Premio Racconti nella Rete 2013 “Le polpette della zia” di Gabriella Ferrari Curi
Categoria: Premio Racconti nella Rete 2013Ogni mattina puntuale alle cinque suona la sveglia, insieme ai leggeri rintocchi della campana della vicina chiesa di San Giacomo. Estate e inverno. Evitando di fare rumore, per non disturbare la zia che si lagna sempre di avere il sonno leggero come quello di un bambino, mi alzo, rifaccio il mio letto. Poi vado in bagno. Ci sto appena mezz’ora. Ritiro la mia biancheria che ho lavato la sera prima e anche quella della zia, che ripongo nel cesto dello stiro poi, sempre silenziosamente, vado in cucina e faccio le polpette.La zia durante la settimana mangia solo quelle e così ogni mattina, prima di andare in ufficio, gliele preparo per il pranzo. Le polpette, le vuole di carne magra scelta di vitello, tritata almeno due volte. Si lamenta di continuo che le fanno male le gengive che sono molto sensibili, a causa della dentiera che secondo lei è difettosa. Questo mese ho dovuto chiedere un permesso in ufficio, e ben due volte, per accompagnarla dal dottor Fornasetti, per fargliela controllare. Non ci sono problemi. La verità è che va pazza per le mie polpette.Dentro la carne, macinata dal macellaio che viene meglio, metto del prosciutto cotto magro, tagliato fino fino, un uovo fresco e due cucchiai colmi di formaggio grana stagionato, se no – dice – le resta tutto sullo stomaco, quattro o cinque foglioline di prezzemolo fresco, giusto per dare appena appena l’odore, una mezza patata bollita, la mollica di un panino bagnata nel latte, tre grattugiatine di noce moscata e un pizzico di sale. Poi chiudo la porta della cucina, per non disturbare, e miscelo tutto nel frullatore, non molto, solo tre passate, perché le polpette diventerebbero troppo molli e alla zia non piacciono. Il segreto sta nella precisione degli ingredienti e nelle mie mani delicate. Infine ne faccio tante palline un po’ schiacciate di quattro centimetri di diametro – più grandi diventano mosce, più piccole assorbono troppo unto – le infarino e le scuoto delicatamente, in modo che la farina si attacchi solo come un velo sottile e non si depositi nella padella, con il rischio di dare alla carne un lievissimo sentore vagamente amaro. Quando una volta è capitato, devo confessare che non me ne sono accorta, ma la zia ritiene che io sia troppo zotica per distinguere bene i sapori. Le faccio friggere in tre cucchiai da minestra di olio di vinaccioli, marca Saporiti e solo all’ultimo appena un po’di burro, proprio per dare loro il gusto lombardo che lei preferisce. Infine le adagio delicatamente sulla carta gialla spessa che il cartolaio all’angolo procura apposta per me, perché la zia è convinta che, asciugate sulla solita carta assorbente che si vende in rotoli, le possono mangiare solo gli ignoranti. Come me, naturalmente. Poi preparo quattro cucchiai di purè sbattuto bene che non faccia grumi. Uso le patate a pasta bianca, quelle francesi, che non rimangono viscide, e il burro di malga. Infine tre cucchiai di riso pilaf, che la zia gradisce molto e soprattutto non si scuoce e non deve essere riscaldato. Socchiudo la finestra perché vada via l’odore di fritto, che la mattina appena alzata le fa venire la nausea e la mette di cattivo umore. Preparo gli indumenti da portare in tintoria e la nota della spesa. Mi devo ricordare di comperare una pagnotta di pane d’Altamura con la crosta fragrante e l’interno bello morbido, ma ben cotto. Ritorno in cucina, preparo la tazza, la zuccheriera, lo yoghurt ai lamponi, le fette biscottate e il vasetto del miele e metto tutto sul vassoio di peltro che era della mia povera mamma –“l’unica cosa decente che ti ha lasciato” sottolinea la zia appena può. Chiudo la finestra della cucina e spruzzo un po’ di deodorante alla vaniglia. La zia ogni giorno mi rimprovera: “Sarebbe ora che cambiassi sede di lavoro. Lo dico per te: saresti più comoda, vicino a casa!“ E’ che lei vorrebbe che ogni mattina le portassi a letto la prima colazione, come faccio il sabato e la domenica. Ma, accidenti!, anche se la zia è la mia unica parente – i miei genitori sono morti quando avevo sedici anni – e se non fosse per lei che mi ha messo un tetto sulla testa, adesso sarei “una povera sbandata ”, sono più che sicura che se fossi stata sola, avrei potuto avere una vita molto più agevole in tutto e perfino una carriera e sarei potuta diventare già capoufficio al posto della Fiumetto, che è disposta a fare lo straordinario la sera – e capiterà tre volte l’anno – anche se ha un marito tranviere che fa i turni e due figli. Ma con la zia non è possibile, perché sì, lei all’orario dei suoi pasti ci tiene molto e poi dice che la puntualità è la cortesia dei re. E lei vuole essere trattata come una regina. Corro come una forsennata alla fermata dell’autobus che mi porta a Milano e spero di prenderlo per tempo, perché il successivo arriva dopo venti minuti e farei tardi in ufficio. Scendo a Bonola, dove prendo la metro fino a Duomo e infine il tram che mi porta alla Ditta Ferlinghetti & Soci, Bottoni d’alta moda. Sono impiegata qui da dieci anni. E’ stato il mio primo posto di lavoro e, come non manca mai di ricordarmi la zia, è stata una fortuna santa a trovarlo, incapace come sono. Guadagno ora millenovecentottanta euro al mese per quattordici mensilità, che consegno alla zia, che mi lascia in tasca i soldi per l’abbonamento dei mezzi e dieci euro per mangiare qualcosa a mezzogiorno. Per la spesa devo fare la lista e poi portarle gli scontrini, che in questo, con lei, c’è tutto da imparare. Timbro il cartellino. Saluto con un allegro buongiorno il signor Ferlinghetti e il signor Rossi che è il suo socio. Dieci giorni fa salutavo anche il ragionier Moschino dell’amministrazione, che, appena assunto lo scorso anno, mi ha subito fatto gli occhi dolci. Anche a me è piaciuto immediatamente con i suoi capelli neri ricci e la bocca morbida. La zia, però, dopo che una domenica l’ho invitato a casa per un caffè, per qualche mese ha fatto fuoco e fiamme, perché non mi affezionassi a lui. Dice che ha la faccia da porco, insomma da dongiovanni e io sono una boccalona che ”ci cade come una pera e poi si trova con la pancia grossa”. E lei in questo caso non ha nessuna intenzione di aiutarmi. A pranzo non esco con gli altri, perché con dieci euro non saprei neanche cosa fare. In questi giorni mi porto in borsa un panino che mi sono preparata, di nascosto, la mattina, con il prosciutto cotto delle polpette, sto in ufficio e sfoglio qualche vecchio giornale. I soldi me li metto via, in un conto che ho aperto senza farlo sapere alla zia. Ho già accumulato una piccola fortuna, ben sedicimilaseicentosettanta euro. Ogni giorno sogno il momento in cui li spenderò per la mia casa nuova per qualcosa che desidero con tutto il cuore. Cambio sempre idea, perché i sogni sono tanti. La sera passo anche in tintoria e dal macellaio prima che chiuda.Per le polpette . Oggi, dopo che abbiamo mangiato, come ogni sera, la minestrina di brodo di pollo con i grattini e due gocce di limone, e le zucchine lesse condite con il timo fresco e un po’ di frutta cotta, mentre sparecchio, rimango impietrita, davanti alla tv. Perché hanno comunicato i numeri del lotto ed io, scettica, da dietro le spalle della zia ho tirato fuori dalla tasca la cartolina che mi ha regalato questa mattina la Rosetta, una mia collega sempre in lite col marito e con il figlio e che mi dice di continuo, beata te che fai la vita da signora senza nessun pensiero. Non riesco a crederci: i numeri estratti sono i miei. Me li segno di nascosto su un pezzo di carta e poi corro in bagno a ricontrollare. E’ vero: ho vinto duecentomila euro. Una somma pazzesca. Mi batte così forte il cuore che nel tinello sono perfino inciampata nella sedia della zia che mi ha detto inviperita: “Diventi ogni giorno più stupida. Anche la minestrina questa sera sapeva di poco. Proprio come te.” Ma io quasi non la sento, tanto sono eccitata. Mi faccio in testa una lista di cose da fare. Del tipo: passare domani nel bar dove è stato comperato il biglietto per sapere come incassare la vincita. Trovare immediatamente una pensione vicino alla Ferlinghetti, intanto che è pronta l’altra casa. Preparare la mia valigia con i tre vestiti che posseggo e il vassoio di peltro della povera mamma. Sul tavolo della cucina al posto della sua colazione e delle sue amate polpette la zia troverà questo biglietto:
“Cara zia, ti ho sempre odiato per come mi hai sfruttato. Pensavi che non me ne rendessi conto? Ogni mattina sognavo di metterti il veleno nelle polpette, come si fa per i topi di fogna. Un giorno l’ho perfino comprato, così tanto per consolarmi. Per curiosità avrei voluto mettercene anche solo un cucchiaino piccolo piccolo e guardarti mentre vomitavi. Ma poi ha avuto paura di farlo davvero e l’ho buttato. Me ne vado, cara zia. Mi porto via i gioielli della mia povera mamma che avevi nascosto in alto nell’armadio delle scarpe, come se non l’avessi scoperto subito, e il libretto postale con i risparmi che mi hai fregato in tutti questi anni. Il ragionier Moschino, nonostante le tue inutili scenate da zitella rancida, ho continuato ugualmente a frequentarlo. Ci ho fatto quasi subito l’amore – mi sono offerta io – e mi è piaciuto tanto. Lo facciamo ogni giorno nell’intervallo del pranzo, alla faccia tua. Dalle sue reazioni appassionate credo addirittura che mi venga meglio delle mie favolose polpette che gli porto ogni giorno. Le preparo anche per lui, oltre che per me, ogni mattina e le faccio con maggior cura delle tue. E sì, adesso finalmente, vecchia babbea, ci sei arrivata: ho sempre fatto la cresta sulla spesa. Alla grande. L’ho imparato subito. Non è stato difficile ed è la cosa che più mi ha divertito in questi anni, vedere con che faccia furba controllavi gli scontrini. Un mese fa lui ha voluto sposarmi, sia per le mie polpette sia perché, a letto, dice che lo faccio impazzire. E’ che a furia rollare polpette le mani mi sono diventate morbide e capaci. E poi siamo molto innamorati e tu, poveraccia, questo non lo puoi capire. Ho continuato ad abitare con te, perché ora è via per lavoro e stiamo finendo di mettere a posto la nostra casa nuova. Non ho nessuna intenzione di prenderti con noi né l’ho mai avuta. Sei una vecchia imbrogliona, stupida e velenosa e non vedevo l’ora di mollarti. Eugenia
P.S. La tua dentiera, che mi è costata un sacco di soldi, l’ho portata via io. Tanto a te a mangiar pappine all’ospizio non serve. La regalo alla Giovannona, che sta seduta per terra davanti alla fermata della 94. Mi sorride ogni mattina, con la sua bocca sdentata, e un giorno mi ha regalato anche un fiore. Se passi di lì potrai controllare.
Che rivincita la nipotina!! Una bella storia scritta bene, con il ritmo giusto per arrivare in fondo e sorridere per il finale a sorpresa.
Racconto con il colpo di scena che tutti ci auguravamo, anche se pare strano che la nipotona sia rimasta così a lungo a farsi insultare dalla vecchia arpia. Masochismo? Mi è piaciuta molto la prima parte del racconto dedicata alle ricette e mi chiedevo se davvero metti la mezza patata nell’impasto della carne macinata. Per la meticolosità dell’esecuzione, sembra di essere a Master Chef. Racconto molto “gustoso”.
Grazie Silvia. La zia all’ospizio ridimensionerà certamente le sue pretese.
La nipote, rimasta orfana a sedici anni non aveva casa, oltre a essere minorenne. Si preparava però un futuro mettendo via i soldi. E poi ha anche incontrato il ragionier Moschino che le ha fatto capire che è meglio passare la pausa pranzo facendo altro che mangiare panini. Peccato che di ragionier Moschini ce ne siano pochi in circolazione, amanti dei polpette. Per quanto riguarda la patata nelle popette, sono dell’idea che le amalgama meglio. Comunque ti ringrazio delle osservazioni, gabriella
Favoloso! Favoloso! è grazie per la ricetta, poi ti mando quella del polpettone!!! A te magari riesce, a me viene un disastro pure quello!!! Favoloso! Grazie cara!
E grazie non e ‘ grazie
Uno dei racconti che mi è’ piaciuto di più’.
… racconto molto crudele ma … ahimé … può rappresentare la realtà. Alla fine mi sono divertita troppo perchè “chi la fa … l’aspetti”!!! Complimenti!
Cara Emanuela, ti ringrazio dei tuoi complimenti. Non è che io sia una cuoca eccezionale , tanto è vero che qui in questo racconto ho solo voluto sottolineare le pretese della zia che riteneva che la nipote fosse troppo zotica per apprezzare alcune finezze ( vedi la carta gialla per far asciugare le polpette) Detto questo la ricetta è vera . L’importante è che le polpette siano della misura giusta. Vanno fritte in olio di vinaccioli o in un buon olio di semi e poi asciugate. Vanno salate poco nell’impasto. e servite calde a meno di friggerle poco ( allora devono essere più grossolane e passate poi nel sugo) Per il polpettone uso la stessa tecnica usata per le polpette. A volte , per renderlo più morbido e più delicato oltre al formaggio grattugiato uso anche la ricotta che lo rende particolarmente morbido. La mia zia del racconto però preferiva le polpettte più gestibili numericamente.
A questo punto buon appetito g
Cara Mara, come dici tu chi la fa l’aspetti . Io ho sempre una tendenza un po’ trucida nei miei racconti. L’hanno scorso ho mandato ” Conflitti di famiglia” in cui gioiosamente uccidevo la suocera. Quest’anno forse sarà perchè siamo vicini a Pasqua, ho solo tolto la dentiera alla zia antipatica e sfruttatrice. Ciao, grazie dei complimenti g
…ah, ah, ah divertentissimo e…caspita povera donna che “zietta” si è ritrovata! Mi pareva d’essere in cucina a preparare le polpette. Non vorrei essere statanei panni della zia quando ha incrociato la Giovannona e che le ha sorriso!
Gran bel racconto…l’ho seguito come si segue un film! Complimenti e auguri per il concorso!!
Cara Eleonora, grazie delle belle parole. Credo che se passi alla fermata dell’autobus la giovannona sorriderà anche a te. il suo sorriso è un po’ storto perchè la dentiera non è la sua , ma lei la mette sempre su, quando passa qualcuno di simpatico e regala un bel sorriso, che dopo l’acidità di certe persone è sempre benvenuto g.
🙂
…mi auguro proprio di si! 😉
Stile semplice e efficace, unito a una cattiveria che scava nell’anima dei protagonisti. Forse un po’ lunga la parte della ricetta, ma non sono molto esperto nell’arte della cucina.
Bel racconto! Strutturato davvero bene..tutta la prima parte in cui Eugenia descrive con dovizia di particolari le ricette che prepara servono per rallentare la narrazione e per dare al lettore una piccola percezione di tutto il tempo che Eugenia ha trascorso a casa della zia, in quel modo triste, sempre uguale.
Molto furba l’intuizione sbagliata che si regala al lettore: tutti si aspettavano che la zia venisse avvelenata..e il fatto che anche Eugenia l’avesse pensato senza farlo davvero rende ancora più sorprendente il colpo di scena finale..in cui ci rivela quella che è nel biglietto lasciato all’odiosa zia.
Ps. Delicata la barbona che sorride senza denti e pur non avendo nulla, offre un fiore 🙂
Brava!
Molto bello!!
E brava la nipotina!! Tifavo per lei!! Bel racconto dal sapore della rivincita (meritata), mi è piaciuto anche la descrizione culinaria molto approfondita, sembrava di essere lì sì!! Bella soprattutto l’ultima immagine di Giovannona che si è guadagnata un sorriso da regalare a chi se lo merita!
Caro Tommaso, la ricetta delle polpette è volutamente un po’ lunga ( ma così vengono buone ) perchè a ogni ingrediente o azione si delinea il carattere rompiscatole e odioso della zia, senza doverla ” raccontare”. Ti ringrazio comunque del tuo commento. g
Cara Sara, grazie per i tuoi complimenti. In effetti l’impulso di avvelenare la zia o almeno farle venire un bel mal di pancia mi è venuto. tra l’altro io, in molti miei racconti tendo a uccidere il mio personaggio in modo quasi casuale e incruento.Probabilmente freud avrebbe qualcosa da dire.La giovannona ti manda un sorriso.
Grazie Francesco. Commossa dalla lode se abbiamo occasione di incontrarci ti porto un po’ delle mie speciali polpette. Quelle senza veleno g
Anche per te , alessandro , dopo i tuoi complimenti un sorriso speciale dalla Giovannona.
Davvero un bel racconto! Complimenti! Mi è piaciuto soprattutto il finale della dentiera.
Un appunto , solo per cercare il pelo nell’uovo : Forse per la necessità di entrare nelle 9.000 battute, la storia della vincita alla lotteria l’ho sentita un po’ troppo brusca, così come la lettera di commiato. Va bene il colpo di scena, ma io avrei messo qualche segnale, qualche “gancio” prima, in modo da rendere più viva l’attenzione del lettore.
Complimenti!!!!! 🙂
Cara Laura, mi era sfuggita la tua lettera. Ti ringrazio dell’apprezzamento.
Mettere qualche gancio prima? Non è che si diluiva poi la sorpresa finale?
certo, come dici tu, stare nelle battute richieste è a volte un po’ penalizzante. Secondo me avrei dovuto dire un po’ di più della Giovannona , con la sua dentiera non sua e quindi magari anche un po’ storta. Sarà per un’altra volta. Un caro saluto g
E visto che sto rileggendo i racconti è un vero diletto tornare su questo che è stato e mi ripeto perchè penso di averlo già detto in passato, uno dei racconti più originali e spassosi che abbia incontrato, e nello stesso tempo aperto su uno spicchio di non semplici esistenze, che se pur in circoscritti tempi nel tempo, così realmente e forse devastatamente hanno sorbito certe angherie, ma senza soccomberne, e trovando la corda per aggrapparsi forte alla scappatoia ….
E W l’autoironia !!!
Ringrazio tanto l’autrice e faccio ancora tanti sinceri complimenti per una rara capacità di farci entrare così saporitamente dentro alla sua ricetta vincente!!!
Un abbraccio
Emanuela
Spero di risentirti presto Gabriella!
Cara Emanuela, ti ringrazio ancora una volta dei tuoi complimenti. Se riesco a passare qualche giorno a Camaiore ( non sono molto sicura perché ho dei problemi con mia mamma che abita a più di cinque ore da Milano) ti invito per una polpettata. E se non sarà questa estate è un buono questo che varrà anche più tardi. Anche a te un abbraccio gabriella
Grazie Per tutto Gabriella cara e anche augri per tutto e a quando sarà…..un abbraccio grande. Emanuela
W le POLPETTE