buoni, ho paura, sogno scuse che potrei accampare a me stesso in caso di fallimento, sogno di chiedere la “quota” esoterica, almeno un racconto su 25 del tipo piccoloborghesia esoterica come i miei. negli incubi più atroci vince chi ha sempre creduto in me (la compagna fagnanski) e non io. è tremendo, non dovevo iscrivermi, la pressione chissà dove cazzo è. manca ancora parecchio! un abbraccio a tutti. 🙂 CEMF

  66. Cav,
    mi preoccupano i suoi problemi di pressione: avrei suggerito un cordialino per la bassa arteriosa e un diuretico per l’alta da stress traumatico pre-premiazione, poi ho notato che Emanuela e Amaso hanno già provveduto a coccolarla 🙂

    Mi unisco comunque al coro dei suoi tifosi, auspicando che nonostante il randagismo in quel di Lucca le venga assegnata una quota pari opportunità (quantomeno, eccheccavolo! 🙂

    Le auguro – scherzi a parte, davvero – la miglior fortuna, e che i segni del cielo vadano a farsi friggere (anche perché, dico, vorrà mica lasciarci qui a sbavare, immaginando le meraviglie da lei reperite sotto l’assito del vegliardo?… :-).

    Abbraccio tutti,
    M.

  67. Quota esoterica di pari opportunità: la Via.

    Inclusione nella silloge: unico modo per evitare un mio cupo e disperato mutismo e accedere alla piena poetica dell’elenco (contenuto valigetta).

    🙂

    CEMF

  68. Che bel racconto! Mi è piaciuto molto 😉

  69. Sono arrivata fino in fondo…anche ai commenti che di solito leggo con meno attenzione, ma questa volta non mi è stato possibile. Grande Monica!
    Il tuo racconto è ben scritto, stilisticamente ho apprezzato certi effetti zoom soprattutto nelle descrizioni o certe immagini poetiche quasi pittoriche. Le ossessioni all’inizio più presenti danno un certo ritmo poi diminuiscono e si spiegano con il raccontare. La forma che hai utilizzato è un bellissimo vaso per contenere un fiore raro, che difficilmente si fa vedere. Uno scorrere fluido della parola che denota intelligenza e sensibilità, prerogative che aiutano a vedere meglio nelle notti buie (e anche in pieno giorno) che attraversa ogni bimbo spezzato, qualunque sia stato il mostro che gli ha strappato i bei sogni.
    Cara Monica hai fatto un bel passo, un bel regalo (sicuramente sofferto come tutti i bei regali)alla tua vita. È il momento di ..andare avanti. Di bambini spezzati ne conosco diversi, se mancano dell’ambiente adatto, dell’intelligenza e di un po’ di fortuna (quella, accidenti, ci vuole sempre) diventano adulti confusi, funamboli inconsapevoli della vita. Ma la tua bimba spezzata è cresciuta si ricompone è vigile e va bene così. Sceglie di credere al perdono, (di chi lo decide poi lei se proprio ci riesce) e va bene anche quello, tanto ha vinto lei.
    Cioran diceva che “scrivere è squartarsi dentro” lo penso ogni volta che affronto la voglia di mettere su un foglio di carta (o su una tastiera) i miei pensieri e la tua bimba spezzata ha scritto bene e mi auguro che continui a farlo perchè non si farà più male di quanto non le è già stato fatto, al contrario si aiuterà e aiuterà quei bimbi spezzati che non hanno la sua stessa forza.
    Continua,continua, continua ! I mostri dentro li abbiamo un po’ tutti e nessuno è più brutto degli altri, guardarli in faccia è il primo passo per sconfiggerli.
    Ti rimando ad una canzone di Giorgio Gaber e Sandro Luporini “I mostri che abbiamo dentro” non è allegra…(nemmeno quella del racconto) ma vera e può valere per tutti, non solo per i bimbi spezzati.
    Auguri per il concorso, li meriti!
    Silvia Bello Molteni

  70. Bellissimo racconto. Complimenti!

  71. allietare qualche ora – qualche minuto, in questo caso – della vita di un lettore è la maggiore aspirazione di uno scrittore, si dice.

    In questo caso, avrai capito, c’era qualcosa in più – quel passo ulteriore (l’ultimo?… ancora non so) che avevo bisogno di compiere per lasciare una brutta storia alle spalle.
    Un incubo che si ripete ogni giorno per milioni di minuscole stelle che potrebbero non risplendere mai più.

    Condividere, fosse anche per un solo istante, il buio ostinato di quelle piccole lucciole senza voce che non si accendono più, regala loro una fievole, impercettibile luce che riscalda l’anima.

    Grazie,
    Nikki/Monica

  72. Quello appena postato era commento in risposta a Domenico Restucci – Domenico, mi si è cancellato il’incipit… scusa 🙂

  73. Silvia Molteni (cognome necessario, ci sono parecchie ‘Silvia’ sul sito),

    che bello che tu abbia apprezzato non solo la storia, ma anche lo stile. Un po’ diverso dal solito, ammetto, sincopato – a ragion veduta, credo, per enfatizzare la drammaticità degli eventi senza scendere (non volevo, non potevo) in particolari scabrosi.

    Non hai idea del sospiro che ho tirato per averlo finalmente fatto, questo passo.
    Pesava, eccome se pesava.
    Avevo deciso, vedi, di non rivelare l’identità di Allegra, ma poi il tempo passava e alla fine mi sono detta ‘perché?’
    Perché no? C’è forse qualcosa di cui Allegra debba vergognarsi? Assolutamente NO, mi sono risposta.
    Ogni giorno, nel mondo, sono milioni i bambini molestati, stuprati, uccisi, persino.

    Che siano loro a doversi vergognare, in luogo di questa nostra cultura incentrata sul culto del più forte?…
    Non credo. Proprio no.

    Strano, a pensarci, che il mondo animale, incentrato sull’istinto, non conosca certe pulsioni che, a torto, gli umani definiscono ‘animali’.
    Gli animali uccidono per sopravvivere.
    Non molestano, non stuprano.
    Non gettano i propri piccoli nei cassonetti, nelle tazze del water.
    Non spengono loro addosso mozziconi di sigarette, non spezzano loro le ossa.
    Al contrario, li difendono a costo della propria vita.

    Viene da pensare che le pulsioni ‘deviate’ dell’uomo siano dovute piuttosto alla cultura (alla parte razionale del cervello) piuttosto che alla natura (‘culture, rather than nature’).
    ‘Pulsioni umane’, dico io, macché ‘pulsioni animali!…
    Scrivere è certo ‘squartarsi dentro’, Silvia, sono assolutamente d’accordo.
    Dentro, fuori e anche tutt’intorno. Viscere e sangue sempre, che le vicende che si racconta siano vissute, o frutto della propria immaginazione.
    Non sempre riusciamo nell’intento, ma quando anche solo ci avviciniamo allo scopo produciamo, credo, dei piccoli pezzi d’anima.
    Molti ci sono riusciti – ho letto racconti bellissimi, spero di riuscire a leggerne altri prima della scadenza del concorso, il tempo è tiranno 🙁
    Auguro a tutti, lettori e scrittori, tanta fortuna e una splendida vita.

    Grazie Silvia,
    Nikki/Monica

    PS: Nella sfortuna, sono stata fortunata.
    Perdonare – inteso non come virtù assoluta ma piuttosto come punto di arrivo di un lungo, sofferto percorso razionale – mi ha salvata.
    L’esperienza mi ha insegnato che angosce e rabbia costruiscono una gabbia tutto intorno a te, una prigione di risentimento del tipo FINE-PENA-MAI, e che tu sei l’unico a poter abbattere le mura della cella e le sbarre della tua gabbia.
    Per me, è stato lasciar andare – lasciar andare i mostri, e persino noi stessi.
    Perdonarci alle volte è persino più difficile che perdonare gli altri.
    Questo è l’unico consiglio che, in cuore, mi sento di dare a tutti i bimbi spezzati: lasciate andare.
    Liberate chi vi ha fatto del male per liberare voi stessi.
    Grazie ancora, Silvia.

  74. Alessandra,
    complimenti immeritati, credo, ma sicuramente ben – meravigliosamente – graditi.

    Ho scritto ormai tanto sull’argomento che sono rimasta a corto di temi, e parole.
    Cosa posso dire di più se non che la partecipazione di voi tutti, qui, mi ha stupito?
    Questo concorso sta superando, credo, persino le migliori aspettative dei nostri ‘direttori artistici’ – come li definisco io; nel loro caso, trovo ‘editoriali’ restrittivo 🙂 – Sabrina e Demetrio (mi perdoni Demetrio, prima le signore).

    ‘Racconti Nella Rete’ è cresciuto; negli anni si è trasformato in un vero e proprio evento mediatico.
    Uno che gode di una straordinaria adesione di scrittori (molteplici, davvero, i racconti di eccellente caratura) e lettori (fantastica, quest’anno più che nelle edizioni precedenti, la partecipazione e la produzione di commenti di livello).
    Soprattutto, è l’unico concorso che permetta agli scrittori di condividere le proprie visioni e le proprie esperienze con i suoi lettori.
    Impagabile, a dire poco.

    A te, Alessandra, a tutti i lettori che hanno speso cinque minuti del proprio tempo per leggere un brano, per apporre un commento, dico ‘grazie’.
    A tutti, indiscriminatamente.
    Con qualcuno abbiamo condiviso un parere, con altri un pensiero. Con altri ancora, una speranza.
    In qualcuno potremmo aver trovato un amico, un’amica.
    Chissà.
    Solo il tempo potrà dire.

    Grazie a te, Alessandra.
    Grazie a tutti voi.
    E a presto,
    Nikki/Monica

  75. Racconto che mette i brividi, tematica durissima ma trattata con la delicatezza di una piuma, atmosfera adatta, vicenda che si svela a poco a poco, stile che coinvolge e non permette di alzare lo sguardo dal testo nemmeno un secondo. Complimenti davvero!

  76. Un racconto che scava dentro l’anima della protagonista con delle metafore e con delle similitudine poeticissime, dense, alcune mitiche. Stile sublime, ricco di connotazioni. Credo sia il miglior modo per far sentire a chi legge, e forse anche a chi scrive, l’asprezza di un’esperienza incancellabile. Complimenti!!!

  77. Cinzia,
    apprezzo tu abbia sottolineato la delicatezza usata nel trattare il tema.

    ‘La bimba spezzata’ non attrarrà in ugual maniera i maniaci del sensazionalismo a tutti costi affetti da innominabili pruriti, essaichissenefrega.
    Non avrei potuto trattare l’argomento in maniera diversa.
    Questione di rispetto: per me stessa e per tutti i bimbi spezzati.
    Alla fine, sai, non importa quali siano i gesti, neanche se siano più o meno brutali: le molestie in sé hanno un inizio, e una fine.
    Sono meramente fatti, azioni, che restano chiuse dentro se stesse.

    Quello che spezza l’anima di un bambino è altro: è piuttosto la triste consapevolezza della fine.
    Per giovane che tu sia, ti rendi conto da subito che qualcosa di molto importante di te, dentro di te, è finito in quel momento.
    Capirai più tardi che qualcuno, quel giorno – quello che si fagocita il tuo prima e il tuo dopo – si è portato via qualcosa di assai più importante persino del tuo corpo più o meno violato: un gesto è sufficiente a portarsi via la tua innocenza.
    Dopo, niente sarà più lo stesso.

    Non sarai mai più un bambino come tutti gli altri.
    Non ti addormenterai mai più circondato da quella piacevole sensazione di tepore, non potrai più cullarti in quello stato di grazia tipico dell’infanzia.
    Ti ritroverai a ogni momento circondato da orchi piuttosto che da fate.
    Pregherai di giorno e ogni notte, incessantemente, perché i mostri non arrivino, perché i tuoi genitori non ti abbandonino, perché tu non sarai mai più ‘intero’.
    Perché sei un bimbo a metà.
    Difettato. Spezzato, per sempre.
    E tu lo sai.

    Ecco, vedi: questo, soprattutto, la terribile sensazione d’incompiuto – la consapevolezza di una vita interrotta che nessuno potrà renderti mai e che ti porterai dietro, qualunque cosa accada, per sempre – vorrei che arrivasse, del racconto.
    Perché la parte peggiore della violenza, alla fine, non sta neanche nel ‘giorno del buco nero’.
    Quello è solo l’inizio. Il peggio – e di questo nessuno parla abbastanza – arriva dopo: la vita.

    Cio che si spezza si può aggiustare, in qualche modo, qualche volta: ma non tornerà a essere integro.
    Mai.

    Abbracci,
    Nikki/Monica

  78. Matteo,
    che belle le tue parole!

    Grazie, davvero, dal profondo del cuore.
    In questo racconto ho messo il cuore.
    Avrai capito il motivo.

    Parlando di stile, per rendere la brutalità dei gesti senza insudiciarli con parole non necessarie mi è parso opportuno utilizzare uno stile carico, un ritmo brusco e sincopato, sullo sfondo dell’opprimente sinfonia temporalesca che si mischia, ingarbugliandosi dentro di lei, con lo stato d’animo della protagonista.

    Mano a mano che la vicenda si avvia verso la risoluzione finale, ho invece inserito qualche immagine appena accennata – l’istantanea della donna che rincorre l’ombrello, per esempio: ‘un gigantesco uccello rosa, la forma di ombrello tappezzato da farfalle azzurre svolazza, rincorso da un gonnellone nero’ – di una certa delicatezza (immagino ti riferisca a quella, in particolare, quando parli di similitudini poetiche, dense).

    Lo scopo era alleggerire progressivamente l’atmosfera rendendo in tal modo il rinnovato stato di leggerezza, se non grazia (quello no, per i ‘bimbi spezzati’ non torna mai più), dello stato d’animo della protagonista.
    La felicità non saprei (forse, non è di questo mondo), ma la serenità, quella sì, si può – si deve – ritrovare.
    Sempre.

    Ti ringrazio molto, davvero, per l’apprezzamento.
    Non so dire quanto faccia piacere.

    A presto,
    Nikki/Monica

  79. Veramente complimenti!Lettura di compagnia!

  80. Grazie, GigNinni,
    argomento sentito, pancia, viscere, sangue e tutto ciò che segue.
    Ragion per cui i complimenti sono ancora più graditi.
    Un abbraccio,
    Nikki/Monica

  81. Bella scrittura. Mi piace il cerimoniale apotropaico/nevrotico delle tre volte. Non posso fare a meno di notare che i nostri racconti ( accomunati dal tema delle ossessioni) terminano allo stesso modo, con due frasi contenenti le parole “sorriso” e “leggero” 😉

  82. Gioacchino,
    ti rispondo qui, in ‘casa mia’, perché non mi sembra giusto continuare a imperversare sul post di Matteo, che abbiamo sicuramente annoiato già abbastanza con lla nostra disquisizione socio-culturale.

    Vedi, il messaggio che ti riferissi al protagonista del racconto non era arrivato chiaro (non a me, almeno).
    Mi era parso anzi che della ‘pretesa bizzarra di pensare di potersi “esibire” e al contempo pretendere riservatezza’ tu facessi un discorso generalizzato.
    Ho risposto a tua specifica domanda.
    Mai detto che si debba chiedere permesso per immettere foto, né che domandare liberatoria per visualizzare contenuti che noi stessi rendiamo pubblici.
    Ovvio, io stessa sostengo, per prima – lo faccio da prima ancora che tu ti attaccassi ai commenti in merito – che è bene non esagerare, esponendosi troppo.

    Alla protagonista del tuo racconto – quella che adesca gli uomini in maniera tanto sessualmente esplicita – essere usata e buttata come una scarpa vecchio è il minimo che possa accadere. Allo stesso modo, dico, e ribadisco, che è bene non esagerare anche con l’invadenza nelle vite altrui; è il caso del postino del racconto – non per nulla, guardone, per sua stessa ammissione 🙂

    Secondo te, uno così ha davvero il diritto di mettere il naso – e altro – dentro alla vita della ragazza del piano di sopra, cui consegna la posta, solo perché questa si è ‘esposta’?…
    Lo stesso che qualche anno fa si faceva i fatti delle coppiette dietro ai vetri delle auto in sosta?
    Non so.
    Be’, si vede che la vediamo diversamente.

    Per come la vedo io, nel mondo ideale un bambino dovrebbe poter prendere la mano del vicino di casa senza avere paura di essere violentato.
    Una coppia dovrebbe potersi scambiare effusioni senza il timore di venire spiata.
    Una ragazza dovrebbe poter correre in pineta senza essere inseguita da tizi in bicicletta che si danno da fare sotto ai pantaloncini.
    Nel mondo ideale un uomo, una donna, dovrebbero poter camminare per strada in abiti succinti – nudi, anche, perché no?… – senza per questo venire tacciati di istigazione alla violenza.
    Il mondo ideale però non esiste.
    Lo so bene. Lo so da un sacco di anni, fidati. Davvero tanti.

    Non ho detto altro che ci vuole misura.
    Moderazione. Educazione.
    Aggiungo che servirebbe anche un certo discernimento da entrambe le parti, per l’amor del cielo.

    Perché se è vero che da una parte si deve essere davvero un imprevidente idiota, oggi, per esporsi troppo, è anche vero che dall’altra c’è sempre quel ‘rischio lì’, di ‘quella’ corrente di pensiero cui temevo ti riferissi. Quella cui si attaccano i guardoni del racconto di Matteo – quelli che non hanno vite proprie e allora si fanno quelle altrui, che curiosano, sbirciano dentro le migliaia di profili di uomini e donne (giovani; ragazzini, perlopiù) che di ‘opzioni privacy’ non ne attivano alcuna, perché utilizzano il mezzo come strumento di espressione e di socializzazione.

    Non so a te, ma a me ‘sta cosa fa paura, che ci posso fare?
    Perché di fuori di testa, in giro, ce ne sono davvero tanti – io e te, che scriviamo soprattutto di noir, questo lo sappiamo piuttosto bene.

    Saluti,
    Nikki/Monica

  83. Fairy,
    approfitto per lanciare un messaggio anche a te: la voglio, la maglietta CEMF davanti e CAV dietro – lavoglio-lavoglio-lafortissimamentevoglio.
    Anzi, mi esprimo a nome di tutti i componenti del gruppo-famiglia-in-vacanza-a-Lucca: lafortissimamentevogliamo – la vogliamo tutti.

    Abbracci,
    La Famiglia

  84. Cosa cosa????? magliette CEMF per la famiglia???? Sììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììì…..taglia S, per favore……scollo a V…….ma anche per chi non rientra tra i 25?

    Un abbraccio a Nikki, della cui pagina ho approfittato.

    Caterina

  85. Monica abbi pazienza, ma tu continui a creare similitudini ed equivalenze tra situazioni completamente diverse.
    Non puoi paragonare il nascondersi in un parco a spiare le coppiette a chi va a curiosare in rete tra immagini e informazioni PUBBLICHE.
    E ‘ come paragonare un guardone che spia le coppiette ad una persona che si legge settimanali scandalistici. E’ un paragone che fa acqua da tutte le parti.
    Il guardone del parco che spia dai vetri di un automobile appartata va a ledere quella stessa riservatezza a cui chi posta immagini su internet ha deliberatamente rinunciato.
    Il guardone del parco guarda quello che NON GLI E’ STATO CONSENTITO DI GUARDARE. .
    Lo spione di internet guarda quello che gli è stato consentito di guardare, da chi ha immesso immagini SENZA PORRE LIMITAZIONI DI PRIVACY.
    Oltre a questo, la sola presenza fisica è un fattore ulteriore di rischio.
    Può essere percepito dagli spiati come pericolo assoluto, per la propria incolumità fisica e generare atteggiamenti di reazione immediati.
    Come fai a non capire che i due casi sono completamente diversi?
    Possiamo dire che quello che curiosa su internet sia uno sfigato, un curioso smodato.
    Ma questo non autorizza a dire che sia anche pericoloso.
    Se non mi credi, prova a dare del maniaco a chi guarda dei contenuti che tu hai opzionato come pubblici e poi vediamo come finisce.
    Il guardone del parco, invece, pericoloso lo è, per il solo fatto di trovarsi dove non dovrebbe trovarsi.
    Altra faccenda la posta.
    Nel racconto di Matteo questo non succede, ma aprire una lettera destinata ad altri è una palese violazione della privacy, oltre che un reato.
    Come puoi paragonare questo atto al fatto di andare in giro su internet a vedere quello che chiunque altro può guardare!!
    Riflettici un momento.
    Quanto a minigonne, scolli e bellezze in mostra, ti dico francamente che per me una persona può pure andare in giro completamente nuda che non mi impressiona per nulla.
    E’ evidente che qualunque atteggiamento disinibito non può essere in alcun modo considerato un alibi o un attenuante per eventuali prevaricazioni e violenze.
    Ma chi ha mai detto mai una cosa del genere?
    Soltanto tu sei arrivata a interpretare in questo modo.
    Per riassumere, nel racconto di Matteo, il postino andrebbe severamente punito soltanto per l’attività di guardone nel parco.
    Sulla posta che non apre non c’è alcuna violazione da parte sua.
    Sul fatto che gironzoli per internet guardando immagini pubbliche altrui non c’è alcuna violazione di privacy. E’ solo un modo autolesionista di trascorrere il suo tempo. Ma penso che abbia il diritto di farlo, sempre che i contenuti siano pubblici.
    Preso da solo, questo eccesso di curiosità non credo debba fare paura.
    Tu la pensi diversamente?
    Ma tu hai messo delle restrizioni, quindi i tuoi contenuti non sono pubblici.
    Quindi non corri il rischio che altri possano vedere liberamente eventuali tuoi contenuti privati.
    Scelta esattamente opposta a quella della protagonista del racconto di Matteo.
    Saluti.
    Gioacchino

  86. Ovviamente tutto il mio discorso si riferisce a immagini e contenuti LECITI, DI PERSONE MAGGIORENNI.
    Prima che ti venga in mente di tirare fuori altri argomenti che non c’entrano niente con questo discorso. Per la serie, se non riesci a convincerli confondili
    Saluti

  87. Ciao Nikki, il tuo racconto mi ha avviluppato (?). Sicuramente è un termine improprio o forse non esiste, ma voglio rappresentare il modo con cui sono stato preso da questa donna manager che ricorre alle cantilene per superare i momenti di panico (?). Ho intuito che la narrazione mi portasse a “qualcosa di drammatico” e mi sono sentito preso dall’ansia chiedendomi “come finirà?”. E in un crescendo di situazioni, con una scenografia fatta dalla natura e dagli uomini, mi hai portato alla rivelazione, ai fatti dolorosi. Da quel momento mi son detto: “Allegra avrà un periodo di convalescenza più o meno lungo, ma riprenderà il suo passo nel tempo e vivrà meglio”.
    Cara Nikki sei riuscita a coinvolgermi, come credo tu abbia coinvolto tutti i lettori. E’ questo uno degli obbiettivi di un scrittore/una scrittrice, che si aggiunge a quello di dare risonanza ai fatti della vita. Non ho completato la lettura dei commenti per il timore di venirne influenzato.
    Bravissima, ciao.
    Emanuele.

  88. Mi associo nuovamente e volutamente ai nuovi complimenti per Monica Nikki, e lo faccio stasera, come l’ho fatto in diverse altre occasioni e non solo perchè è ” di famiglia” ma perchè ogni volta che qualcuno torna sul suo racconto ricordo la sua stoffa e la sua D maiuscola che dona rilievo ad ogni D di donna grande o piccola che sia, e di questi tempi se ne ravvisa il bisogno, per varie ragioni, che qui sarebbe lungaggine stare a raccontare e non è il caso di farla lunga!
    FEMMINISTE O NON FEMMINISTE ……OVVIAMENTE!!!
    Semplicemente vorrei concludere dicendo che la sua voce con la sua penna scorre tra chi la ascolta e la guarda come una fonte da cui dissetare una sete di spessore e alla fine di ogni suo scritto, che sia un racconto o un commento, è come uscire dal cinema quando hai visto un bellissimo film…..continui a pensarci…a sentire i dialoghi più intensi…a parlarne tra te e te e in qualche modo te lo porti un po’ via!
    Grazie cara N.Monica…..

  89. Emanuele,
    ‘avviluppato’ esiste, non preoccuparti, eccome, ed è termine assolutamente appropriato, se il mio brano ti ha coinvolto fino a sentirtelo addosso e tutto intorno, sulla pelle e anche dentro.
    La convalescenza di Allegra è stata lunga, lunghissima; ancora dura – non avendo letto i commenti (hai fatto bene, possibile che alla fine avrebbero in qualche modo influenzato il tuo giudizio), non sai che la vicenda mi appartiene in tutto e per tutto, dallo scritto agli avvenimenti oggetto della narrazione.

    Sulla valenza del perdono credo non si possa disquisire; ne trattiamo in maniera simile, io e te.
    Ed entrambi siamo arrivati, per strade diverse, al medesimo traguardo.
    Io per esperienza, tu per empatia. Bravo.
    Non tutti ne sono capaci.

    Ognuno reagisce al dolore a proprio modo, non si discute. Tuttavia, io credo che non si viva, non per davvero – lasciarsi esistere è un’altra cosa – con ‘quel’ peso sul cuore.
    Egoismo, piuttosto che altruismo?… Chissà.
    Personalmente, non mi sento una valorosa per essere stata capace di lasciar andare.
    Piuttosto, una sciocca.
    Per non avere compiuto quel passo molto, molto tempo prima.
    Ringrazio davvero per l’apprezzamento.

    Come ho avuto modo di ribadire in passato, i bimbi violati non domandano pena e commiserazione: comprensione e solidarietà sono sufficienti a far sentire loro il cuore più ‘soffice’, per usare un espressione cara ad Emanuela, e anche a me 🙂

    Grazie,
    Nikki/Monica

  90. Emanuela,
    che dire?…

    Grazie a te, e alla ‘famiglia’.
    Spero che ci sarete sempre, tutti – di più, che ci saremo sempre, gli uni per gli altri – ovunque questo fantastico (quasi in ogni sua parte) veliero su cui ci siamo imbarcati assieme finisca con lo sbarcare.

    Sai perfettamente che la stima è reciproca; il tuo soggetto, il tuo disegno fuori dai bordi, il tuo bimbo imperfetto, e proprio per questo tanto amato, è uno dei più belli che abbia mai letto.
    Alcune espressioni, certe immagini, mi resteranno per sempre nell’anima.

    Anche perché difettosi, abbozzati, fracassati e schiacciati dal peso della vita… lo siamo un po’ tutti, non è vero?
    Tu che sei donna – anche tu, con la ‘D’ maiuscola – mi capirai.

    Ti stringo forte,
    Monica

  91. Cazzo si va a un weekend alle terme e guarda il casino che fate su…Dobbiamo andare con ordine: 1) Fiore magliette con scritto CEMF davanti e CAV dietro: ne ho una dozzina, la famiglia è coperta. Conto di indossarla salendo sul palco per la premiazione e per introdurre a tutti l’Angelo Pahaliah, c’è il discorso della quota di pari opportunità metafisica e mi sento sereno………..no, eh? 2) Raccomando misura, educazione, rispetto, ben dice la Nikki per uomini donne bambini e animali di piccola taglia. Soprattutto invito a una concezione petrarchesca, ossia non maschilista e rancorosa della donna. L’eterno feminino ci prende in mano ci porta in alto, verso il Cielo. Vero, quante volte m’è successo!, che a volte la mano si apre e ti lascia cadere – e ti spiaccichi al suolo e il pezzo più grande di te sta in un cucchiaino da caffè e il dente più vicino è a dieci metri – ma è il prezzo che si paga per volare. Non solo rispetto alle donne ma inginocchiarsi. Di fatto provvedono a tutto per noi, fino a sognare al nostro posto. Modalità utili per provare ad avere questo atteggiamento si trovano sul mio sito, basta cliccare il nomignolo fairendelli. 🙂 CEMF

  92. Ah, Fairendelli, ma allora adesso si spiega tutto !
    Mi sa che qualcosa è andata storta, nella fase di assemblaggio dei tuoi pezzi.
    Vabbè va, saremo comprensivi, considerandone la causa.

  93. 🙂

  94. la Causa è solo Dio, Gioacchì. una maglietta è comunque tua. è multicolore. fatta con e-shirt. bellissima.:-) CEMF

  95. Ma che meraviglia! Grazie.
    Questo vuol dire che faccio parte della “famiglia” ?
    Bene.
    Allora io faccio Gomez.
    O alla peggio lo zio Fester.

  96. è un onore la famiglia è importante. fester ok. importante volersi bene. 🙂 CEMF

  97. Fairy,
    la famiglia è la cosa più importante.
    Non mi strapperete altra parola, neanche polizia letteraria, Torquemada, Savonarola e Matthew Hopkins messi assieme.

    Avrai forse notato che in questa edizione, che altrimenti sarebbe passata agli annali come quella dell”autocommento positivo’, è stato sdoganato il ‘commento alle intenzioni’: batte persino il tuo, dicesi ‘commento-in-vitro’ (nel senso di palla-di-vetro).
    Mi domando, non è che per caso ti abbiano sfilato la Veggente da sotto senza che te ne accorgessi?…
    Saluti,
    Monica

    PS: Magliette per tutti/tutte, grazie – anche per me, come per Caterina Silvia, scollo a ‘V’. Misura M, però, che sennò mi tira troppo sul davanti – sai com’è, misura; ci vuole misura :-).

  98. we giovanotti mi pare che ci sia un mio commento/editto di gennaio che esortava ai commenti alle intenzioni. la Veggente sta là (non qui come pensa gioacchì) ma ha difficoltà: un giorno sta troppo male, un giorno è rotto il PC. cosi io navigo a vista. ma voglio bene a tutti e se potro fare un piccolo discorso alla premiazione – indossando la maglietta – sarà bellissimo. 🙂 CEMF

  99. Cara Nikki Monica grazie per l’immagine del veliero….la trovo molto artistica e verosimile…..
    Per i salvagente?
    Siamo apposto vero?
    Le magliette?
    Io ora che ci penso, ancora non ho fatto il mio ordine…………sono rimasta indietro!!!!!

    Oggi che mare abbiamo?

    Vediamo…..

  100. Ho impiegato più tempo a leggere i commenti che il racconto. In linea di massima sono felicemente sorpreso che il mondo della Rete sia così vivacemente amichevole, ma ho qualche remora ad accettare intromissioni personali, positive o negative che siano, in quelle che si presumono le ispirazioni dell’autore o su ciò che realmente volesse far apparire. Una madre mette al mondo un figlio e lo coccola come suo per una vita, ma in realtà quel figlio avrà una vita propria e ‘suo’ non lo sarà più. Scrivere è un pò mettere al mondo qualcosa di proprio, ma dal momento in cui l’opera è dominio di altri, se è un prodotto ‘artistico’ finirà per avere vita propria, ogni lettore lo interpreterà secondo la sua capacità mentale, secondo i suoi gusti, secondo le sue personali esperienze.
    Il Tuo racconto, Nikki, avvince, non importa se per l’argomento, per lo stile o per la metodologia di scrittura. A me ha lasciato quel qualcosa a cui pensare subito attraverso l’impressione immediata, ma anche quel qualcosa da dover ripensare nel tempo attraverso una meditazione più profonda.
    Ho percepito una pioggia prepotente nella scena, nell’animo, nella realtà della vita e della morte come aggregatrici e separatrici di pensieri e sentimenti.
    Mi sono arricchito un pò di più per averlo letto e, complimentandomi, Ti ringrazio per questo.
    Brunello

  101. Davvero intenso e tridimensionale.
    Complimenti.

  102. Emanuela,
    i salvagente ci stanno, non ti preoccupare. Maglietta per te garantita, suggerisco una di ricambio nel caso di mare in tempesta.
    Ti abbraccio, Monica

  103. Sai Brunello,
    non spiace che gli amici della Rete si siano mobilitati per dimostrare la loro partecipazione: anzi.
    La condivisione accende il cuore di una ‘bimba spezzata’ che si è liberata l’anima di un tepore dalle proprietà peculiari, che scalda ma non brucia.
    Non che il cammino non sia stato lungo, desolante.
    I piedi spesso gonfi e dolenti, l’anima dilaniata.
    Scriverne, squarcia il cuore.
    Hai ragione: gela l’anima, quel diluvio – interiore quanto fisico.
    Poi, arriva il conforto che non ti aspetti – il cuore soffice di perdono (grazie, Emanuela).
    Ringrazio te, per la sensibilità. E anche per la mail, cui risponderò a breve.
    A presto,
    Nikki/Monica

  104. Ilenia,
    ti ringrazio per l’attenzione.
    Fa piacere che tu abbia colto la multidimensionalità del testo.

    Trovo un racconto tanto più valido quanto più si articola su piani diversi: quello della narrazione, anzitutto.
    Ritmo e musicalità, tuttavia. sono altrettanto importanti al fine di creare la giusta ambientazione e caratterizzare l’atmosfera del testo.
    Essenziali, trovo, per rendere lo stato d’animo (il mood) del personaggio.

    In questo caso, ho faticato molto più del solito a raggiungere lo scopo che mi ero prefissa – nello specifico, quello di rendere la drammaticità degli avvenimenti senza scadere nella narrazione di particolari scabrosi.
    Sarà perché ‘sentivo’ troppo il soggetto.
    Fa ancor più piacere, dunque, scoprire di essere riuscita nel mio intento.

    Un caro saluto,
    Nikki/Monica

  105. Concordo, è importante anche per me che ci siano più piani su cui si sviluppi il racconto e la musicalità del testo è la prima cosa che osservo assieme ai colori.
    Questa tridimensionalità rende bene il groviglio di pensieri nella testa del personaggio, gli da profondità, lo fa uscire dal foglio, o meglio, fa entrare il lettore dentro al foglio.

    Brava brava.

    Illenia

  106. Toc, toc, c’è nessuno? E’ permesso? Mi è permesso entrare a casa tua?
    Ho bussato finalmente! Quante volte ho rimandato… troppe volte ho riaccompagnato il batocchio (!!!) delicatamente al suo posto mentre i miei polmoni si svuotavano del respiro profondo fatto per darmi coraggio. Piano piano, in punta di piedi mi sono allontanata, voltandomi di tanto in tanto con la speranza di vederti sull’uscio, di incontrarti “per caso”.
    Perché mai tanto esitare? Per un timore reverenziale che mi appartiene per la Padrona di Casa, la Matrona, la Mater Familias (ecchisene se ci prendono per femministe) che tutti abbraccia e tutti accoglie con le sue infinite calde braccia.
    Non avevo ancora letto la Bimba. Sento talmente intensamente profondamente, a volte, ciò che leggo che non me la sono sentita di farlo fino a pochi giorni fa. Sono impressionabile, si era capito?
    Ma ora l’ho letta! Ho smesso di tapparmi le orecchie e ripetere “nananananana tanto non sento!”, come farei ogni volta che leggo, sento, apprendo storie di bimbi spezzati. Nanananana dice la bambina che sono e che sono stata. Che aveva ben chiaro in testa che c’era un limite, un confine che non si poteva varcare… con gli uomini in famiglia, amici, conoscenti, sconosciuti sapevo – e chi diamine sa come – sapevo che un allarme poteva suonare. Squarciarmi la vita e farmi esplodere la testa. Il mio allarme non è mai scattato così prepotentemente. Non ho incontrato questo nel mio percorso. Io quindi non posso dire. Solo che ti ammiro, ammiro Allegra, la sua Superiorità. Allegra che perdona innanzitutto se stessa e poi il suo violentatore. Un dolore che diventa catarsi, purificazione, elevazione. Non deve essere per tutti così. Non sto dicendo questo.
    Io so solo che questo l’ho sentito mio, risuona in me e mi fa bene. Vibra con le mie corde e produce una melodia meravigliosa. Salvifica.
    GRAZIE Nikki/Monica,
    GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE per il suono che avverto.

  107. Marcella – Marcellì, posso?…

    Ti sei fatta attendere, e come tutte le visite desiderate, il tuo arrivo non poteva essere più gradito.

    Non ci siamo incontrate ‘per caso’; ci incontreremo, sono certa, perché lo vogliamo entrambe (verrai, alla cena del 7 Agosto?… Oppure a Lucca?).
    Scusa se anch’io non sono ancora entrata in ‘casa tua’ – sono stata molto presa col lavoro, in viaggio all’estero.
    Prometto che al più presto rimedierò.

    ll tuo ‘nanananana tanto non sento’ mi ha strappato una risata di cuore, nonostante l’argomento.

    Capisco bene quanto sia duro ascoltare certe storie, che però, purtroppo – quanto, quanto vorrei che così non fosse – fanno parte della vita.
    Di tante piccole vite – bimbe, ma anche tanti bimbi – spezzati.
    Come me, nell’anima e nel cuore.
    Mai nella forza, nella determinazione di andare avanti, sempre e comunque.

    ‘Quel limite’ da non varcare c’è, eccome: lo si sente dentro, anche se non lo si conosce.
    Si sa, istantaneamente. Che qualcosa è finito.
    Perduto, per sempre.
    Te lo dicono lo stomaco vuoto e la testa confusa, gli sguardi commiserevoli della gente; quelle parole, soprattutto, che ti rimbombano ossessivamente nella testa: ‘hai gli occhi di una donna’.
    E allora non ti resta che cercare di non perdere te stesso.

    Qualcuno, commentando un racconto molto bello – uno dei vincitori – sul medesimo argomento, ha commentato che ‘il perdono non è possibile’.

    Mi permetto di dissentire.
    Per esperienza personale, dico che perdonare i mostri si può.
    In coscienza aggiungo di più: perdonare si dovrebbe – anche se capisco che non sempre (non a tutti) ciò sia possibile.

    Non riesco a immaginare un mondo senza perdono – un mondo in cui sia il male a trionfare, sempre e comunque.
    Il male che viene dal male è pur sempre male; non potrà mai essere ‘giusto’.
    Alla fine, credo di averlo già detto, trovo che niente (tantomeno la ritorsione, la ‘giustizia che si fa da soli’) racchiuda in sé la forza deflagrante del perdono.

    Grazie a te, Marcella,
    e a presto ritrovarci.

    Monica

  108. Nikki, Nikki, Nikki,
    ma certo che puoi! A maggior ragione perché mi ci ha battezzata la fatina (che ogni tanto si arrabbia di brutto), qui fatina madrina.

    Riguardo il perdono ci siamo trovate perfettamente d’accordo commentando il corto di Emanuele Ratti. Ho già lungamente detto. Sulla spietata vendetta pure.
    Penso però che perdono, non perdono, vendetta, non vendetta abbiano un significato più ampio. Credo che ognuno di noi nasca con alcuni “strumenti” e si comporti di conseguenza. Chi ha molto è chiamato a dare molto, chi ha poco lo stesso. Il poco di quest’ultimo, sfruttato interamente, dovunque arrivi, vale molto più del parziale dato da chi ha moltissimo in saccoccia. Se si ha la consapevolezza, se si sa, non si può più – o meglio potrebbe – far finta di non sapere. “Non è un peccato l’ignoranza, ma il perseverare nell’ignoranza una volta che si è conosciuta la Verità.”
    Ma poi forse anche questo non utilizzo dei propri talenti ha il suo perché. Si inserisce in una economia che ora ci è oscura, ma che “serve” a chi c’è stato prima o a chi arriverà dopo. Anche il non fatto, il non detto contribuiscono alla Trama. Siamo miliardi di fili, ognuno fondamentale. Più ci intrecciamo, ci imbrigliamo, più siamo connessi tra noi. Quello che pensiamo e che diciamo ha una potenza enorme e influenza tutti gli altri fili. Nel bene e nel male. Solo quando ci eleveremo su, su, su, fin Lassù, vedremo il bellissimo Arazzo e solo allora capiremo il perché anche dei nodi e degli strappi nelle nostre esistenze.

    Complimenti per la pubblicazione della tua raccolta!
    Grazie sempre,
    “e a presto ritrovarci”.

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