Premio Racconti nella Rete 2013 “Forse è solo una questione d’equilibrio tra gatti funamboli” di Sara Maria Serafini
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Il mio nome è Luca. Sono uno psicologo. Un uomo che sa guardare nelle parole degli altri. Sempre misurato, anche quando alcune storie sfondano il muro d’ovatta che scherma il cuore. In quei momenti ho un trucco. Penso a un gatto. Non l’ho mai raccontato a nessuno, perché le cose semplici non vengono capite. Le persone sono più orientate a complicare che a semplificare.
Quando finisco a lavoro, il mio pensiero caverna è tornare a casa. Fare cose facili, sfilarmi i calzini, capovolgerli e riporli nelle scarpe allineate contro l’anta del balcone. Di solito ho un giornale arrotolato e qualcosa già pronto da bere che diffonde aromi speziati dal tavolino del salotto. A Paola piace viziarmi.
Il giorno che l’ho vista per la prima volta pioveva e aveva i capelli bagnati, le si erano appiccicati sul viso come sottili fili di rafia. Aveva una lunga striscia nera di mascara sotto l’occhio. Non poteva essere attraente, eppure c’era in lei come una forma di sensualità istintiva. Pericolosa. Aspettavo di fare il biglietto per entrare al cinema. Si è avvicinata con un passo veloce, le mani in tasca. Mi ha detto che non le piaceva fare la fila e mi ha chiesto se poteva fare il biglietto assieme a me, visto che ero solo. Me lo ha chiesto con la sua voce rauca, da respiro animale.
Quando il cielo è grigio e mi influenza l’umore, mi capita di chiedermi se quel giorno avessi fatto meglio a dirle di no. Semplicemente.
Quando l’ho conosciuta avevo trent’anni, trentatré per l’esattezza. Stavo con una donna.
Stare insieme a una donna per tanti anni è come viverle dentro. Diventa la tua casa, esci e poi torni. Torni sempre. Ero così sicuro di noi, che ho iniziato questa relazione con tranquillità. In seguito, mi sono interrogato più volte sul significato e il peso della parola abitudine. Ancora non ho una risposta esatta.
Paola non ha mai saputo di questa relazione, ma è stato solo un modo stupido per proteggere una donna dalla presenza ingombrante di un’altra.
Ho amato Luca dal primo momento. È così diverso da me, così nitido. I suoi contorni sono disegnati con mano ferma, non ti puoi sbagliare. Non so bene cosa gli sia piaciuto di me. So che gli piace quando, al mattino, abbottono la camicetta da sotto a sopra, lasciando i seni scoperti. So che gli piace il mio nome, Paola, perché lo rimanda a una sensazione di pienezza immobile, difficile da equivocare.
Luca l’ho conosciuto per caso. L’ho visto, e la prima cosa che ho pensato è stata: – Io con quest’uomo ci devo parlare –. Sono stata io ad avvicinarlo, non ricordo neanche più cosa gli ho detto, ma in un attimo ho deviato la mia vita.
Quando l’ho conosciuto aveva trentatré anni. Io molti meno di lui. Stava insieme a una donna. Lui non ha mai immaginato che io ne fossi a conoscenza, non sa neanche che l’ho incontrata. Una mattina, in un bar. Non ci sono andata apposta, giuro. L’avevo già vista in una foto, ma da vicino mi è sembrata più luminosa, meno seria. Mi sono seduta accanto a lei al bancone, abbiamo avuto uno di quei discorsi leggeri che fanno gli estranei, abbiamo fatto colazione. So che prende il caffè macchiato, con molto zucchero. Ride in un modo piacevole. Anche quando ride, sorride. Ha gli occhi scuri, mani sottili. E’ una pianista.
Continuo a chiedermi cosa si potrebbe provare a essere toccata da quelle mani, sono sicura che a lui piaceva da morire.
E’ una donna che con me non c’entra niente. E’ molto tranquilla, non la infastidiscono i dettagli insignificanti del mondo. Ricordo che, mentre parlava, guardava la parete davanti a sé su cui erano appese decine di tazze colorate. Mentre parlava non mi guardava mai negli occhi. A un certo punto si è tolta gli occhiali da vista, li ha chiusi con cura e li ha riposti sul bancone d’acciaio. E io, per tanto tempo dopo quell’incontro, li ho immaginati su di un comodino basso al loro risveglio.
Certe notti mi svegliavo, con una voglia insensata di sentire la voce di quell’uomo che ancora non era mio. Possessione. Così afferravo il telefono e componevo il suo numero. Mi faceva bene sentirlo, dal tono della sua voce avevo la presunzione di capire se aveva fatto o meno sesso con quella donna. Lui non ha mai saputo che ero io a chiamarlo.
Sono stata delle donne, nella mia vita, che Luca non amerebbe mai. Una notte ho anche preso dei soldi da un uomo. Un pittore. Mi sono lasciata spogliare, solo perché con le sue mani dipingesse sul mio corpo uno di quei meravigliosi segni di cui erano piene le sue tele. E dopo esserci andata a letto mi ha pagata. E mi è piaciuto anche. Mi è piaciuto sentirmi una cosa. Ricordo che mi ha baciata sull’angolo destro della bocca, si è alzato, si è infilato la camicia nei pantaloni. Ha fatto tutto senza fretta, forse per non darmi l’impressione di volere liberarsi di me e di quella stanza. Si è chinato sul letto e ha lasciato cadere sul lenzuolo blu centocinquanta euro. Sono scivolati dalla sua mano con leggerezza. Sarebbero potute essere centocinquanta rose rosse, per dire. Però lo so che erano soldi.
Il nostro salotto mi piace, ha colori morbidi, pochi mobili. La stanza è illuminata appena da una lampada poggiata a terra. Bagliore diffuso, come guardare attraverso una caramella trasparente, cristallo di zucchero nero. La tenda si muove piano e mi sento forte contro il tramonto. Lo faccio entrare in casa e quello si sparge sul parquet di noce, disegnando cerchi, cantando canzoni malinconiche che mi danno da mangiare.
Bevo la tisana che Paola ha preparato, leggo un po’ il giornale, poi lo ripongo sul bracciolo della poltrona e vado a fumare sul balcone. A lei da fastidio l’odore del fumo e anche quando non si lamenta, me ne accorgo dai suoi occhi che diventano subito lucidi. Mi avvicino all’inferriata del balcone, mi chino e aspetto. Verso le sette spunta quel gatto sul terrazzo di fronte. Si guarda intorno, poi fa quella cosa che mi piace tantissimo. Si struscia contro una grata di plastica verde su cui una pianta d’edera si è arrampicata. Mentre il suo pelo folto si piega e prende la forma che gli conferisce il contatto, il gatto miagola. Il suo verso mi arriva sbriciolato.
Penso a tante cose chino su questo balcone. Cose mai dette a nessuno. Neanche a Paola.
Penso a quando da piccolo spiavo mia madre mentre si lavava. Dalla vasca si vedeva, contro lo sfondo verde delle piastrelle del bagno, il vapore acqueo risalire piano. Ricordo che volevo andare via, ma lei era lì, immersa in un panno di schiuma, con lo sguardo perso nel vuoto, un angolo della bocca piegato un po’ da un lato, a darle un’espressione imbronciata. Volevo andare via, ma gli occhi restavano incastrati sulla piega che il ginocchio faceva con la coscia. Alcune immagini, una volta che le hai viste, non te le togli più. Una coppia di sessant’anni ferma sul binario 3 della stazione di Torino; due valigie enormi e i bottoni dei cappotti chiusi fino a sopra. Il nonno di Riccardo che cambia il fondo della gabbietta del suo canarino; e lo fa per bene, come se non stesse maneggiando merda, ma piccole pepite d’oro.
Continuo a fumare, assorto nel rumore che fa quel gatto. Nei deboli anelli di fumo si sfilacciano i ricordi. Spengo la sigaretta in un vaso pieno di sabbia messo lì a posta, mi volto e vedo Paola stesa sul divano. Ha la pelle bianca e invitante. Sento da qui il suo odore e mi viene voglia di averla. Di sentirmi parte di quel corpo, un prolungamento al suo interno, una catena.
Luca è il mio polso che batte, è la mia rovina. E’ così intero che a volte, accanto a lui, mi sento come la pioggia. Mentre dorme ha il respiro sottile, come quello dei bambini. Non si accorge che, quasi sempre di notte, lo scavalco e mi metto a sedere per terra ai piedi del letto, con le gambe incrociate. In quei momenti vorrei che il tempo si fermasse e che lui non si svegliasse più. Per essere davvero solo noi, finalmente perfetti.
Luca crede di sapere tutto, ma non è così. Mi chiedo se questa sia la normalità disarmante di centinaia di altre coppie come noi, a volte ne sono turbata, altre eccitata. Non sa perfino le piccole cose. Per esempio, che adoro vederlo fumare. Ha il polso sottile e tiene la sigaretta in un modo delicato. Quando fuma, mi siedo dietro di lui sul divano e osservo il profilo del suo corpo. Appoggiato all’inferriata del balcone, la sua schiena fa una curva bellissima. Lo vedo seguire con lo sguardo un gatto. Sempre lo stesso. So che quel gatto gli fa venire voglia di sesso, forse in un modo inspiegabile e sconosciuto mi associa all’animale. Così mi adeguo e mi allungo sul divano. La voglia è contagiosa e i miei occhi sono già umidi quando lui si volta e fa per avvicinarsi, piano.
Se qualcuno mi chiedesse, oggi, cos’è che definiamo abitudine, non saprei rispondere. Forse è quella certa esattezza nel sapere le giuste cose e, per il resto, cedere all’istinto animale. Che la perfezione è una cosa da sentirsi piccolissimi. È quel gatto funambolo che compie piccoli passi felpati e salta atterrando senza scomporsi. Forse, è semplicemente una questione d’equilibrio.
Bello, Sara Maria.
Ottima proprietà di linguaggio, grande scelta tematica, affatto banale.
Coinvolgente, tagliente, talvolta spietato, con un finale dolce-amaro che ti lascia in bocca un retrogusto di deja-vu.
Azzecatissima, trovo, la scelta dello sdoppiamento del punto di vista da lei a lui; hai reso in maniera magistrale la diversa percezione che Luca e Paola hanno della medesima scena (sicura di non essere stata uomo, in una vita precedente?… 🙂
Brava, davvero.
Grazie 🙂
Il mondo delle relazioni di coppia mi ha sempre affascinato. Si tessono trame che crediamo fitte, ma che alle fine non reggono i nodi. E ci ritroviamo ormai vecchi a mettere a posto gli oggetti dell’altro che ormai non c’è più, e a capire davvero.
Scrittura molto sensuale la tua, cara Sara, densa di immagini bellissime che trascinano il lettore al centro di una relazione amorosa. Certo, lei mi sembra più psicologa dello psicologo, e il racconto, per quanto sdoppiato tra lui e lei, pende dalla parte di lei, lasciando intuire che l’autore del racconto sia una donna. Comunque molto brava davvero. Credo che, per la qualità dei racconti presenti in rete, stia diventando sempre più difficile per la giuria scegliere la rosa dei 25. Il tuo potrebbe essere tra quei 25! Vediamo se ci indovino. Auguri!
scusa, ma allora i miei? 🙂 ciao Bertino! CEMF
Ciao, Michele. Sui tuoi racconti non mi pronuncio più perché le tue reazioni sono incontrollate. Ti auguro però di farcela perché, in fondo, in fondo, ma proprio in fondo, sei un caro ragazzo.
🙂 🙂 🙂
dai che si scherza bertino. il racconto di serafini non mi dispiace, è scritto molto bene. la frase sul mettere a posto gli oggetti dell’altro – che non c’è più – mi ha fatto venire i brividi. la coppia in genere è, come le famiglie e come hanno scritto in tanti, un luogo di crimini e inadempienze. con l’aggravante del cafard, la noia mortale. giusto ieri leggevo sul corriere di un tipo che ha tentato di avvelenare la moglie mettendo del topicida nell’acqua. scoperto perchè lei, credendo lui omicida o pensando di meritare la morte :-), lo ha spiato con una videocamera. l’unico tipo di coppia che mi affascina è la coppia spirituale, quella cioè di due che erano uno prima che iniziassse questo mondo bizzarro. di questo ho scritto. CEMF
Grazie Giovanna, sono molto contenta che tu abbia apprezzato visto che leggendo in giro ho notato che sei un lettore molto critico. Che non è affatto una cosa negativa..lo sono anche io! 🙂
Come diceva il buon Pirandello “il lettore non è stupido, smettiamola di prenderlo in giro”.
Sai che sul fatto della voce femminile che sovrasta quella maschile si è già aperto un dibattito??? 🙂 Alcuni dicono il contrario, altri dicono che è così… Questo è il bello di scrivere…
Caro Fairendelli, io spero che i miei due protagonisti restino sulle mancanze e non sfocino nel dramma! 🙂
A parte gli scherzi, a Paola e Luca, sono molto affezionata..hanno ognuno una parte di me che ormai non c’è più.
Azzeccata l’idea di raccontare la storia dal punto di vista di lui e di lei. Anche secondo me è più psicologa lei dello psicologo. Mi piace molto la parte in cui viene fuori che lui pensa che lei non sappia tante cose e invece sa tutto. Complimenti!
Che dire?!? Davvero molto bello!!! Storia in fondo semplice, ma che rende molto attraverso la struttura a due voci. Geniale l’idea del gatto! Mi auguro che sia tra i finalisti…
Complimentissimi!!!!!!
Grazie mille Lauramon, me lo auguro anche io 🙂 🙂 🙂
La sfida era proprio quella: raccontare la semplicità in modo “particolare” 😉
Bel racconto, da leggere lentamente, per apprezzare lo stile raffinato con cui è redatto. Anche la storia mi piace, parlare dell’abitudine, degli equilibrismi necessari alla convivenza, necessari anche alla propria tranquillità. Si sorride in fondo, forse con un poco di amaro in bocca, pensando al funambolo che c’è in noi.
Cara Silvia.. Si sorride amaramente in fondo, pensando alle cose di noi stessi che conosceremo davvero solo noi. Che tradotto in una parola sola sarebbe: solitudine…
Ciao Nadia, sono contenta che ti sia piaciuto.. 🙂 forse lei appare più “psicologa” perché ha un carattere più forte..in una coppia c’è sempre chi predomina.. O magari ha il sesto senso femminile, chi lo sa! :p
Racconto scritto molto bene, con un erotismo profondo (vedi camicetta abbottonata dal basso verso l’alto, gusto estetico-estatico dei corpi e dei profili). Notevole la frase “le persone sono più orientate a complicare che a semplificare”. Il personaggio dello psicologo che “sa guardare nelle parole” è anche un po’ lo scrittore? Trovo che l’ultimo paragrafo non sia necessario all’incanto della storia.
Caro Tommaso grazie d’avermi letto…forse hai ragione sull’ultima frase, ma è una considerazione che ha un valore personale per me importantissimo 🙂
Sulla professione, che dire, mi sarebbe piaciuto fare la psicologa, ma sono un noiosissimo ingegnere/architetto 😉
Racconto per istantanee, mi è piaciuto. Il tema delle abitudini, individuali e di coppia, è molto interessante, e quello dell’equilibrio che ad esse si appoggia. A quali delle nostre sapremmo rinunciare per amore? Quali di quelle condivise continuiamo ad amare e di quante invece abbiamo perso il senso? Un rapporto finisce quando diventa abitudine? Il tuo racconto sembra dire che serve mantenere qualche segreto, non svelarsi fino in fondo. Non importa se quello che condividiamo dà ad ognuno sensazioni diverse, basta che siano sensazioni piacevoli per entrambi. Purtroppo è un equilibrio difficile.
Si Stefano, è proprio quello che penso..hai colto in pieno.
Non credo che tutte le verità sappiano fare bene. Non l’ho mai creduto.
Grazie d’essere passato…
Trovo molto buona l’idea di un gatto che tramite le proprie abitudini diventa il regista involontario dei momenti sessuali più intensi di questa coppia. Un gatto afrodisiaco che contribuisce a fare da collante di questa coppia che regge all’usura del tempo. Un racconto che lascia un bel messaggio “C’è modo e modo di essere abitudinari”
Si Roberto, hai perfettamente ragione…L’abitudine, l’equilibrio, la passione..sono tutti costruiti su modi diversi che si intrecciano continuamente…
Grazie d’essere passato 🙂
Che Chicca, Sara Maria,
il passaggio dell’io narrante dal maschile al femminile e la diversa – diametralmente opposta, spesso, piuttosto che il contrario – percezione della medesima scena!…
Hai reso alla grande la differenza tra i sessi (del resto, la guerra tra uomini e donne è l’unica in cui si dorme col nemico :-).
Qui fai sorridere.
Dall’altro lato intristisce, ma in maniera lieve – con un retrogusto dolce e una sensazione di calore allo stomaco – quella percezione dell’abitudine, del consueto che piano scivola nel già visto e già vissuto. Potrebbe diventare noia. Forse.
Oppure, magari, affetto profondo – comunione d’intenti e di pensiero che va al di là, persino, di una passione mai del tutto sopita dagli occhi verdi di gatto.
Chissà.
Molto ben scritto, complimenti.
Nikki
Grazie Nikki, soprattutto per essere tornata 🙂
Si, l’amore è come l’energia..si trasforma di continuo..poi sta a noi innescare le “giuste” trasformazioni 😉
Sara Maria, ho letto i tuoi commenti e ho visto che siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Meno male. Mi sento confortata. Non condivido l’idea di commentare solo i racconti che piacciono e non mi pare proprio che il forum obblighi a questo. Non biasimo ovviamente chi segue questa linea. Ci mancherebbe altro. Ognuno fa come crede. Penso però che sia meglio ricevere un parere, anche non del tutto positivo, dato da un altro scrittore dilettante ( che comunque ha speso il suo tempo a leggere) che zero commenti, nulla di nulla! Ma questo si sa è solo il mio parere. O non si può dire?!?
Mah, Giovanna, io credo che tutto sommato si possa dire.. ancora non sono stata censurata.. se c’è un forum sotto è perchè ognuno è libero d’esprimere il suo parere. E dal canto suo chi pubblica on line un racconto sa, ovviamente, che lo sottoporrà a critiche. Il mondo è crudele. 😉 A parte gli scherzi, credo che la finalità di un concorso come questo sia anche migliorarsi, il confronto apre infinite possibilità di crescita. Ho partecipato a tanti altri concorsi e ho raccolto, com’è giusto, pareri positivi e negativi e di entrambi ho fatto tesoro.
Io sono per la verità 😉
Il tuo racconto sembra che abbia vita propria, come il battito del cuore, palpita, a volte veloce a volte lento, a seconda del personaggio. Brava, molto intenso.
Grazie Laura, ma che bel commento il tuo commento..è sentito..come se il racconto fosse riuscito a toccarti dentro in un punto preciso..ne sono felice. 🙂
Ciao! Davvero bello! Mi piace molto il modo in cui sei riuscita a rappresentare due azioni che avvengono nello stesso tempo! 🙂
Ma grazie Pasqualina!
All’inizio sembrava complicato, ma poi è bastato poggiare la penna sul foglio e tutto è venuto fuori così… 🙂
Ho letto con piacere il tuo racconto e apprezzo molto la tua capacità di passare da un narratore all’altro cambiando il punto di vista, il carattere e quindi il vissuto. La difficoltà sta nel passare da un sentire (perchè è questo che hai evidenziato nel tuo scritto) maschile ad uno femminile e viceversa. Siamo diversi e sentiamo diverso! Per forza di cose capisco meglio quello femminile, di qualunque Paola si tratti ,che mi piaccia o no. Mi sembra che Luca si sia espresso in modo molto maschile, gentile, ma maschile. Però questo è un commento squisitamente femminile!!!! Quindi di parte! Ciò no toglie nulla alla tua ottima competenza letteraria. Brava davvero!
Grazie Silvia.
Hai proprio ragione la difficoltà stava nel dare un carattere diverso alle due voci. Pur essendo io un’unica persona.. Spero di esserci riuscita, almeno un pochino! 😉
Lo stile è soave! Non sono proprio sicuro che sia una parola adatta per indicare uno stile, ma soave è il primo aggettivo che mi è venuto in mente. Subito dopo felino. Regna un’atmosfera rilassata, quasi indolente; c’è della complicità tra i due, nonostante gli equivoci e gli aspetti che uno ignora dell’altra. E’ una questione di abitudine, forse la felicità è saperla accettare, chissà? Bello, vellutato e morbido! Complimenti!
Caro Matteo, l’aggettivo soave sai che mi piace davvero tanto??! Non c’avevo neanche mai pensato fino a ora…
Mi fa molto piacere che tu abbia colto l’indolenza nel mio racconto..ho fatto proprio delle scelte strutturali, nelle frasi, nella scelta delle parole, al fine di “rilassare” il tempo..di allungarlo.
Grazie per il tuo splendido commento.
Non so il titolo… ma il resto mi piace.
Bel racconto
Ciao gabri… I gatti funamboli ringraziano lo stesso e ti dicono miao 🙂