Racconti nella Rete 2009 “Oggi, come allora, bevo pochissimo (Particolari insignificanti)” di Alessandro Colosimo
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2009Sono uscito presto dall’ufficio per andare a prendere mio figlio a scuola. Gli ho promesso una lunga camminata: prima sulla passeggiata a mare, a mangiare un gelato, poi sul molo. A primavera non c’è niente di meglio.
Con i nostri gelati in mano ridiamo parlando, per l’ennesima volta, della mia strana passione per gli scacchi, per lui incomprensibile. E’ l’argomento preferito da Federico quando vuole prendermi in giro e io non mi sottraggo ai suoi sfottò; a me piace così.
Distrattamente mi fermo a leggere il menù del ristorante sul molo, ma poi mi blocco davanti alla lista dei vini.
Sono improvvisamente a disagio. Conosco già questa sensazione. Ripensandoci oggi, dopo dieci anni, mi sembra incredibile e ancora mi accorgo di respirare affannosamente mentre rivivo quegli istanti. Pensieri che oggi non riconosco più e che mi restituiscono il ricordo della mia fretta insensata, di una lucida ferocia verso me stesso e gli altri, di particolari chiarissimi che dovrebbero essere insignificanti. Ricordo tutto con maniacale chiarezza:
““Da un quarto d’ora ho parcheggiato l’auto in garage. Sto lavorando alacremente.
“Certo in televisione sembrava tutto così rapido…”
Il tubo di plastica verde, come quelli che si usano per innaffiare i giardini, non ne vuole sapere di entrare nell’auto dal bagagliaio, attraverso i sedili posteriori. Sono nervoso.
“Ci vuole più forza…Fatto!”
Adesso dieci centimetri di tubo spuntano nell’abitacolo e l’altro metro e quaranta pende all’esterno fuoriuscendo dalla bauliera. Mi accorgo di sudare abbondantemente, malgrado sia la fine di un freddo settembre e indossi una giacca di fresco lana blu, senza giaccone.
“Devo abbassare il portellone…il tubo!…Il tubo…devo stare attento a non schiacciarlo. Non posso rischiare che il flusso di monossido di carbonio si interrompa…”
Il nastro isolante lo sigilla all’interno dello scappamento, dove l’ho appena inserito con cura. Sono soddisfatto della mia opera e una delirante felicità mi pervade: “Ho finito!”
Ora inizia la parte più facile. Dopo aver spento le luci del garage, salgo in auto dal lato di guida. Basteranno pochi secondi della debole luce di cortesia per portare a termine ciò che ho progettato da qualche giorno. Mi sistemo la giacca e la cravatta. Reclino leggermente il sedile, in modo da scongiurare l’eventuale caduta in avanti del mio corpo esanime che potrebbe azionare il clacson, attirando l’inopportuna attenzione di qualche condomino. Dal sacchetto di plastica, che si trova sul sedile a fianco, tiro fuori una bottiglia di grappa italiana che ho acquistato uscendo dal lavoro, prendendola distrattamente dallo scaffale del supermercato. La tengo con la sinistra e penso che basterà ad abbattere le mie ultime, eventuali, resistenze. Rimetto il tappo a vite nel sacchetto. Con la mano libera giro la chiave e accendo finalmente il motore. Attendo di percepire subito l’odore acre dei fumi dello scappamento, come hanno detto in quel film in tv. Niente di tutto questo. La televisione non è la realtà, ti inganna e te ne accorgi quando è troppo tardi. Ora sento solo il rumore del motore. Avidamente bevo il primo sorso, abbondante, infuocato. Istintivamente rivolgo verso di me l’etichetta della bottiglia per leggerla. Solo ora mi accorgo che è grappa di Barbera. Mi faccio abbracciare dal sedile avvolgente:
“Già, la Barbera…”
Ho un ricordo nitido, che mi torna sempre in mente nei momenti difficili. Un bambino con i pantaloni corti, una maglietta gialla, leggera, ai piedi dei calzini bianchi di cotone e le ciabatte. E’ seduto in un corridoio buio, il mento appoggiato sulle ginocchia, strette al petto dalle braccia incrociate. Il respiro leggero per non farsi scoprire e godersi cosa fanno i grandi quando non ci sono i piccoli. Davanti a sé l’unica stanza della casa da cui arrivano i rumori della mattina: la cucina. Osserva la possente schiena di un vecchio con i capelli bianchi ed i gomiti appoggiati sul tavolo, seduto su di una sedia di legno laccato bianco. Lungo il corridoio si spande il profumo irresistibile di soffritto. Il vecchio, come richiamato dallo sguardo invisibile del ragazzo nel buio, si volge verso di lui e lo invita ad abbracciarlo. E’ un’immagine da filmino Super8. Per me è la tenerezza. Quell’uomo era mio nonno Giuseppe. Ho vissuto molto con lui e con mia nonna Adele, li ho amati e non passa giorno senza che ripensi a loro.
Quella soggettiva la associo istintivamente al vino, anzi, proprio alla Barbera. E’ una mattina d’estate a Genova, avrò avuto cinque o sei anni, anni ‘70. La cucina è luminosissima e con un’ampia porta finestra, sempre spalancata, che restituisce nella stanza i suoni mattutini del quartiere popolare. Sul davanzale fanno bella mostra degli splendidi gerani.
Un abbraccio al nonno, un bacio alla nonna, con il suo immancabile grembiule a fiori, e poi ancora, come sempre, in ginocchio sulla sedia bianca a fianco al mio vecchio. Mi sembra di vederlo e lo ricordo come un uomo enorme ed onnipotente. In realtà era robusto ma di bassa statura, come tutti quelli della sua generazione; senz’altro fortissimo e vigoroso, anche alla sua età, lui trentino cresciuto tra le due “grandi” guerre del novecento. Quel giorno diventai grande, o almeno così ho creduto per molti anni, comunque rimane un momento indelebile della mia esistenza.
Lui sta preparandosi al suo rituale quotidiano: il tovagliolo bianco davanti a sé, ben disteso sul tavolo, al centro il bicchiere, a sinistra mezzo panino all’olio, di quelli morbidi e buoni, che si trovano solo in Liguria. A destra, la bottiglia della Barbera, l’unico vino che beveva con molta moderazione. Riempie il bicchiere. Osservo i suoi movimenti che mi sembrano più lenti del solito, quasi solenni. Senza dire nulla spezza il panino e ne intinge una piccola parte nel vino rosso. Lo osservo silenzio, rapito, come sempre quando esegue quei gesti. Dopo aver risollevato il pane e averlo fatto sapientemente sgocciolare del vino in eccedenza, mentre mi aspetto di leggere la solita soddisfazione sul suo viso una volta gustatolo, accade qualcosa di imprevisto. Mi fissa con i suoi occhi azzurri e sorridendo mi dice “Apri la bocca!”. Rivivo ancora la percezione esatta del terremoto di sentimenti che allora mi pervase. Fisso il nonno per capire se sta scherzando, perché glielo avevo chiesto una infinità di volte ricevendo delicati rifiuti. Ma quando vedo avvicinarsi anche la nonna, facendomi un rassicurante cenno con la testa, asciugandosi al grembiule le mani callose da massaia emiliana, finalmente prendo il boccone. Non ricordo né il sapore del pane né quello del vino, solo la mia felicità. Penso di avere la febbre tanto mi sento accaldato. Ridono e io con loro. Poi, mentre la nonna ritorna alle sue faccende, è la volta del nonno ripetere il rituale per sé.
Tutto questo ho rivissuto in quei secondi. Mi sorprendo a sorridere nel ricordo. Spengo il motore e scendo dall’auto””.
Un attimo e avrei perso tutto. Un attimo e il ricordo della mia infanzia ha difeso quella di mio figlio.
“Papà…papà…che fai? Andiamo, cosa stai leggendo?”
Riemergo dai miei pensieri e distolgo lo sguardo da quel foglio di carta che mi ha ipnotizzato:
“Niente, stavo leggendo la lista dei vini…ho letto che hanno la Barbera…eh…”.
Non importa.
Prendo mio figlio per mano. Voglio farmi prendere in giro ancora un po’:
“Lo sai che Petrosjan, il grande campione russo di scacchi, era goloso di gelato?”
Federico parte all’attacco deridendomi con una improbabile cadenza russa.
Sorridiamo e decidiamo di tornare a casa da mamma.
Oggi, come allora, bevo pochissimo.
Ciao ZENONE
Il racconto è bello. mi piace.
c’è un’intensità alterna che si vive scorrendo la descrizione del rapporto tra il ragazzino ed i due nonni
e questo è, sicuramente l’elemento di forza, insieme con il finale che avrei lasciato al penultimo punto perchè
ritengo, ovviamente è opinione mia, che l’ultimo rigo è troppo didascalico e poco funzionale al racconto stesso.
La parte iniziale è un po’ debole e forse una maggiore descrizione del dialogo anche pensato tra padre e figlio consentirebbe di spezzare meglio il racconto laddove il papà pensa all’idea del suicidio.
La descrizione del conflitto interiore è molto bella e quella dei nonni e del loro comportamento forse meritava perfino più spazio ed una maggiore quantità di aggettivi o di atti descrittivi (o scenici)
Complimenti ed auguri
Guglielmo
Per quanto possa valere il mio giudizio, io trovo il tuo racconto bello nel titolo e maturo nella scrittura. Descrizioni incisive del “pensiero”, non scontate. Ti faccio i miei complimenti. Bettina Bartalesi, autrice di SCALA REALE on line.
Emozioni, sentimenti e maturità nella forma e nella scrittura: complimenti ed in bocca al lupo
Claudia
Gentile Alessandro (Zenone),
il tuo è un racconto molto bello, intenso e ricco di suggestioni. Mi ha toccato.
“Già, la Barbera…” per me è un accenno che dice tutto: il sussurro di un ricordo che evoca sapori, a volte disperatamente violati, compresi quelli della vita e del proprio passato. Un viaggio nell’anima. Una rinascita.
Grazie e in bocca al lupo a te.
PS vorrei invitarti a fare visita alla mia “Locanda del cuococioccolato”, anche laggiù si beve dell’ottimo vino…Se hai voglia e tempo sarei curiosa di sapere cosa ne pensi.
Grazie,
Nicoletta
Ringrazio di cuore per le bellisime parole di apprezzamento. Non avevo ancora letto il tuo racconto e l’ho trovato veramente molto intenso. La storia, scritta benissimo, è struggente e denota grande sensibilità. Mi ha fatto subito tornare alla mente la straordinaria riflessione che Richard Llewellyn fa ad un certo punto in “Come era verde la mia vallata”: “E’ molto strano ripensare così le cose andate quantunque, se si riflette, non vi siano siepi né recinti intorno al tempo che è passato. Si può tornare indietro e rivivere quel che si vuole, purché lo si ricordi…”.
Ciao Alessandro, innanzitutto voglio ringraziarti per il bellissimo commento al mio racconto. Voglio farti,poi i complimenti per il tuo , che trovo profondo e ben scritto. Il doppio fash back è strutturalmente perfetto e dona all’intreccio maggior ritmo. Bella l’idea del ricordo salvifico riaffiorato dal gusto del vino, come per Proust la madeleinette.Complimenti e in bocca al lupo. Annamaria
Ciao Alessandro,
grazie per i tuoi commenti che rispondono al vero, dal momento che rispecchiano quelli di diversi altri lettori, sia nel notare le parti riuscite – l’idea e il ribaltamento finale sorprendente – sia in quelle carenti: migliore messa a fuoco dei personaggi e lettura non sempre scorrevole. cercherò di farne buon uso( ne sarò capace? – professionalmente io scrivo articoli e saggi sul mondo del lavoro)
Venendo al tuo racconto, l’ho trovato davvero molto forte e insieme molto delicato e ho amato particolarmente quel sapore di madeleinettes, che notava Annamaria, legato al ricordo e al suo potere salvifico. forse sarei stata più sintetica in alcune descrizioni di flash back, comunicando attraverso un’emozione piuttosto che attraverso una descrizione più dettagliata. resta il fatto che è veramente molto bello.
Scrivi da tanto, hai già partecipato ad altri concorsi? fammi sapere
cari saluti
Imma